Da Area di novembre 2012
I due cowboy che si fronteggiano con le mani
sulla fondina hanno i volti di Kirk Douglas e Rock Hudson. Un classico: il
primo interpreta il bandito, l’altro lo sceriffo. Kirk è più veloce, ma perde. Non
è l’unico colpo di scena: l’allora splendida Dorothy Malone, che assisteva trepidante
al duello finale, corre al capezzale di Kirk, non dal vincitore. «Nonno, ma la
ragazza non si innamora sempre di quello che vince?». Il cinema può esercitare
un potere straordinario sull’immaginario, tantopiù se il bambino ha appena
dieci anni. Il nonno non risponde. Non lo fa mai quando il piccolo Mike gli
ricorda suo figlio Toni, morto con la divisa fascista l’ultima giornata di
combattimento, mentre tutti gli altri scappavano. Soltanto rivedendo il film
una seconda volta, Mike scopre che Kirk aveva la pistola scarica: non voleva rischiare
di uccidere l’amico Rock.
Per raccontarci l’adolescenza burrascosa di
Michele Balistreri, l’irrequeto commissario di Polizia che avevamo già conosciuto
in “Tu sei il male”, vero e proprio caso editoriale dell’anno scorso, Roberto
Costantini ci riporta nel 19612 La scena finale del western “L’occhio caldo del
cielo” apre “Alle radici del male”, il secondo romanzo dell’annunciata trilogia
made in Marsilio. È assistendo a quella proiezione nel cinema di Tripoli che
Mike scopre la nobiltà della sconfitta e sceglie da che parte stare.
«L’Italia è un paese di traditori», si ripete,
mentre sente montare dentro di sé l’insofferenza per il proprio paese. Cresce nutrendosi
con le letture di Omero, di Nietzsche e del primo Mussolini, misurandosi con
arti marziali e patti di sangue, morti irrisolte e complotti internazionali
nell’affascinante scenario libico. Luoghi che Costantini conosce bene, per
esserci nato, nel 1952, e vissuto.
«L’Italia di oggi è governata da una classe
politica che è nata tradendo il proprio paese durante una guerra. E da quel vostro
esempio tutti gli italiani hanno imparato che la convenienza personale viene
prima della lealtà». Balistreri risponde in questo modo al potente senatore che
gli rimprovera di non cercare un assassino ma un traditore. Non è più un
ragazzo, ma un commissario anomalo. Sì, perchè sin dalle prime pagine di “Tu
sei il male”, ambientato nella Roma dei primi anni Ottanta, avevamo scoperto
con una punta di sorpresa che il trentaduenne Balistreri è fascista, non a caso
vive alla Garbatella, «quartiere popolare costruito dal duce» e il Secolo d’Italia è l’unico quotidiano che
legge. Come spesso accade, pertanto, ci attendevamo la solita caricatura, il
clichè del fascista razzista o quanto meno stupido e senza cultura. Tutt’altro,
invece. Più Costantini ci conduce nelle zone buie del passato di Balistreri,
più ne emerge la personalità ricca e la sete di giustizia. «Niente calcoli e
compromessi: solo onore, azione e coraggio». Lezione consolidata da una visita
a El Alamein. «Girammo in silenzio tra quelle tombe fino all’epigrafe dei
ragazzi della Folgore, quelli di cui mia madre mi aveva raccontato. Caduti per
un’idea, senza rimpianto».
Nel luglio 1982 gli italiani festeggiano il
mondiale di calcio appena vinto e lui commenta amaro: «Tutti i balconi
esponevano il tricolore. Doveva essere la prima volta dai tempi di Mussolini.
Forse dal giorno in cui l’avevano appeso a testa in giù a Piazzale Loreto. Un
paese senza onore». Era tornato nel 1970 e aveva trovato «i preti al governo,
gli operai nelle piazze, gli studenti che imbrattano i muri delle università
con la falce e un martello, un popolo che desidera solo a Fiat nuova, la
benzina meno cara, un lavoro sicuro e possibilmente poco faticoso». La
democrazia non lo convince: «Odio davvero quella parola,
maggioranza. Mi fa sentire poco libero, obbligato a dire che sì, va bene così».
Aveva militato
nel Msi, ma quel partito si era rivelato troppo moderato per lui. «Ero passato
con naturalezza a Ordine nuovo, tre anni intensi in cui speravo di cambiare il
mondo, poi alla fine del 1973 un ministro democristiano l’aveva sciolto e
arrestato i suoi dirigenti. Una follia che aveva lasciato allo sbando decine di
ragazzi». Alcuni di loro diventano terroristi, «disonorando gli ideali in cui
credevamo». Lui accetta di collaborare con i servizi segreti per bloccarne
dall’interno le iniziative. Vuole evitare che possano pagare degli innocenti,
ma presto capisce che i servizi non hanno sempre a cuore il bene collettivo e
si chiama fuori. Si laurea in filosofia e nel 1980 vince il concorso da
commissario, un’occupazione temporanea, «perché mai sarei diventato un vecchio
poliziotto rimbambito, chiuso nel suo ufficio a servire uno Stato imbelle e
corrotto». Sarebbe tornato a cacciare i leoni in Tanzania. «Non sarei rimasto a
vedere come sarebbe crollata l’Europa americanizzata. I popoli avrebbero
scoperto che l’abbinamento della democrazia con il capitalismo e la finanza è
una ricetta mortale per i più deboli, una dittatura dei potenti mascherata».
