domenica 28 dicembre 2008

«Il mio Tex in politica? No, troppo indipendente» (Pierluigi Biondi intervista Sergio Bonelli)

Intervista di Pierluigi Biondi a Sergio Bonelli
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 28 dicembre 2008
La prima cosa che ti viene in mente dopo una conversazione con Sergio Bonelli è che il più importante editore italiano di fumetti pare si sia materializzato da una delle migliaia di tavole che ha mandato (e, fortunatamente, continua a mandare) in edicola. Innamorato del suo lavoro come lo è Tex della stella di latta che lo porta a rimediare alle ingiustizie che si consumano in giro per il vecchio West. Ironico come Mister No. Autentico come Nathan Never quando – circondato da un mondo iper-tecnoligico – si rifugia in casa con un buon libro e i dischi in vinile. Cortese come Kit Carson quando fa il baciamano a qualche bella tenutaria di saloon. Merito del suo carattere di galantuomo meneghino vecchio stampo che ha superato, indenne, la “Milano da bere” sguaiata e presuntuosa.
Di strada ne avete dovuta far tanta: una volta il mondo delle nuvole parlanti era considerato alla stregua di materiale pornografico.
I giornalisti, i critici e gli educatori scolastici invitavano i giovani a stare alla larga dagli albi illustrati perché distraevano da altre occupazioni più nobili e più utili alla formazione dell’individuo.
Se si clicca con il tasto destro del mouse sulla parola “fumetto” alla ricerca di un sinonimo, viene fuori l’espressione “storia banale”.
È per questo che mi ostino ad utilizzare carta e penna al posto di un “banale” computer.
Nessuno meglio di lei può testimoniare le ostilità subite dai fumetti prima che gli si riconoscesse di essere stato parte integrante di quella cultura popolare che, soprattutto nella seconda parte del Novecento, ha raccontato e accompagnato la trasformazione dell’Italia meglio di tanta politica e di tanta accademia.
È così. Quando ero ragazzo riuscivo a leggere negli sguardi dei genitori borghesi dei compagni di scuola il malcelato senso di disprezzo che provavano per il lavoro dei miei. Il primo segnale che i tempi, timidamente, stessero cambiando lo abbiamo avuto con il festival di Bordighera del 1965, che in seguito diventerà Lucca Comics. Da lì è iniziata la lenta scalata che ha portato il fumetto a recuperare la dignità che merita nell’immaginario della società e anche, per certi versi, la sua funzione educativa.
Attualmente le cose sono diverse.
È caduto il giudizio morale che bollava il fumetto in quanto tale. Oggi un albo o una serie possono essere valutati belli o brutti nella loro specificità, come accade per un qualsiasi romanzo o una qualsiasi canzone: è un bel passo in avanti.
E infatti possiamo incrociare gli Sturmtruppen, Zagor o Corto Maltese anche nelle librerie.
Ancora faccio fatica ad abituarmi all’idea. Quando passo davanti le vetrine delle librerie e vedo – accanto ai testi “colti” – qualche volume illustrato che vede per protagonista un eroe dei fumetti, provo un senso di gioia quasi inattesa. È una soddisfazione non solo per me, ma per tutta la categoria.
Il 2008 è un anno importante per la storia del fumetto e per la sua casa editrice.
In genere sono poco attento agli anniversari, soprattutto ai miei (ride, ndr). Certo è una curiosa coincidenza: l’esordio del fumetto in Italia viene fatto risalire al 27 dicembre 1908, data in cui uscì il primo numero del Corriere dei piccoli, lo stesso anno di nascita di Bonelli padre (dice proprio così, non “mio padre”: quasi a testimoniare, giustamente, che la figura di Gian Luigi Bonelli è un patrimonio comune, oltre che familiare, ndr).
Novità in vista?
Stiamo lavorando a due-tre nuovi personaggi, la casa editrice è sempre alla frenetica ricerca di idee per consentire ai nostri duecento e oltre disegnatori sparsi per il paese di non risentire della crisi del settore e del calo delle vendite. Questo è il mio maggiore cruccio: mai come ora, infatti, avevo visto in giro tanti giovani talenti che, ahimé, forse non troveranno sbocchi lavorativi.
Per finire: Tex avrebbe mai lanciato un suo stivale a un governante?
Il mio ranger, quando è stato necessario, non si è tirato indietro dal dare una strigliata a qualche “alto papavero” di Washington, però non è mai tornato a casa scalzo.
Inadatto, quindi, per la politica?
Tex è un indipendente e, notoriamente, scarseggia in diplomazia. E, poi, non sopporterebbe il fatto di stare seduto troppo a lungo dietro una scrivania. Il suo posto è all’aria aperta e il suo destino è il viaggio.
Pierluigi Biondi (L’Aquila, 1974), giornalista, collaboratore dell'ufficio stampa del Consiglio Regionale d'Abruzzo, scrive per le pagine culturali del quotidiano Secolo d’Italia e la rivista Senzatitolo, trimestrale di teatro e cultura.E' coautore, con Roberto Alfatti Appetiti, de L'ABC di un Sessantotto postideologico (Charta Minuta n. 4/2008) e ha collaborato, in qualità di editor, al libro Tre punti e una linea. La storia attraverso la radio (ed. Teatroimmagine, 2007).Dal 2004 è sindaco di Villa Sant’Angelo (Aq).

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