domenica 13 novembre 2011

Sànchez Silva, la fantasia al servizio della religione (di Alberto Samonà)

Articolo di Alberto Samonà
Dal Secolo d'Italia del 13 novembre 2011
È passato quasi sotto silenzio, un paio di giorni fa, il centesimo anniversario della nascita di José María Sánchez Silva, scrittore, giornalista e regista spagnolo. Non uno come tanti, ma un pezzo da novanta, divenuto celebre in tutto il mondo per il suo racconto Marcellino pane e vino, tradotto in cento lingue e grazie al quale nel 1968 ottiene - unico spagnolo nella storia - il premio Hans Christian Andersen per la letteratura dedicata all'infanzia, noto anche come piccolo premio Nobel. 
Leggendo la sua vasta produzione letteraria e cinematografica, ci si accorge come Sánchez Silva possa essere giustamente annoverato fra i grandi scrittori della storia del Novecento, soprattutto per le tematiche trattate, che spaziano dai racconti per bambini all'elaborazione di alcuni spunti esistenziali e filosofici, sempre presenti in tutta la sua opera. Eppure il velo di oblio che avvolge da anni questo personaggio non sembra diradarsi nemmeno adesso, a cento anni dalla nascita e a nove dalla sua morte, avvenuta il 15 gennaio del 2002 fra l'indifferenza della sua Spagna e della critica letteraria mondiale.
La damnatio memoriae che accompagna il destino di José María Sánchez Silva ha, però, una spiegazione ben precisa: durante la guerra civile spagnola lo scrittore preferisce restare nell'area controllata dai marxisti e dagli antifascisti, aderendo con convinzione fin dai tempi della clandestinità alla «Falange Española», il movimento d'ispirazione fascista, fondato da José Antonio Primo de Rivera, fucilato nel '36 ad Alicante dai repubblicani. Una scelta evidentemente ritenuta intollerabile da certa intellighenzia, soprattutto alla luce del fatto che suo padre, pure lui giornalista, ma di estrema sinistra, era anarchico convinto e scriveva sulla rivista La Tierra.
José María, però, non vive a lungo con il padre e fin dai primi anni della propria vita conduce un'esistenza randagia, vagabonda, decisamente estranea a quella dei pargoli della buona borghesia madrilena. Da bambino vive per strada e poi entra in vari istituti per orfani, fra cui l'orfanotrofio «El Pardo» e la «Escuela de La Paloma» a Madrid, dove impara a scrivere. Un randagio con la passione per la scrittura.
Nel 1934 pubblica il suo primo libro El hombre de la Bufanda. Il successo internazionale, però, arriva con Marcellino pane e vino, che diviene un classico della letteratura per ragazzi e dal quale è tratto anche l'omonimo film, diretto dal regista Ladislao Vajda. Il successo del racconto convince Sánchez Silva a ripetere altre storie con lo stesso personaggio, fra cui Storie minori di Marcellino pane e vino e Avventure in cielo di Marcellino pane e vino.
In Marcellino c'è molto di autobiografico: la storia narra di un bambino abbandonato davanti a un convento di frati, che lo accolgono e lo allevano amorevolmente. Il piccolo, un giorno, scopre in soffitta un vecchio crocifisso e, per proteggerlo, decide di accudirlo, portandogli cibo e riparandolo dal freddo. Fra Marcellino e l'uomo con la barba nasce così una grande amicizia, una toccante compassione che esprime una profonda spiritualità, tanto che don Giussani descrive con queste parole il racconto: «Gli occhi di Marcellino sono sgranati sulla positività dell'essere, sono un inno alla morale cattolica, che è un guardare lasciandosi attrarre».
Ed è lo stesso José María Sánchez Silva a spiegare qual è l'intento che egli esprime attraverso Marcellino: «Ho pensato che di fronte alle vane fantasticherie che vanno di moda oggigiorno, sarebbe stato utile raccontare ai ragazzi, e ove a questi non fosse possibile, almeno ai loro genitori, perché a loro volta la raccontassero ai propri figli, una delicata storia cristiana, piena di tenerezza e dolcemente impregnata dell'idea della morte, così estranea alla maggior parte dei giovani».
E l'idea della morte è presente in molta parte della sua produzione letteraria, così come in alcuni suoi celebri articoli giornalistici. In un articolo che egli dedica a Josè Antonio Primo de Rivera, consegna ai lettori una riflessione sulla sua morte, come biglietto da visita per la vita di generazioni future. «Resterà per sempre giovane - scrive Sánchez Silva su José Antonio - perché i proiettili rossi gli hanno impedito di invecchiare. È stato un buon figlio, buon studente, un buon soldato e un buon spagnolo. Ma, soprattutto, era un politico straordinario, che conosceva bene la storia della Spagna [...] La sua singolarità paradossalmente era la sua normalità, nella sua sana, intelligente e preziosa volgarità spagnola. Volgarità di attitudini e credenze per nulla volgari. E solo perché è stato un uomo chiaro, trasparente e semplice, ora giace sotto una pietra chiara e pulita, nella quale ci piace riconoscere lo stile della Spagna».
Altri temi portanti di José María Sánchez Silva sono la povertà, vista come una possibilità di redenzione per gli esseri umani, l'amore senza definizioni e l'idea della presenza di Dio in tutte le cose, di cui trasudano i suoi articoli, i racconti e i suoi libri.
Nel 1939 è giornalista al quotidiano Arriba, di cui diviene vicedirettore. Qualche anno più tardi collabora con il giornale El Pueblo. Come regista, nel 1936 gira il film Chi mi ama?. Qualche anno dopo viene chiamato a ricoprire la presidenza dell'Escuela Oficial de Cine, il dipartimento nazionale spagnolo di cinematografia. Nel 1942 dirige la commedia Le due strade, che gli procura grande fama e alla quale collabora come sceneggiatore nientemeno che il «generalissimo» Francisco Franco. Nel '44 esce un'altra commedia di successo, intitolata Il destino si scusa, mentre nel 1950 porta sul grande schermo il suo Don Juan. Nel venticinquesimo anniversario del franchismo, insieme a José Luis Sàenz de Heredia scrive la sceneggiatura di Franco: questo uomo, film dedicato al «Caudillo de España», che esce con il benestare dello stesso dittatore.
Parallelamente prosegue anche la propria attività di scrittore di racconti per ragazzi. Fra i racconti di maggiore successo c'è ¡Adiós, Josefina!, da cui è tratto il cartone animato La balena Giuseppina. Protagonista del racconto è Choppy, un bimbo di Madrid, timido e introverso, che a causa del proprio carattere si rifugia spesso nel mondo della fantasia; qui incontra la balena Josefina, che solo lui riesce a vedere. Anche qui, i temi per bambini si alternano a spunti onirici e filosofici.
Qualche anno dopo escono Ladis, un piccolo grande e Cose di topi e di conigli. Nel 1957 vince il Premio nazionale di letteratura e undici anni dopo arriva, appunto, il Premio Andersen, che lo consacra fra i grandi della narrativa.
Alberto Samonà

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