Dal Secolo d'Italia del 3 settembre 2011
Dimenticato. Rimosso. Di Carlo Bisi, fino a qualche mese fa, non erano rimaste tracce che non fossero quelle tratteggiate personalmente da questo raffinato artista, nato a Brescello nel 1890 e morto a Reggio Emilia nel 1982. Non che difettasse di valore o di un vasto pubblico di affezionati, alcuni illusti, tra cui Giovannino Guareschi, che di Bisi fu discepolo e amico e a Brescello stabilì la “location” della saga di Don Camillo e Peppone.
La colpa, mai perdonata, è stata di aver prestato il suo strordinario talento di illustratore alle nuvole parlanti quando pochi pionieri di carta e inchiostro, all’alba del Novecento, si apprestavano a confezionare le prime storie mutuandole dai comics americani. Arte minore, la liquidarono i sacerdoti della cultura ufficiale. Malgrado Bisi le arricchisse di suggestioni provenienti dal futurismo ludico di Fortunato Depero e dal clima culturale di Strapaese, facendone delle vere e proprie opere d’arte, per quanto popolare. E popolare era Sor Pampurio, la sua creatura più celebre, tanto che il nome di questo stravagante personaggio – apparso per la prima volta sul Corriere dei Piccoli nell’aprile 1929 – nel linguaggio comune di quegli anni diventerà sinonimo d’individuo irritabile e dalle reazioni imprevedibili. Indeciso a tutto, avrebbe detto Ennio Flaiano. Eternamente scontento, maschilista e tutto d’un pezzo. Inquieto al punto di inseguire sempre e comunque il cambiamento, di cui si fa egli stesso icona e metafora.
Chi non ne ricordasse l’aspetto – pelato, i capelli raccolti lateralmente in due gomitoli arruffati a fare da cornice al viso ovale allungato dall’immancabile pizzetto triangolare – può riscoprirlo sin dalla copertina di Un maestro dell’ironia borghese. Carlo Bisi fumettista e illustratore nella cultura del suo tempo, il volume recentemente edito dall’Anafi (Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione) che si è appena aggiudicato il Premio Franco Fossati, l’ambito riconoscimento riservato alle opere di critica e saggistica del fumetto realizzate da autori italiani. Il libro, come spiega il curatore Paolo Gallinari nella prefazione, contiene gli atti del convegno su Carlo Bisi tenutosi a Reggio Emilia nel dicembre 2010, il catalogo di due mostre organizzate lo stesso anno nell’ambito della 45a Mostra del Fumetto di Reggio Emilia e una serie di contributi sull’opera di Bisi, oltre a una serie di tavole in cui i disegnatori dell’ultima generazione raffigurano a loro modo il Sor Pampurio. Esercizio, quest’ultimo, tutt’altro che facile, tanto è “caratteristico” l’abito – immutabile quanto desueto, elegante nella sua originalità: spropositata giacca viola con altissimo collo rigido e cravatta a farfalla – che Pampurio indossa a mo’ di divisa e fiera rivendicazione d’adesione alla classe borghese.
Appartenenza che lo stesso Bisi non rinnegò mai. Neanche quando, nel dopoguerra, scoprirsi antifascista e ostentare una vocazione proletaria gli avrebbe senz’altro spianato la strada per ben altri riconoscimenti. Non che fosse stato un estremista, Bisi, semplicemente, faceva parte di quella maggioranza di italiani che durante il Ventennio aveva riposto fiducia nel fascismo. E l’accusa di fascismo non venne risparmiata neanche alle sue opere. Persino il povero Pampurio venne messo all’indice come reazionario. Nelle sue “strisce”, del resto, non c’è traccia di politically correct e trovano cittadinanza le opinioni e gli stati d’umore della popolazione. Senza inibizioni. Gli zingari? Nessun problema finchè non si accampano nei pressi della dimora campagnola di Pampurio. Ed eccoli rappresentati come «gente pittoresca ma assai sporca e brigantesca». Quando se ne andranno, «coi loro cenci e le loro bestie», Pampurio si accorge che sono sparite anche le sue galline!
