Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 6 settembre 2011
Cambia il vento, cambia il regime, cambia il colore della maglia ufficiale e di colpo tanti giocatori salgono sul carro del vincitore. Tutto il mondo è paese, verrebbe da dire, seguendo le vicissitudini un po' da voltagabbana della nazionale di calcio della Libia. La selezione allenata dal tecnico brasiliano Marcos Paquetà sabato ha vinto nel Petro Sport Stadium del Cairo la sfida contro il Mozambico per 1-0, rimanendo in corso per la qualificazione alla prossima Coppa d'Africa (nel girone è al secondo posto dietro lo Zambia dell'italiano Dario Bonetti). In campo i giocatori non avevano più la divisa verde che richiamava i colori della rivoluzione socialista di Gheddafi, la Jamahiriyya, ma una maglia bianca con sul petto la bandiera rossa, nera e verde dei ribelli.
Il gol partita, un potente diagonale, è stato segnato da Riyadh Al Laafi, poi in lacrime davanti alle telecamere per ricordare il fratello Moneer, morto negli scontri con le forze lealiste. La vigilia era stata piena di ansie per il ct. Era previsto uno stage di allenamento, poi saltato. I bollettini di guerra non avevano consentito di organizzare il raduno. Dei trenta convocati, ne erano arrivati solo quattordici. La panchina? Completata con i giovani dell'under 17. In più si è autoescluso dal gruppo il talentuoso Tariq Ibrahim al-Tayib (una esperienza con il Gaziantepspor, club della serie A turca): aveva definito i ribelli “topi e cani”, generando così l'immediato ostracismo della parte di compagni afferenti alle tribù di Bengasi.
Nel marzo scorso, la nazionale libica aveva giurato invece eterna fedeltà al regime. Era nel Mali, dove aveva disputato una gara del girone contro le Comore, paese politicamente vicino al Rais. Adesso il cambio di passo e di “giacchetta”, salutato con favore dalla televisione inglese BBC. Molti dirigenti e giocatori della Federazione libica, da Tripoli a Bengasi, hanno scelto di appoggiare il Comitato nazionale di transizione, tratteggiando un ritratto a tinte fosche di Saadi Gheddafi (ingaggiato nel 2003 dal Perugia di Luciano Gaucci), fino a qualche tempo fa leader della selezione. Prepotente, era stato addirittura capace di escludere da una tournee (rimandandolo in patria) un compagno che non aveva raccolto il suo suggerimento su come tirare un calcio di rigore durante una amichevole in Italia. Allo stesso modo, però, il figlio del leader libico, garantiva alla rappresentativa agio e comodità: trasferimenti in aereo, lunghi ritiri in Toscana e vari benefit. Con il crollo del vecchio sistema di potere, grazie ai missili Nato, la nazionale libica si muove in autobus, e per arrivare nella capitale egiziana ci ha messo quasi venti ore. Effetti collaterali (minimi) della guerra civile in corso.
Michele De Feudis
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