Intervento di Gianfranco de Turris
Da il Giornale di venerdì 10 dicembre 2010
Pubblichiamo una parte dell’intervento di Gianfranco de Turris su «Morselli e l’Immaginario» previsto domani, sabato 11 dicembre, in occasione del convegno «Guido Morselli, il genio segreto» (Varese, Villa Recalcati, dalle ore 16 alle ore 19), prima di quattro giornate: le altre saranno il 25 febbraio, il 22 marzo e il 23 maggio,data quest’ultima in cui saranno annunciati i vincitori del Premio Morselli per il romanzo inedito (per informazioni, tel. 347/2746558 - 340/3842436).
Esiste una vena sotterranea che percorre tutta la narrativa italiana del Novecento, in genere etichettata come «verismo», «realismo», «neorealismo»: è la vena di quel che io definisco complessivamente l’Immaginario. Come qualcuno l’ha definito, si tratta di un vero e proprio «Intramondo» che parla attraverso i simboli.
Uno degli autori del Novecento che ha avuto importanti frequentazioni con l’Immaginario è Guido Morselli. E oggi che praticamente tutte le sue opere sono state pubblicate (la prima, Roma senza papa, ironia del Fato, a meno di un anno dal suicidio e, a quanto pare, proprio grazie a quel Vittorio Sereni che si era visto bloccare senza reagire la stampa de Il comunista alla Mondadori, e - fatto ancora più grottesco - proprio da Adelphi che aveva respinto tutti i romanzi inviati in precedenza!), e dopo che sono stati pubblicati anche i suoi Diari, lo si dovrebbe annoverare tra i nostri autori del Novecento più importanti in assoluto, ma anche recuperarlo tra quelli «fantastici» più significativi e originali. Però...
C’è un però, infatti, che consiste in questo: gli studi dei testi dello scrittore mi pare non abbiano saputo spiegare, almeno sino a questo momento che io sappia, un punto-chiave: il motivo di fondo del passaggio di Morselli dal romanzo «realistico» al romanzo «fantastico». Infatti, a guardare la semplice cronologia delle sue opere, dopo Uomini e amori (1943-49), Un dramma borghese (1961-62), Incontro col comunista (1964-65), Il comunista (1964-65) e Brave borghesi (1966), vale a dire dopo i temi intimistici di analisi psicologica e sociale di due realtà in apparenza contrapposte come borghesia e comunismo alle quali si sentiva valorialmente estraneo, Morselli vira decisamente verso tematiche che contestavano in toto la società che lo assediava: ecco allora Roma senza papa (1966-67), Contro-passato prossimo (1969-70), Divertimento 1889 (1970-71), Dissipatio H.G. (1972-73) e l’abbozzo di Uonna . Perché lo fece? Cosa lo spinse a farlo?
Forse le delusioni, non solo personali, ma soprattutto culturali, i continui rifiuti della editoria italiana, l’inutile ricorso ai molti numi tutelari e patron delle patrie lettere e della «industria culturale» (scrisse vanamente a Spadolini, Scalfari, Moravia e Calvino, Benedetti e Bompiani, Pampaloni e Mondadori, Cederna e Paolini), la sensazione infine di essere come sotto assedio da parte di una civiltà che non amava affatto, l’indussero a toccare l’altra corda della sua ispirazione, se è vero come è vero che praticamente l’unico libro che pubblicò in vita, e a proprie spese anche se con la prestigiosa etichetta di Bocca, è stato una serie di «dialoghi platonici» con il titolo Realismo e fantasia (1947). .
Il rifiuto dell’oggi, in particolare della religione di oggi, inizia con una proiezione nel futuro, con un romanzo che all’epoca della sua apparizione, nel 1974 , venne definito di «fantateologia». Roma senza papa è una critica della Chiesa «al passo coi tempi», con pontefici fidanzati, liberalizzazione di eutanasia, droga, contraccezione, ma anche una critica della tecnocrazia, della psicanalisi freudiana, del turismo di massa, della mercificazione di ogni cosa, dell’amore per la natura e gli animali sostanzialmente fasulla.
