Articolo di Luigi G. De Anna
Da il Fondo di lunedì 8 agosto 2011
Negli ultimi anni sono comparsi vari ed interessanti studi sul neo-fascismo. Usciti dalla fase della contrapposta storiografia, una aprioristicamente anti- e l’altra aprioristicamente pro-, siamo finalmente approdati alla disanima meditata e documentata scientificamente di questo fenomeno ideologico che ha esercitato un’influenza troppo spesso trascurata o dimenticata sulla cultura italiana. L’ultimo arrivato, ma tra i primi per meriti di qualità non solo per l’acutezza dell’analisi ma anche per la documentazione veramente ammirevole, estesa a testi difficilmente reperibili, è il lavoro di Luciano Lanna, Il fascista libertario. Da destra oltre la destra tra Clint Eastwood e Gianfranco Fini, Sperling & Kupfer 2011.
Se il sottotitolo è probabilmente editoriale, il titolo, il fascista libertario riflette molto bene il campo di interessi di Luciano Lanna, che col suo Fascisti immaginari del 2003, scritto insieme a Filippo Rossi, ha iniziato un lungo viaggio nell’ideologia alternativa della cultura di destra. A dire il vero, come presto si accorge il lettore, il termine “destra” va alquanto stretto e, nella sua definizione tradizionale non riesce a coprire tutto l’arco degli autori e dei personaggi di cui Lanna si occupa. Luciano Lanna appartiene a quella generazione, di cui egli stesso rende conto in questo libro, che si è formata intellettualmente dalla costola della Nuova Destra, cui dedica un capitolo intitolato “Generazione Campo Hobbit”. La definizione è felice, infatti quella di “Nuova Destra” risulta essere alquanto equivoca dato che questa esperienza metapolitica nasce proprio per negare la destra tradizionale, senza però diventare semplicemente un suo aggiornamento, cioè soltanto “nuova”, ma si sviluppa in un qualcosa che non apparteneva agli schemi ideologici e politici del secondo dopoguerra, che aveva eretto un incrollabile spartiacque tra destra e sinistra. In realtà questo tipo di analisi culturale era già stato comune ad alcuni intellettuali del periodo fascista, molti dei quali continuarono il proprio itinerario dopo il 1945, su ambedue i versanti dello spartiacque.
Recentemente, in un editoriale comparso sul Secolo d’Italia, Marcello De Angelis ha rivendicato con orgoglio il fatto che l’Unità e il Fatto quotidiano non mostrino più attenzione e simpatia per il quotidiano che dirige, e questo lo conforta, perché, dice, bisogna stare da una parte o dall’altra. Luciano Lanna è stato direttore, con Flavia Perina, del Secolo d’Italia. Il loro killeraggio è un fatto ben noto, ed è stato attuato in maniera spietata dalla dirigenza ex AN, la quale è riuscita a eliminare, con i due direttori, la linea culturale e politica che, dopo anni di grigiore e di ossequioso servilismo, aveva portato nella destra italiana una ventata di novità. E questa novità era appunto l’essersi liberati di rigide categorie di pensiero. Ma la logica del predominio berlusconiano riporta in auge gli steccati,che pare non dividano tanto due concezioni della politica e della cultura, quanto due diverse distribuzioni del potere.
L’itinerario di Lanna nella storia culturale italiana degli ultimi settanta anni è in realtà una ricerca della via all’anticonformismo visto come rifiuto proprio del potere, che è poi il rifiuto del compromesso con i potenti, e come aspirazione alla libertà di essere al di là degli schemi che imprigionano la cultura italiana. Per ottenere questo risultato, Lanna si concentra sul concetto di “libertarismo”, che concepisce come la possibilità di uscire da quanto delineato da una particolare ideologia, nel caso specifico il fascismo, e quanto di esso venne trasmesso al secondo dopoguerra. Questa operazione di andare oltre la destra e la sinistra ha appunto rappresentato l’essenza della Nuova Destra e in particolare della complessa elaborazione fatta da Marco Tarchi che, prima nell’ambito della corrente rautiana del M.S.I., e poi in maniera indipendente nella ND, e poi ancora come politologo tra i più apprezzati, ed acuti, del panorama accademico italiano.
