Articolo di Silvio Botto
Da Linea quotidiano del 4 gennaio 2011
Ci sono persone che hanno il Dna del ribelle. Uomini e donne, parafrasando Brecht, che passano la loro vita a lottare. Quasi sempre fuori dal coro, forse per un ideale di giustizia, forse perché così c’è più gusto. Dardo Cabo - giornalista, sindacalista, agitatore politico e patriota - è stato uno di questi.
Poco conosciuto al di fuori dell’Argentina, ha vissuto con incredibile intensità i suoi brevi 36 anni di vita, bruciando le tappe e pagando, prima con il carcere e poi con la morte, la sua intransigenza ideale. Un’intransigenza che ha sempre contraddistinto la sua anomala e originale parabola politica, partita dalla destra neofascista, integralista cattolica e con venature antisemite; fino alla militanza nell’ala sindacale del peronismo, confluita poi nei Montoneros. Intransigenza che lo porterà nel 1977 ad essere eliminato e fatto sparire dai militari golpisti e piduisti della Giunta Videla. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, ma alcuni testimoni raccontano che sia stato fucilato, dopo oltre un anno e mezzo di detenzione illegale, proprio il 6 gennaio del ’77.
Una vita da predestinato, sin dal nome e dalla famiglia: il padre, Armando, è un pezzo grosso del sindacato peronista dei metalmeccanici, nonché stretto collaboratore di Eva Peròn; la madre, Maria, muore nel ’55 durante il bombardamento in Plaza de Mayo da parte dei militari golpisti, che tentano di rovesciare il Governo di Peròn. Alla fine degli anni Cinquanta, il giovane Dardo milita in una formazione di estrema destra, il Movimiento Nacionalista Tacuara, fondato da un sacerdote cattolico e da un sociologo francese sul modello dei movimenti fascisti europei dei decenni precedenti. Il MNT è un’originale miscela di integralismo cattolico, nazionalismo e anticomunismo, che fiancheggia il peronismo con sfumature filoarabe e antisemite: Nasser y Peròn, un solo corazòn è uno degli slogan dipinti dai tacuara sui muri di Buenos Aires.
Dardo Cabo lascia il MNT nel ’61, dando vita insieme ad altri militanti il Movimiento Nueva Argentina, un gruppo più marcatamente peronista (sia pure sempre di destra) che si batte per il ritorno del generale dall’esilio spagnolo. Poi il giovane Cabo si avvicina agli ambienti che fanno capo al potente Augusto Vandor, capo del sindacato metallurgico e teorico del “peronismo senza Peròn” e della trattativa con la giunta militare del generale Onganìa. Posizioni pericolose, che nel ’69 porteranno all’assassinio di Vandor da parte dell’ala estrema del sindacalismo peronista.
Ma l’episodio che segna per sempre la vita di Dardo Cabo e che rende il suo nome famoso in tutta l’Argentina risale al 28 settembre del 1966. Insieme con la fidanzata Maria Cristina Verrier e altri sedici militanti peronisti (quasi tutti studenti e operai, età media 22 anni), Cabo sale su un aereo Douglas DC-4 delle Aerolíneas Argentinas diretto a Rio Gallegos, in Patagonia. Poco dopo la partenza si presenta in armi al comandante del velivolo e gli ordina di dirigersi verso l’arcipelago delle isole Falkland-Malvinas, secondo gli argentini occupate illegalmente nel XIX secolo dall’impero britannico.
La scena surreale del dirottamento e dell’atterraggio è stata poi raccontata da un giornalista, presente sul volo. Quando il Douglas Dc-4 arriva su una pista fangosa ad attenderlo non c’è nessuno. Il commando nazionalista, che ha battezzato l’atto dimostrativo come “Operazione Condor”, scende a terra, innalza sette bandiere argentine e ribattezza Port Stanley in Puerto Rivero, in omaggio al comandante gaucho che resistette all’invasione britannica nel 1833. Vengono presi in ostaggio alcuni kelpers (i coloni di origine inglese), fra i quali anche il capo della polizia, e distribuiti volantini in cui si proclama l’appartenenza delle isole all’Argentina. In breve arrivano le forze di sicurezza britanniche, una ventina di militari, più gli isolani riservisti, circondano l’aereo e intimano agli argentini di arrendersi. Ne nasce una lunga trattativa, nella quale fa da mediatore l’unico sacerdote cattolico dell’arcipelago. Nel frattempo un radioamatore capta i messaggi lanciati dalla radio di bordo dell’aereo e in poche ore l’intera Argentina viene informata dell’azione dimostrativa di Dardo Cabo e dei suoi “condor”. Nelle strade si svolgono manifestazioni spontanee di appoggio al commando, che mettono in difficoltà il regime militare. Fra l’altro in quei giorni è in visita in Argentina il principe consorte Filippo di Edimburgo e si rischia l’incidente diplomatico.
Alla fine di una trattativa durata alcune ore i nazionalisti argentini accettano di consegnare le armi al comandante dell’aeroplano, «unica autorità che riconosciamo», ammainano le bandiere, cantano l’inno argentino e si consegnano al sacerdote. Tre giorni dopo verranno riportati in patria su una nave e, malgrado l’appoggio popolare, processati per sequestro di persona e detenzione di armi da guerra. Cabo e i suoi vice, Alejandro Giovenco e Juan Carlos Rodríguez, vengono condannati a tre anni di carcere, visti i loro precedenti politici. Gli altri se la cavano con nove mesi di detenzione. Dardo e Maria Cristina si sposano durante la carcerazione e la loro figlia, Maria, nasce mentre la madre è ancora dietro le sbarre.
Tornato in libertà nel 1969, l’ex leader del Movimiento Nueva Argentina segue le orme paterne, prima entra in fabbrica come operaio poi diventa delegato della Unión Obrera Metalúrgica (UOM). Pochi mesi dopo si verifica l’attentato che porta all’omicidio del segretario generale Vandor e l’Argentina sprofonda nella guerriglia che oppone le frange estremiste peroniste alla giunta militare e provoca una sanguinosa faida interna allo stesso movimento justicialista. Sono gli anni della crisi economica e del ritorno di Peròn - stanco e malato - dall’esilio spagnolo. Il vecchio generale governerà per un solo anno: muore nel ’74 lasciando il Paese nel caos e nelle mani della seconda moglie Isabelita e del suo discutibile entourage.
Per Dardo Cabo sono anni frenetici, gli ultimi della sua instancabile militanza politica. Chiusa la breve parentesi sindacale si dedica al giornalismo, lavorando per le riviste Extra e Semàna Gráfica e diventando poi nel 1973 Direttore di El descamisado, giornale dell’ala più movimentista del peronismo, vicina ai Montoneros. Nella primavera del ‘75 Cabo viene arrestato per motivi politici insieme ad altri compagni e detenuto senza processo in diverse carceri argentine. Il 6 gennaio del 1977, quando ormai ha preso il potere la giunta militare guidata dal generale Videla, l’eroe del blitz alle Malvinas viene fucilato durante il trasferimento da una prigione all’altra. Il suo corpo non verrà mai ritrovato. Per ironia della sorte i militari golpisti useranno proprio il nome di “Operazione Condor” per battezzare l’infame piano che prevedeva l’eliminazione degli oppositori politici mediante i cosiddetti «voli della morte»: i prigionieri venivano caricati su aerei militari e poi gettati, in molti casi vivi, nell’oceano.
Silvio Botto
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