Dal possibile mondo di domani al mondo alternativo, ad un presente dunque diverso da quello noto, allora, l’ucronia di Contro-passato prossimo, non quindi un romanzo di «fantapolitica» che è tutt’altra cosa. Secondo le parole di Morselli quello utilizzato in questa occasione è un genere misto di storia e invenzione , una «rivisitazione del passato libera in apparenza sino all’arbitrio», una contro-realtà che rifiuta «il famigerato prefisso “fanta”», dal momento che «si tratta di res gestae, per mostrare che erano gerendae diversamente» . Lo scrittore descrive un futuro alternativo, ma storicamente e logicamente non-impossibile, quindi non-fantastico. E come per utopia s’intende etimologicamente un «non luogo», così il neologismo ucronia, coniato nel 1859 dal filosofo francese Charles Renouvier, sta a significare un «non tempo».
Appunto: Contro-passato prossimo è un non-tempo che parte dalla premessa: «Cosa sarebbe successo se gli Imperi centrali avessero vinto la Prima Guerra Mondiale». Come? Mediante la Edelweiss Expedition: un tunnel scavato sotto le montagne della Valtellina attraverso il quale, nel dicembre 1915, inizia l’invasione dell’Italia. L’impresa viene affidata al capitano Erwin Rommel.
La fantapolitica è invece un “genere” differente: il termine fu coniato in Italia nel 1963 in occasione della traduzione del romanzo Sette giorni a maggio ed è entrato nel linguaggio comune. La fantapolitica proietta in un tempo contestuale o poco più lontano da noi eventi e soprattutto personaggi in linea con i presupposti dell’oggi e non si basa su di un diverso tragitto della Storia iniziato nel passato. Quindi, dopo il futuro e un falso presente, è la volta di un falso passato, questa sì una vera «fantastoria» , visitata in maniera amorevolmente e volutamente ironica: Divertimento 1889. E non si può parlare per esso di ucronia, in quanto si limita a immaginare una «evasione» in incognito del re Umberto I in Svizzera, che il sovrano d’Italia raggiunge con la ferrovia del Gottardo, solo con se stesso, lontano dalla corte, dalla regina, dall’amante e dalle responsabilità.
Infine, ancora un presente diverso che potrebbe definirsi senza troppi problemi fantascienza, anche se la situazione nuova ha origine non da un evento concreto, scientifico, come potrebbero essere una catastrofe naturale o da una guerra atomica, bensì ha una causa surreale, addirittura filosofica e metafisica: Dissipatio H.G. (che è poi una frase del filosofo neoplatonico Giamblico: dissipatio humanis generis) descrive un mondo in cui improvvisamente sparisce ogni essere umano: scomparsa provocata dal tentativo di suicidio del protagonista, incallito solipsista, che avrebbe voluto annullarsi agli occhi del mondo in un lago sotterraneo. Questi all’ultimo minuto ci ripensa anche a causa di una botta in testa, ma scompaiono invece, si volatilizzano direttamente, tutti gli altri esseri umani . Il protagonista si aggira nel mondo fermo e bloccato dell’odiata civiltà tecnologica, vuoto delle disprezzate masse di cui visita e osserva le residue tracce, lanciandosi in considerazioni e divagazioni antisociologiche, antistoricistiche, antifreudiane, antieconomicistiche, antimacchinicistiche, se così si può dire.
Morselli avrebbe continuato su questa strada «fantastica» e paradossale insieme? La risposta credo che debba essere affermativa: ci ha infatti lasciato una serie di appunti, scritti nei mesi prima di morire, per un’opera singolare che avrebbe ancora una volta disarticolato un altro dei dati assodati dell’Umanità, l’esserci l’uomo e la donna, uguali e opposti, diversi e complementari. Ci ha lasciato l’abbozzo di Uonna, uomo + donna, il che non vuol dire omosessuale o transessuale, ma una sintesi dei due sessi: forse un ermafrodito , come fosse un ritorno alle origini del mito platonico .
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