Ma oltre a Tarchi, cui va il sincero tributo di Lanna, di questi fascisti libertari ce ne sono un buon numero. Molti di loro sono ancora attivi nel mondo dell’intellettualità, come giornalisti, o saggisti, o accademici. Alcuni, pochi a dire il vero, a dimostrazione che chi scelse quella strada non lo facevano per opportunismo politico, sono rientrati nell’alveo partitico e dispiace constatare come il seme della rautiana Linea a volte abbia tralignato nella pianta di un conformismo berlusconiano che lascia sconcertati. E lo dico, non per simpatia nei confronti di Gianfranco Fini e del FLI, ma proprio perché chi era nato e cresciuto intellettualmente “libertario” alla scuola di Longanesi, Montanelli (scuola questa un po’ più rischiosa data la tendenza indriana al piacere del consenso) e Accame, non poteva facilmente passare nel campo della banalità intellettuale del berlusconismo. E con berlusconismo non intendiamo solo un fenomeno politico esistente dal 1994, ma un modo di concepire e vivere la politica, innestandola sulla superficialità e sulla volgarità del potere dei media. L’Italia di plastica del Drago, o Caimano, o Papi che dir si voglia, ha sedotto però solo alcuni, anche se dispiace vedere come chi dalle pagine del Secolo criticava Berlusconi, cambiato direttore, ne fa il peana. E’ proprio vero quello che scrisse Ennio Flaiano: gli italiani sono sempre pronti ad andare in soccorso del vincitore (ma aspettiamo le prossime elezioni parlamentari…). La maggior parte di quegli “antichi neo-destri” è rimasta critica,e non poteva essere che così, altrimenti avrebbero negato la loro natura libertaria, di conseguenza in buona parte hanno firmato il manifesto lanciato qualche mese fa da Monica Centanni e Peppe Nanni.
La domanda di fondo su cui si basa il libro di Lanna è “può esistere un’altra destra?” Un interrogativo originariamente lanciato dal giornalista Filippo Facci. Lanna così risponde: «Si può rispondere di sì, a patto che si abbia il coraggio e la spregiudicatezza di sapersi sintonizzare con le sfide inedite della modernità» (pag. 25). Le sfide della modernità sono anche, per chi proviene dalla “vecchia destra”, rappresentate dalla difficoltà di conciliare la necessità politica, con le sue logiche di alleanze e di consensi elettorali, con la libertà dell’intellettuale. L’esigenza di raccogliere voti nell’opinione pubblica benpensante, tradizionalmente di destra, contrasta con quella di liberarsi degli schemi, di diventare insomma libertari. L’esempio più eclatante lo abbiamo avuto a Latina con le ultime elezioni amministrative. Quello che a tutti gli effetti era il primo tentativo non “fascicomunista” (brutto termine ossimorico inventato proprio per affossarlo) ma di sintesi tra destra e sinistra è infatti naufragato nella logica del bipolarismo, oltre che nel fuoco dei grossi calibri berlusconiani e anini.
La politica dunque non sembra offrire spazio al libertario di cui parla Lanna. E infatti il libertario, provenga dalla Nuova Destra o da quei movimenti antecedenti di rottura, come furono ad esempio Giovane Europa (su questo movimento è appena uscito un bel libro di Giovanni Tarantino) prima e poi quei movimenti di sintesi nati col Sessantotto, non riesce a trovare lo spazio elettorale in un sistema forzatamente bipolare, che reinventa le antitesi tra comunismo e anticomunismo della prima repubblica. Ma, in fin dei conti, ci interessa la proiezione politica? Ci interessa diventare un partito del 2 per cento? E’ una domanda su cui si dovrà meditare. Ma per molti di noi la risposta è ovvia: non è la proiezione politica la nostra missione. I tempi non sono adatti. Non sappiamo quando lo saranno, e certamente almeno il sottoscritto, generazione Sessantotto, non avrà il piacere di vedere i tempi nuovi. Ma almeno un piacere lo ha già. Come, alla fine del libro, dice il filosofo Giacomo Marramao, mio “contagonista” alla facoltà di Lettere di Firenze nel Sessantotto, «E’ la fine della guerra civile del Novecento, il tentativo di gettare le basi di una rigenerazione della politica del nostro caro Paese». E le parole con cui Lanna chiude il libro restano come un epitaffio da incidere sulla lapide del nostro futuro: “al di là della destra e della sinistra”. Come scrivemmo nel 1968 nel manifesto di Università Europea, “noi non siamo né a destra né a sinistra, siamo avanti”. Fin troppo avanti, forse. Ma non ci dispiace essere un po’ discosti dagli opportunisti e dai servi del potere.
Luigi G. de Anna
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