Nella sua formazione, scopriamo ora, è
determinante il clima familiare e l’esperienza africana. Quando il professore
di storia al liceo frequentato in Libia, rigorosamente con l’eskimo e la barba
lunga, afferma che la colonizzazione in Libia è stata realizzata da un gruppo
di criminali – «e se tuo nonno è fascista, allora è un criminale»
– non ci pensa due volte: il professore finisce in una fontana e lui espulso
dalla scuola. Se il nonno, in realtà, è solo un colono potente e rispettato dai
libici, la figlia Italia, madre di Mike, è dichiaratamente fascista: «i
perdenti possono essere migliori dei vincitori e vedrai in che mondo saremo tra
cinquant’anni grazie ai vincitori». Dopo la conquista del potere da parte di
Gheddafi, con il colpo di Stato del settembre 1969, gli italiani saranno
considerati tout court fascisti, spogliati
di ogni bene e rispediti nel paese d’origine. L’accoglienza che riceveranno in
patria non sarà delle migliori. Costantini non ci gira intorno nel riferire
come anche in Italia quegli emigrati di ritorno venissero (mal)trattati come
fascisti: «Ammassati sulla banchina sotto il sole per ore, in attesa di sapere
a quale campo profughi erano destinati, avevano provato a protestare sentendosi
rispondere da un funzionario statale che in Italia nessuno aspetta i fascisti
con la banda e le bandierine. Che dovevano ringraziare il cielo se non li
lasciavano lì per strada». Il rancore di Michele cresce.
Lo ritroveremo nel 2006. «Onore, lealtà e
coraggio erano ancora lì. Aveva assistito al declino dell’Occidente che si era
manifestato di pari passo con la consunzione del suo corpo del suo spirito». Ha
più di vent’anni di servizio ed è alla guida della sezione speciale formata per
contrastare i crimini degli extracomunitari. A volelo in quell’incarico è stato
il questore di Roma, consapevole del passato neofascista ma anche del valore
dell’uomo. «Anche se usava ancora termini come patria, onore lealtà, non
parlava con i politici e non frequentava le loro cene sui terrazzi o nei
circoli più esclusivi». Pur di offrire colpevoli in pasto alla stampa, tutti sono pronti ad attribuire la catena di
omicidi che sta scuotendo la capitale ai Rom. Lui è l’unico a cercare altrove
la verità, senza accontentarsi delle apparenze, senza lasciarsi intimorire dai
forti interessi economici che si nascondono dietro quelle morti. Balistreri non
è (più) anticomunista, come un altro luogo comune vorrebbe il fascista tipo. Il
questore, del resto, «apparteneva a quella sinistra che aveva combattuto quando
la temeva. Oggi la trovava inoffensiva e confusa come un novantenne in mezzo al
traffico». Una frase impietosa quanto calzante, quest’ultima, che rappresenta
la sinistra italiana molto più efficacemente di quanto potrebbe fare un
qualsiasi analista politico. Non è l’unico affondo sulla realtà, Costantini in
“Alle origini del male” è feroce nel tratteggiare un quadro tutt’altro che
edificante dello spregiudicato sottobosco di sterlette, agenti e divi che si
muove dietro il rassicurante piccolo schermo. E neanche Vaticano e politica ci
fanno una bella figura. Si stava meglio quando si stava peggio? Forse no, ma
non ditelo a Balistreri.
Roberto Alfatti Appetiti
1 commento:
Roberto ho appena finito di leggere la tua recensione a questo romanzo: la descrizione che fai del protagonista Mike Balistreri mi è piaciuta così tanto (lo trovo così in sintonia con il mio modo di vedere tanti vicende recenti e meno recenti dell'Italia) che credo che dovrò rivedere una mia personale graduatoria letteraria. Questa graduatoria riguarda i personaggi fascisti della letteratura dei quali la narrazione delle vicende mi ha appassionato maggiormente. Fino ad oggi il posto d'onore era riservato ad Accio Benassi protagonista de "Il fascio-comunista" di Antonio Pennacchi, seguito da Francesco Zazzi detto Franz de "Il paese delle meraviglie" di Giuseppe Culicchia. Ma ora non ho dubbi: Mike Balistreri avrà la meglio sugli altri due.
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