«Volevo solo far ridere». Bisi, che disegnava tanto e parlava poco, tantomeno di sé, si giustificava così quando qualcuno cercava di tirarlo per la giacchetta, rimproverandogli di essere stato un fascista troppo zelante o, al contrario, un antifascista.
Con l’intento di fascistizzare il paese, del resto, sul finire degli anni Trenta il governo aveva emanato una serie di disposizioni alle quali gli italiani avrebbero dovuto conformarsi, pena l’applicazione di severe sanzioni. Fra queste manchevolezze – che Pampurio attribuiva soprattutto alle domestiche, sprezzantemente definite «servette» – figurava proprio l’inosservanza di tali disposizioni, ricordate nel volume: «tenere sgombra la soffitta per evitare di fomentare incendi in caso di bombardamento; rispettare di notte l’oscuramento degli edifici; non effettuare scorte alimentari; non consumare troppo sapone; abolizione del lei sostituendolo con il voi; non utilizzare termini stranieri; non parlare in pubblico di argomenti militari e bellici».
A qualcuno è parso che questa insistenza sull’applicazione delle direttive del regime fosse indicativa di un’adesione acritica alle stesse da parte di Bisi, facendone un mero propagandista, come quando Pampurio accusa la cameriera di essere contraria alla politica demografica fascista perché rifiuta di lavorare in una casa con bambini.
Ma, a ben pensarci, il Pampurio che fugge dalle difficoltà (magari con un bel trasloco) perché incapace di affrontarle, non ha molto a che spartire con l’Homo novus che il fascismo avrebbe voluto forgiare: coraggioso, ardimentoso, determinato. Pampurio, invece, con la sua imbarazzante volubilità, offre una versione cialtronesca e caricaturale della borghesia – di cui Bisi, con irriverenza, bonaria ma pungente, restituisce difetti ed egosimi: il culto esasperato della rispettabilità, la sfrenata aspirazione all’arricchimento, il marcato individualismo e la scarsa sensibilità sociale – e finisce per rappresentare un modello antitetico rispetto a quello auspicato da Mussolini. Considerazioni, queste, che farebbero di Bisi un fascista tiepido o addirittura un sottile nemico del fascismo.
Una cosa è certa: malgrado le storie di Pampurio avessero il dichiarato intento di intrattenere il pubblico dei giovanissimi, ai più adulti non sfuggiva la valenza “filosofica” di questa alienata epopea dell’uomo medio italiano, per certi versi rimasto molto simile a quello tratteggiato all’epoca da Bisi. Proteso, oggi come ieri, all’incessante compulsiva rincorsa verso un ideale benessere che, appena raggiunto, non manca di evidenziare la sua effimera natura. «La società secolarizzata moderna, sedotta dalla prospettiva di una felicità materiale basata sulla rincorsa all’avere più che all’essere – scrive Giulio C. Cucciolini nel testo – si presenta come terreno ideale per un’esistenza vissuta nello sfrenato consumismo». La lotta di Pampurio, che si tratti del cambio dell’appartamento, della sostituzione della domestica, della scelta della villeggiatura o dell’educazione del rampollo, altro non è che rimanere se stesso al di là della tentazione (della vertigine) del cambiamento. Tradizionalista nelle idee e progressista nella voglia di novità.
Duplicità in realtà solo apparente, quella della borghesia, al contempo statica e dinamica, perennemente in bilico tra conservazione e progresso, decadenza e rinnovamento, e nello stesso Bisi: pittore e incisore legato a una figuratività tradizionale e intimista e fumettista ante litteram aperto alle soluzioni stiliste più diverse e innovative. Una miscela che farà la fortuna dei personaggi che creerà per il Corriere dei Piccoli – dal dottor Piramidone a Gian Tranquillo, dalla Gazza servizievole alla famiglia Doggidì e Giacomino Guastaggiusta – e che fanno di questo «maestro dell’ironia borghese» uno dei protagonisti culturali più importanti della sua epoca, cui questo volume offre finalmente una necessaria riparazione.
Roberto Alfatti Appetiti
Nessun commento:
Posta un commento