Stamattina, mentre come tutte le mattine sfogliavo i giornali sull'autobus che mi portava a L'Aquila mi sono imbattuto nella polemica sull'intitolazione (o meno) di una piazza romana a Francesco Cecchin, sollevata - neanche a dirlo - dal solito gruppo di illuminati.
Ho scritto di getto una nota su fb e poi ne ho letta una di Annalisa Terranova che, come al solito, offre una chiave originale di riflessione. E appena dopo anche una di Gabriele Adinolfi.
Posto di seguito, l'articolo di Roberta Angelilli sul Secolo d'Italia (che dedica a Francesco la prima pagina), la nota di Annalisa Terranova, quella di Gabriele Adinolfi e la mia, confidando che possa trovare interesse per la piccola comunità di lettori che segue questo blog.
... Ma noi non ti dimentichiamo
Da questa mattina il giardino di piazza Vescovio sarà intitolato a Francesco Cecchin. Francesco era, come tanti suoi coetanei, un ragazzo impegnato in politica, nel Fronte della Gioventù. Più volte minacciato da attivisti di sinistra mentre affiggeva manifesti, una sera, mentre passeggiata con la sorella, fu inseguito, aggredito e scaraventato da un muro altro tre metri. Francesco è morto il 16 giugno del 1979, a soli 17 anni, dopo un'agonia di settimane. Le indagini furono tardive e piene di omissioni, e di conseguenza il processo che ne seguì non ha reso né verità, né giustizia. A pochi metri dal luogo in cui fu ritrovato il corpo agonizzante di Francesco, ora vi è un luogo dedicato al ricordo e alla riflessione. Una tappa importante, frutto di un percorso della memoria che, al di là dell'appartenenza politica, deve rimanere patrimonio condiviso di pacificazione di tutta la città di Roma, che negli anni di piombo pagò un prezzo di sangue altissimo. Tante sono le strade, le vie e i giardini dedicati a giovani vite spezzate dalla violenza politica. Un tributo doveroso, un gesto di partecipazione verso le famiglie e un monito per le giovani generazioni, affinché non dimentichino e imparino che il confronto politico non può mai degenerare nell'odio e nell'annientamento dell'avversario.
Proprio per questo è inaccettabile l'appello lanciato da un presunto gruppo di intellettuali di sinistra, capitanati dall'ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, contro l'intitolazione del giardino a Cecchin. Perché tanto astio? Perché strumentalizzare politicamente un atto dovuto di umanità e di ricordo? Evidentemente questi presunti intellettuali di sinistra solo dei paladini dell'intolleranza e della faziosità, che non riescono a fare i conti con la storia, che non hanno ancora compreso il valore della parola "pacificazione". Rimandiamo al mittente questa penosa e sterile polemica e affidiamo agli abitanti del quartiere e della città la memoria di Francesco.
Roberta Angelilli
Pensando a Francesco Cecchini
Sul “Secolo d’Italia” di oggi Roberta Angelilli scrive che noi non dimentichiamo Francesco Cecchin. Certo, per chi c’era, dimenticare è difficile. Io, per esempio, ricordo bene la veglia notturna, il picchetto alla bara, l’arrivo di Giorgio Almirante, nel cui sguardo colsi una commozione disperata, quasi rassegnata (eppure all’epoca tutti noi ragazzi ci sentivamo traditi dai vertici del Msi, lo consideravamo uno che ci aveva voltato le spalle), i volti terrei delle mamme missine, che ci davano caffè e carezze appena accennate, il clima plumbeo dei funerali. Devo continuare? Meglio fermarsi. Il nodo che vorrei toccare è un altro: la parte più coraggiosa e capace di riflessione della destra deve domandarsi con onestà se questo continuo richiamo ai morti non nasconde un serio vuoto d’identità, un buco che non può essere colmato ancora a lungo dal culto dei martiri, così rassicurante, così utile a creare ancora muretti tra noi e loro proprio come il muretto da cui Cecchin fu buttato giù. Ma, con un po’ di coraggio in più, si dovrebbe anche domandare se questi rituali del ricordo non servano principalmente come momento risarcitorio verso un passato che si vuol far restare vivo aggrappandosi a qualche foto ingiallita, un passato verso il quale non c’è più né fedeltà né coerenza. Sicuri, davvero sicuri, che l’arma della toponomastica politica non venga brandita come un gigantesco tranquillante per le coscienze postfasciste al fine di sanare tutti i debiti verso l’ambiente di provenienza?
Quando un viale di Villa Chigi fu intitolato a Paolo Di Nella ci portai i miei figli a giocare, raccontai tutta la storia, mi sedetti lì a ricordare, a commuovermi, a misurare le distanze tra i tempi. Distanze che si accorciano se c’è ancora qualcuno che non vuole l’intitolazione di un giardino a un ragazzo ammazzato in modo così vile, e senza mai avere avuto giustizia. Perché? La prima spiegazione è che la memoria condivisa non esiste, ognuno ha la sua ed è bene che sia così. La seconda è che la pacificazione non si può fare con la toponomastica facendo piovere sui residenti targhe e targhette che seguono percorsi politici a loro estranei (lo so, la sinistra lo ha fatto in passato, e infatti ha fatto male e dove abito io tutti chiamano ancora piazza Igea la piazza intitolata a Walter Rossi e ci sarà pure un motivo…). La pacificazione è un atto di maturazione collettiva che ha bisogno di tempi lunghi e di assunzioni di responsabilità che non ci sono state ancora, purtroppo, a sinistra. Ma ha anche bisogno di una destra meno necrofila. Per i morti si prega, si porta un fiore, poi li si lascia andare. Non ci appartengono. Non possiamo parlare in loro nome.
