Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di martedì 11 gennaio 2011
«E mentre la moglie si stringeva a lui, Tom King cercò di ridere di cuore. Lanciò uno sguardo alla stanza nuda, alle spalle di lei: era tutto quel che possedeva al mondo, più un affitto arretrato, una moglie, due bambini. E ora stava per lasciare tutto e uscir fuori, nella notte, in cerca di cibo per la sua femmina e i suoi cuccioli, non come un operaio moderno che si reca alla macchina, ma nel vecchio modo primigenio, eroico, animale: combattendo per il cibo».
Il pugilato raccontato da Jack London, con raffinate pennellate, intrise di richiami a suggestioni politiche e sociali, consente di riscoprire l'anima popolare e autentica della "noble art". La classica faccia da pugile (pp. 117, euro 10, Mattioli 1885) è una chicca per appassionati del mondo dei guantoni ma allo stesso tempo costituisce una lettura essenziale per comprendere le ragioni profonde che sottendono lo spirito di sacrificio e l'agonismo di un atleta. E tra queste c'è anche la fame, o la fuga dalla indigenza o dall'emarginazione, caratteristiche che delineano assonanze tra le biografie di campioni del calcio come l'argentino Diego Armando Maradona con Antonio Cassano, ed emerge dalle storie complicate e piene di colpi di scena tipici di anime fragili. Basterebbe osservare le immagini arcaiche del ritorno alle radici praticato dal brasiliano Adriano, attaccante finora senza fortuna nella Roma, quando ritorna nelle favelas in cui è cresciuto. Questa carica dirompente assurge ad archetipo proprio nell'austero mondo del pugilato, nel quale domina la legge del sacrificio e degli allenamenti inflessibili; dove Iron Mike, al secolo Mike Tyson, si è costruito la fama di picchiatore in un quartiere malfamato della Grande Mela, Brownsville, mettendo al tappeto a soli undici anni un ragazzo più grande, reo di aver staccato la testa ad un povero piccione...
London fu l'apripista di una serie di autori che erano stati pugili-dilettanti, da Ernest Hemingway a Norman Mailer fino a F.X. Toole, che ha scritto Million Dollar Baby, da cui Clint Eastwood ha poi tratto la sceneggiatura dell'omonimo e riuscitissimo film (nel 2004).
L'opera dello scrittore vagabondo americano raccoglie due brevi storie di boxe, La bistecca e Il messicano, narrazioni sorprendenti per l'umanità non artificiale che sottende gli incontri sul ring, i ritratti delle anime dei combattenti appaiono a tutto tondo, con le pulsioni più animali legate all'istinto di sopravvivenza e le serenità di riconoscere il valore dell'avversario, vincente o perdente che sia, alla fine della dura contesa. London, romanziere dallo stile di vita bohèmien, era stato in gioventù un pugile dilettante, poi pregevole cronista di sport. La penna era arrivata dopo aver tentato fortuna nei più svariati ambiti lavorativi: era stato strillone di giornali, cacciatore di foche, corrispondente di guerra, agente assicurativo, contadino e cercatore d'oro. Ne La bistecca l'anziano pugile Tom King è costretto per sbarcare il lunario a sfidare il giovane Sandel. Vorrebbe alimentarsi come si deve durante gli allenamenti, ma non ha denaro, i bottegai non gli fanno più credito mentre avrebbe desiderato addentare una fetta di carne: il denaro come variabile nelle dinamiche di classe diventa rivelatore delle venature socialisteggianti di London. Le medesime coordinate appaiono ancora più evidenti ne Il messicano, dove è l'ansia rivoluzionaria a spingere lo smilzo Rivera sul ring: deve reperire cinquemila dollari per acquistare fucili, indispensabili alla lotta armata. Il miraggio della conquista di una lauta borsa contro un avversario di grido, Danny Ward, appare l'unico mezzo per assicurarsi le risorse economiche necessarie alla Giunta rivoluzionaria. «Le ginocchia gli tremavano, ansimava per lo sfinimento. Davanti ai suoi occhi, tra nausea e vertigini, le facce odiate ondeggiavano avanti ed indietro. Allora ricordò che ogni faccia era un fucile. E i fucili adesso erano i suoi. La Rivoluzione poteva andare avanti».
Roberto Perrone, scrittore e firma del Corriere della Sera ha definito così il pugilato: «Non si tratta solo di darsi cazzotti. E' una metafora della vita. Devi ballare e menare, essere leggero nei movimenti e pesante nel pugno. Devi scappare ma anche avere coraggio. Hai paura e non ce l'hai. Mi sa tanto di vita vera, di palestre di periferia. Spesso, a guardare certi pugili che vengono da paesi dell'Est o del Sud del mondo, mi rendo conto che è ancora il solo modo per dare alla propria vita una certa dignità. Questo è tragico e al tempo stesso sublime". Tutto questo si ritrova nelle pagine dedicate a questa disciplina dall'autore de Il richiamo della foresta, come spiega Mario Maffi: «Ora, proprio nella capacità di superare le contraddizioni individuali e di andare oltre le dinamiche isolate, personali o collettive, di un momento, di un tempo o di un luogo, per restituirci invece, potentemente e limpidamente, istantanee e affreschi di tensioni sociali e culturali diffuse e ricoorenti, proprio qui risiede il continuo fascino della scrittura di London. Perché, in fondo e ancora una volta, come succede nelle narrazioni mitiche e leggendarie, e con tante opere di quell'epoca convulsa, "de te fabula narratur": è di te (è di noi) che si parla in queste storie».
Michele De Feudis
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