Dal Secolo d'Italia del 28 giugno 2011
«Spero un giorno di svegliarmi e scoprire che Gheddafi non c’è più». Juma Gtat ha scelto la Bbc per rendere noto il suo auspicio. Un incontro notturno con un giornalista della tv inglese in un albergo di Jadu, tra le montagne libiche di Nafusa – regione non a caso in mano ai ribelli – ha fatto sì che, nel giro di poche ore, la notizia facesse il giro planetario delle redazioni, ovviamente non soltanto di quelle sportive.
Perché Gtat non è uno qualunque, è il portiere della nazionale di calcio, il Buffon nordafricano, una star di primo piano e ufficialmente, da qualche giorno, un disertore, un renitente, un nemico del regime di Tripoli.
Un’uscita fuori dai pali, la sua, di quelle che fanno solo i portieri coraggiosi: «Dico al colonnello Gheddafi di lasciarci stare e permetterci di creare una Libia libera. È al potere da quarant’anni e il paese non ha una adeguata rete di infrastrutture e un sistema sanitario decenti». Una ribellione vera e propria, cui si sono aggiunti altri illustri colleghi. Sembrano lontane secoli le dichiarazioni del capitano Tariq Ibrahim al Tayb: «Tutta la squadra sta con Gheddafi». Almeno quattro, invece, sarebbero i “nazionali” in fuga e altri diciassette calciatori tra i più conosciuti, si vocifera, sarebbero già con le valigie in mano, pronti a lasciare il paese se non a unirsi ai ribelli. Certamente non sono queste le intenzioni di Al Saadi Gheddafi, ex giocatore di Perugia, Sampdoria e Udinese e soprattutto figlio del Raìs.
Tra i più scatenati col microfono in mano ci sono il popolarissimo allenatore dell’Al Ahly di Tripoli, Adel Bin Issa, e Mustafa Abdel Jalil, carismatico ex attaccante della nazionale, che già da tempo si è dimostrato uno dei leader più ascoltati della rivolta, uno dei pochi ad aver iniziato a criticare pubblicamente il dittatore in tempi non sospetti.
La storia d’amore tra Gheddafi e il calcio, pertanto, è finita nel peggiore dei modi. L’improbabile via calcistica alla guida un movimento pan-africanista si è dimostrata l’ultima delle illusioni. Lo sport nazionale, la formidabile arma di propaganda, s’è dimostrata spuntata. La qualificazione alla prossima coppa d’Africa – la Libia guida il suo girone davanti alle più titolate formazioni di Zambia e Mozambico – è ora a rischio, ma nel paese c’è qualcosa di decisamente più importante in gioco e la partita da vincere è quella della libertà. Al resto, curarsi le ferite e ricominciare, si penserà dopo.
Roberto Alfatti Appetiti
Nessun commento:
Posta un commento