Da Area, novembre 2010
«Come si dice in questi casi? È accaduto tutto molto in fretta. Eravamo in due, io e il responsabile provinciale di CasaPound, e stavamo preparando la sala in attesa dell’inizio della conferenza quando sono entrate alcune persone, tutte a volto coperto, tranne una. Hanno cominciato a picchiare. Io sono finito a terra che ancora sorridevo, perché in un primo momento ho pensato a uno scherzo, non ho fatto in tempo a rendermi conto di quello che stava succedendo. Calci e sediate. Il tutto è durato un paio di minuti, poi sono andati via come erano arrivati, senza dire nulla. Una cosa mi ha colpito, sedie a parte: l’età dell’aggressore a volto scoperto, tra i quaranta e i cinquant’anni, mentre gli altri avevano l’aria di essere ragazzini. Se al posto mio ci fosse stato un militante giovane di CasaPound non avrebbe fatto nessuna differenza. Ecco, il fatto che ci siano adulti che portano in giro ragazzi a picchiare altri ragazzi è la cosa che mi inquieta di più dell’intera vicenda».
Così Nicola Antolini (nella foto) ci racconta l’aggressione che ha subito lo scorso 2 ottobre a Perugia, dov’era per presentare il suo libro Fuori dal cerchio. Viaggio nella destra radicale italiana (Elliot), saggio fondamentale che ha spazzato via in un colpo solo luoghi comuni e leggende “nere” che offrivano un’immagine caricaturale della destra radicale ben diversa dalla realtà da lui analizzata con ostinata scrupolosità.
I lividi e le contusioni sono passate ma «non l’incazzatura» per chi ha fatto del confronto con l’altro una ragione di vita personale e professionale. Una colpa imperdonabile – devono averla ritenuta – tanto più per chi proviene culturalmente da sinistra. Sì, perché Nicola è stato militante del Pci modenese, anche se oggi non ama le definizioni: «Credo di essere una persona che cerca di ragionare al di fuori dagli schemi, anche se non è facile, e provare a definirsi può essere un modo per rinchiudersi in un recinto, o per parlarsi addosso». Poca, però, la solidarietà raccolta dal suo mondo di riferimento. «Mi sono stati vicino Miro Renzaglia e Ugo Maria Tassinari, che mi hanno sostenuto sui loro blog. Voi di Area e Antonio Pennacchi, che colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente, mi ha dedicato uno spazio e un piccolo forum sul suo blog e i tanti che ho conosciuto per scrivere il libro e poi per le presentazioni. Poi gli amici, i compagni di un tempo con cui sono rimasto in contatto e il segretario regionale del Pd dell’Emilia Romagna, che è una brava persona. Per il resto, dell’aggressione hanno parlato in pochi: il Tempo, un trafiletto su Il Giornale, qualche testata locale, e una menzione a Porta a Porta. Per il resto, silenzio, come sotto silenzio è passato il libro. Come mi aspettavo, tutto sommato».
Una cosa è certa, però, Antolini non ha nessuna intenzione di mollare: «Sì, continuerò, per forza. Avevo deciso di smettere, per ragioni strettamente personali, e per la difficoltà a conciliare impegni pubblici “da scrittore” a impegni famigliari e impegni di lavoro. Quello che è successo, però, mi costringe a cambiare i programmi, perché non credo sia giusto cedere di fronte alle intimidazioni. Dobbiamo dimostrare che le aggressioni sono controproducenti, oltre che sbagliate».
Malgrado il clima inizi a farsi pesante e Antolini non sia l’unico scrittore nel bersaglio dei nostalgici della violenza politica. Lo stesso Giampaolo Pansa, del resto, è stato “costretto” a evitare le presentazioni del nuovo libro – I vinti non dimenticano. I crimini ignorati della nostra guerra civile (Rizzoli) – proprio a causa dei reiterati episodi di intolleranza subìti. «Pansa non fa più presentazioni ed è un brutto segno anche se, per sua fortuna, non credo ne abbia bisogno. Episodi come quello che è capitato a me – sottolinea Antolini – ne capitano spesso, anche se se ne parla piuttosto poco. Il clima nel paese è brutto e le aggressioni sono soprattutto indicative di una cultura che è dura a morire, e che interpreta l’antifascismo in modo militante, come un valore che deve essere accompagnato alla pratica, anche violenta, della limitazione dell’agibilità politica e della libertà di parola dell’avversario, fascista o filo-fascista che sia. Ma da qui ad evocare un clima di guerra civile, o il ritorno degli anni Settanta, ce ne passa. Credo che si debba vigilare. Ma credo soprattutto che “la politica”, piuttosto che lanciare allarmi, dovrebbe fare uno sforzo per civilizzarsi “in prima persona”, e parlare con un po’ meno di bava alla bocca. Rimango convinto, tuttavia, che le discriminazioni o, peggio, le aggressioni, oggi siano una tentazione assolutamente minoritaria, e credo che questo sia uno dei tanti indicatori del fatto che la cultura stia cambiando».
I progetti non mancano e Antolini sta già per rimettersi al lavoro. «Sto pensando ad un libro sull’Istria – ci dice in anteprima – che è la terra dei miei nonni materni e di mia madre, nata a Pola subito dopo la guerra, e arrivata a Trieste, poi a Modena, quando aveva appena un anno di età. È un tema complesso, che spesso viene affrontato dando voce a molti luoghi comuni, visioni ideologiche o forzature eccessive. Mi piacerebbe cercare di raccontarne la storia nei secoli, esplorare le linee di intersezione delle storie etniche e nazionali che si sono trovate a deflagare in modo drammatico alla fine del secondo conflitto mondiale: l’Istria è da sempre crocevia e terra di frontiera tra mondi diversi, patria italiana, ma anche sede di comunità slave e tedesche insediate da secoli. È una storia tutto sommato poco nota, che mi piacerebbe provare a raccontare in modo diverso dal solito. Tra qualche settimana, andrò in Croazia per un primo sopralluogo, poi vorrei cominciare a mettere mano al progetto. Però, con calma: Fuori dal Cerchio mi ha richiesto molto impegno e molto tempo, e per una volta vorrei essere tradizionalista, recuperare un po’ del tempo che ho sottratto alla mia famiglia nei mesi scorsi». Buon lavoro, Nicola.
Roberto Alfatti Appetiti
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