Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 18 dicembre 2011
Le idee e le culture anticonformiste hanno nelle pagine di Diorama lettario una raffinata vetrina. La rivista di cultura diretta da Marco Tarchi, nel numero 305 (acquistabile in tutte le librerie del circuito Feltrinelli), offre un ampio repertorio di analisi controcorrente sugli equilibri internazionali post undici settembre e la traduzione di un interessante dossier del bimestrale francese éléments sulle "primavere arabe".
Il politologo fiorentino, nel saggio introduttivo intitolato "Servi dell'impero", evidenzia come la partita più importante si stia giocando sul tema "delle mentalità collettive", elemento essenziale che accompagna le politiche americane nel mondo. La realtà, però, è molto più complessa e non può essere letta secondo schematismi manichei: «La conquista dell'agognato ruolo di gendarme planetario (da parte degli Usa, ndr ) è stata però, bisogna riconoscerlo, ostacolata dalla forte crescita economica di concorrenti inattesi, primi fra tutti Cina e India, e lo scenario unipolare disegnato dagli strateghi neoconservatori dell'amministrazione Bush si è rivelato fin qui impraticabile». Tarchi poi evidenzia che la «carta vincente degli Usa» è stata «il ricorso sistematico e onnipervadente all'ideologia dei diritti dell'uomo, costruita a immagine e somiglianza del loro modello di società e dei progetti di espansione imperiale connaturati al paese che aveva già partorito nel corso di oltre due secoli di vita le dottrine del "destino manifesto" e del cortile di casa" e che fin dalla nascita ha coltivato la convinzione di aver ricevuto da Dio il compito di adempiere ad una missione universale di conversione al Bene dei miscredenti».
Il filosofo Alain de Benoist, in un articolo ripreso dal numero 140 di éléments, invece, offre la sua lettura delle rivoluzioni in corso nei paesi arabi. «Le rivolte - scrive - sono state fortemente cittadine e borghesi, poco operaie o contadine. Sono stati piuttosto "moti dettati dalla frustrazione", come li ha definiti Olivier Roy, quelli ai quali abbiamo assistito. E il fattore decisivo è stato il sostegno dell'esercito, un appoggio così netto che non ci si può chiedere se le "rivoluzioni popolari" non siano state anche dei colpi di stato militari mascherati». Lo scrittore francese ritiene i nuovi movimenti islamisti all'orizzonte "differenti" rispetto ai modelli neofondamentalisti presenti sia in Arabia Saudita che in Iran: «Da tempo ormai Bin Laden non è più un modello e gli stessi Fratelli musulmani, in Egitto, sono dei conservatori liberali, adepti di valori conservatori e di un "islam di mercato". Dato che il concetto di Stato islamista non è più all'ordine del giorno, a profilarsi all'orizzonte è la via turca. Il paese che serve da punto di riferimento è ormai la Turchia di Erdogan. E con essa il partito islamico moderato che dirige questo paese da otto anni».
Il dossier è arricchito da una intervista al politologo svizzero Patrick Haenni, autore dello studio L'islam de marché. L'autre révolution conservatrice (Seuil). Con una testimonianza diretta dal paese delle Piramidi, lo studioso sottolinea la grande capacità mobilitativa delle nuove generazioni tramite i social network, un fenomeno esploso con la manifestazione commemorativa del giovane Khaled Said, pestato a morte da due poliziotti «per aver diffuso in rete un video che li mostrava mentre stavano spartendosi droga e denaro».
Michele De Feudis
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