lunedì 30 luglio 2012

Vin Diesel, quando il gioco si fa duro

Dal Secolo d'Italia del 15 luglio 2012
La pelata richiama quella di Bruce Willis. Per quanto "duro a morire", però, l'ex marito di Demi Moore galoppa stancamente verso i sessanta. Rambo fa su e giù tra grande e piccolo schermo da trent'anni e all'irreversibile "flessione" dell'audience corrispondono i muscoli, decisamente meno tonici di un tempo, del vecchio Sylvester Stallone. Per non parlare di quelli di Schwarzenegger che, ormai, li mostra solo in politica, con risultati non sempre edificanti. 
L'ultimo macho di Hollywood non è un higlander degli anni Ottanta ma un quarantenne, perché Vin Diesel, nato a New York nel 1967, ne compirà quarantacinque il 18 luglio. Da dieci anni a questa parte, è lui l'unico a rimanere saldamente in pista, con la stessa guascona determinazione di quel Dominic Toretto che nel 2001 fece rombare i motori nel primo, mitico, "Fast and Furious". Il successo arrivò a tutta velocità. Da allora, l'attore americano di sangue italiano (siciliano, via materna) avrebbe potuto vivere di sequel e invece soltanto recentemente ha accettato di fare il quinto episodio della celebrata saga automobilistica, a condizione di produrlo. Sbancando il botteghino. Allo stesso modo, ha atteso a lungo prima di reindossare i panni del criminale spaziale Riddick, il protagonista di "Pitch Black", pellicola a bosso costo diretta da David Twohy nel 2000 e diventata un vero e proprio cultmovie della fantascienza. «Combatti il male con il male», recitava lo slogan promozionale del film riferendosi alla specie aliena particolarmente aggressiva con cui il protagonista era chiamato a misurarsi. Fuori dal set, invece, Vin Diesel ha dichiarato guerra a un nemico persino più insidioso, gli Studios, combattendolo con le sue stesse armi: il business.
«Non mi sono fatto comprare. Non faccio sequel perché lo vogliono loro. Non scendo a compromessi», ha spiegato. L'ambizione originaria e mai del tutto sopita, del resto, era quella del filmaker e con i suoi primi lavori aveva attirato la curiosità di Steven Spielberg. È il celebre regista, nel 1998, a cucirgli addosso la prima divisa da duro, inventando per lui il ruolo del soldato Caparzo in "Salvate il soldato Ryan". Il phisique du role, del resto, non gli mancava e il nom de plume, come suol dirsi, era/è tutto un programma. Perché se Vin è "solo" l'abbreviazione di Vincent - il suo vero nome è Mark Vincent Sinclair III - Diesel si riferisce all'inesauribile energia dimostrata quand'era buttafuori in un nightclub.
Perfetto nel ruolo di Riddick, cattivo che si fa carico di salvare anche i buoni, è altrettanto credibile in quello di Toretto. Ribelle e, in quanto tale, fuorilegge, vive nel mondo delle corse clandestine, in cui la vittoria è l'unico modo per sopravvivere. La sua frase preferita metterebbe d'accordo Mussolini e Boniperti: «Non importa se vinci di un centimetro o di un chilometro, l'importante è vincere». Il fine giustifica i mezzi, avrebbe aggiunto Machiavelli. E i trucchi. Con l'uscita nelle sale di Fast and Furios il tuning esce dalla nicchia per farsi fenomeno di massa: la passione per le auto truccate contagia ogni fascia sociale. «La nostra è stata una posizione piuttosto netta - ha rivendicato l'attore - perché all'epoca le auto truccate erano costosissime, mentre oggi invece si può trasformare un'auto comunissima in una Lamborghini».
La trama è semplicissima. Chi guida le auto è un cavaliere moderno, pienamente a proprio agio nella modernità. Il messaggio del film, se vogliamo trovarne uno, è implicito: la modernità può essere "cavalcata" e la macchina, restituita a una dimensione di pura bellezza e potenza, può rappresentare un mezzo di autentica espressione popolare. La sfida estrema non è tanto tra piloti e auto in competizione, ma tra coraggio e viltà, tra stili di vita diametralmente opposti, tra amici - perché il film è anche il racconto di un'amicizia - e resto del mondo. Tra irregolari e conformi.
Più motori che donne, perché la famiglia vale più di estemporanee conquiste. «Quello della famiglia - ha spiegato - è un tema ricorrente nel mio lavoro. È una cosa che la gente non si aspetta in un action movie. I film d'azione possono avere un cuore e Fast & Furious 5, che supera per azione tutti i film precedenti, ha il cuore più grande di tutti».
Più gioie che dolori, pertanto. Almeno a giudicare dalle rare interviste dell'attore in materia sentimentale. «Non metterò tutto sulla copertina di una rivista come vari altri attori. Io provengo dal "codice del silenzio" di Harrison Ford, Marlon Brando, Robert De Niro e Al Pacino». E proprio ad Al Pacino e De Niro, icone della mafia a stelle e strisce, Sidney Lumet ha preferito Vin Diesel per "Prova a incastrarmi, film del 2006 ispirato alla storia vera della famiglia Lucchese. Un processo durato due anni in cui il mafioso non collaborazionista Fat "Jack" DiNorscio si conquisterà, difendendosi da solo, il favore della corte. Un'interpretazione, quella di Vin Diesel, che ha spiazzato la critica più irriducibile, dimostrando che, anche quando non indossa i panni dello sportivo, dello street racer, dell'agente segreto e del mercenario, affidandosi soltanto alla recitazione, può essere più convincente dei suoi colleghi di reparto. Volete la controprova? Provate a immaginare Van Damme senza cintura nera e Steven Seagal con le mani in tasca. E poi cambiate canale.
Roberto Alfatti Appetiti

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