Dal Secolo d'Italia del 16 dicembre 2012
“Mastro Titta passa ponte”. I romani salutavano così ogni sentenza di morte del Papa Re, allorché Giovanni Battista Bugatti – meglio noto come Mastro Titta – lasciava il borgo papalino, varcava il Tevere e mozzava teste nelle centrali piazza del Popolo o del Velabro. Esecuzioni “esemplari”, come la carriera da boia: oltre cinquecento giustiziati tra il 1796 e il 1864. Qualche settimana fa, poi, Mastro Titta è passato in tipografia: una sua raccolta di racconti, “Un boia nella rete” (edizioni youcanprint), è da poco disponibile in libreria e più facilmente ancora su ibs.it. C’è un però: la lunga vita del famoso boia, novant’anni, ha avuto fine nel giugno del 1869. Chi è, pertanto, l’autore?
Se nel secolo scorso fu un anonimo a darne alle stampe una finta autobiografia, questa è la volta di Roberto Giuseppe Mignosi, romano di sangue siciliano, dirigente pubblico con la passione della narrativa.
Il “suo” Mastro Titta, a ben vedere, non è affatto un carnefice e del personaggio conserva piuttosto la bonarietà disincantata di Aldo Fabrizi, l’attore romano che lo interpretò giusto cinquant’anni fa in “Rugantino”, la commedia musicale di Garinei e Giovannini. Dopo le trasposizioni teatrali e cinematografiche, è Mignosi a riportare Mastro Titta sulla scena “letteraria”, facendolo passare da un apprezzato apprendistato su quella virtuale del web. Già da qualche anno, infatti, i racconti di Mastro Titta impazzavano nei forum di discussione politica online. In quel panorama, non poteva passare inosservato. Perché, paradossalmente, non emetteva sentenze. Parlava d’altro, per dirla con Ennio Flaiano. Chi ha frequentato forum generalisti, poi, sa quanto difficile sia catturare attenzione dei lettori del web, per avere una chance la brevità è condizione indispensabile.
Una regola cui Mignosi, con lo pseudonimo di Mastro Titta, si è attenuto. Ha raccontato storie brevi, inevitabilmente nascoste tra centinaia di feroci discussioni ideologiche. Racconti semiclandestini per scelta, per la riservatezza dell’autore, per pudore, quello stesso pudore che si coglie in ogni singolo racconto, com’è giusto che sia quando si entra nella sfera dei sentimenti.
Chi leggerà queste pagine si imbatterà in “personaggi” come il vecchio commesso, l’uomo dei segreti di Palazzo Chigi, l’eroe terrorista e tanti altri. Persone talmente comuni da poter essere dimenticate con noncuranza, malgrado abbiano percorso un lungo tratto di vita accanto a noi, «amici che non possono più raccontare la loro storia». A loro l’autore restituisce non solo dignità letteraria, il che sarebbe di per sé effimero, ma dignità di uomini e donne. Se il vecchio boia tagliava le teste, quello che noi abbiamo conosciuto e apprezzato rimette tutti i pezzi del mosaico a posto, ristabilisce le priorità. Ci invita a non perdere di vista le persone che amiamo, ad apprezzare quello che abbiamo e che altri per noi e con noi hanno costruito. Il sacrificio dei genitori per i figli, il rapporto tra nonno e nipote, una bambina in affidamento, una moglie che, per curare la nostra famiglia, trascura se stessa. «Una ragazzina bruna e minuta – scrive ne “La donna più bella” – può diventare bellissima in una sfilata di moda ma le nostre compagne, loro sì, vere, se avessero tempo da dedicare a loro stesse, non avrebbero niente da invidiare alle modelle».
«Mastro Titta è di destra o di sinistra?» gli chiedevano insistentemente i lettori del web. «Jan Palach era di destra o di sinistra?». Se lo sente chiedere Mignosi da un compagno di viaggio nell’invernale Praga di capodanno. «Rappresenta tutti i giovani idealisti, di destra, di centro e di sinistra», gli risponde in uno dei suoi racconti più belli. Mastro Titta è un idealista che ha vinto la sua battaglia, facendo dei “valori” – parola quanto mai abusata – una prassi quotidiana. Una prassi che non è mai troppo tardi per praticare. Come accade ne “Il mondo in corsia”, dove si impara a essere gentili solo tra morituri, ormai sconfitti dalla malattia. Be’, non sarebbe male se un pizzico di gentilezza, di disponibilità, di attenzione o almeno di curiosità, nutrisse le nostre giornate. Senza rinunciare ai sogni, per non trovarci come il vecchio, in pensione da sette anni e ormai allo stremo delle forze, che «ora che tutto è a posto», che i figli sono sistemati e il mutuo della casa è pagato, potrebbe finalmente comprarsi quella Jaguar desiderata da quand’era bambino e leggeva Diabolik. In paradiso ci si può andare anche cavalcando un’automobile sportiva, ci suggerisce Mastro Titta e, sì, ce lo dice strizzando l’occhio.
Roberto Alfatti Appetiti
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