Annalisa Terranova
Qualcosa da condividere?
Francesco Cecchin morì, diciassettenne, dopo essere caduto da un muretto mentre cercava scampo all'aggressione subita sotto casa ad opera di diversi adulti antifa. Contro di essi, malgrado indizi probanti, nessun provvedimento giuridico.Sostenere, a trentadue anni di distanza dalla sua uccisione, che non si possa ricordare un minorenne martirizzato perché ciò avverrebbe “da una parte sola” è quanto di più ipocrita e di nauseante possa esprimere malafede sub/umana. Parliamo di una città dove abbiamo una piazza Walter Rossi, dove per quasi ogni caduto di sinistra c'è una targa che lo identifica come “vittima della violenza fascista” anche in casi, come appunto quello di Rossi che era pur sempre qualcuno che aveva appena sferrato un attacco a una sede missina e che cadde mentre era militarmente schierato; parliamo di un Paese dove Sergio Ramelli, altro ragazzino, solo per aver manifestato a scuola le sue idee, venne ucciso a sprangate sotto casa da un collettivo di medicina e morì dopo lunghissima agonia, e dove è concesso solo il ricordarlo come “vittima della violenza politica” (senza che si possa quindi nemmeno indicare il colore degli assassini). Pretendere in questo genere di Paese, con questi precedenti e con queste discriminazioni, che per un ragazzino assassinato sia vietata una commemorazione nominale perché non sarebbe condivisa(!), supera ogni confine di decenza umana. Se poi è vero, come sostengono in molti, che a sospingere quest'iniziativa sia stato anche l'assassino impunito di Francesco, allora, rispondendo ad una vecchia domanda di Massimo Morsello, sappiamo finalmente, cari concittadini e cari connazionali, da quale parte vomitare. Almeno, compiendo questo gesto liberatorio, avremo davvero qualcosa da condividere con i promotori di questa protesta contro il ricordo di un adolescente martirizzato, perché avremo tirato fuori dallo stomaco e dagli intestini la stessa materia organica di cui sono formati il cuore e il cervello di questi “intellettuali” che vogliono regolamentare la città nel triplice segno della menzogna, dell'ipocrisia e dell'odio.Ma non parlate loro di decenza: ne blocchereste l'impareggiabile slancio creativo.
Gabriele Adinolfi
No a Cecchin? Il vizietto della firma
No, il vizietto non l'hanno perso. Un po' di pelo, sì. Anche se pelosi, in fondo, lo sono rimasti. Pelosa è la loro carità. Pelosa è la loro finta neutralità. Citiamoli: del resto si firma per comparire, per esserci, per vanità, per rivendicare un ruolo sociale, per darsi un contegno. Ettore Scola, Citto Maselli, Paola Comencini, Nicola Tranfaglia, Pietro Larizza, Fausto Bertinotti, Raffaele Ranucci, Edo Ronchi e Vincenzo Visco. Cosa hanno firmato? La richiesta al sindaco Gianni Alemanno di non intitolare a Francesco Cecchin - il militante del FdG morto il 16 giugno del '79 dopo 19 giorni di coma (assassinato senza colpevoli) - lo square di una piazza romana nel quartiere (Salario) in cui sono residenti.
Perchè?
Perchè l'iniziativa dividerebbe la città (sic!) e, semmai, l'intitolazione andrebbe fatta a "tutte le vittime della violenza politica".
Ipocriti.
Stamattina ho letto con piacere la risposta di Gianni, che si è limitato a far presente come altre intitolazioni abbiano riguardato vittime di sinistra, da viale Valerio Verbano nel Parco delle Valli a piazza (intera, non solo lo square) Walter Rossi, giovane di sinistra ucciso due anni prima di Cecchin. Lo stesso Walter Veltroni, peraltro, ha permesso che un viale di Villa Chigi si chiamasse col nome di Paolo Di Nella, altro militante del FdG barbaramente assassinato.
Senza che nessuno protestasse, ovviamente.
Come si può scrivere - come fanno i soliti noti - che "piazza Vescovio non dovrebbe appartenere a nessuno"?
Dedicare il giardino di tale piazza a Cecchin significherebbe regalarla a una parte politica?
C'è poco da commentare, se non che se ci sono nostalgici delle eterne divisioni sono proprio i sacerdoti del nulla che hanno firmato l'appello al sindaco.
Quasi dimenticavo: ciao Francesco.
Roberto
2 commenti:
Mi onoro, caro Roberto, di appartenere ad una folta schiera di amici che non hanno dimenticato mai Francesco.I soloni del pensiero "politicamente corretto", che si sono espressi contro il proposito di dedicare una piazza a Francesco Cecchin, mi fanno orrore: non conoscono nè la "pietas" nè il rispetto delle altrui idee. Le loro firme mi fanno venire in mente quelle di nomi eccellenti della cultura che agli inizi degli anni '70 si schierarono contro il povero commissario Luigi Calabresi. Comunque in memoria di Francesco voglio ricordare le pagine 67 e 68 del romanzo "Io non scordo" di Gabriele Marconi. Sono pagine che, lette e rilette, ogni volta riescono a commuovermi.
L'hai scritto su Fb e voglio citarti qui, Giovanni. Sono passati trentadue anni ma il volto pulito e i diciassette anni di Francesco fanno ancora paura alle "firme".
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