Alfatti Appetiti pubblica “Tutti dicono che sono un bastardo” vita e opere di uno scrittore che visse sempre al limite
di Federica D’AmatoIn un saggio dedicato allo scrittore russo Dostoevskij, il suo autore, il filosofo ebreo Lev Isaakovic Šestov, ricorda un fatto fondamentale per la critica letteraria, che nessun addetto ai lavori – dilettante o professionista che sia – dovrebbe mai dimenticare. Šestov asserisce che vi sono uomini, e nel nostro caso scrittori, che vengono visitati dall'Angelo della Morte e da quel momento la loro esistenza non sarà più la stessa. Il perché è facile intuirlo: l'Angelo della Morte donerà loro la facoltà di vedere quel che non si può vedere, di raccontarlo agli altri uomini, di penetrare l'oscuro velo del mondo, ma tutto questo ad un prezzo altissimo, un prezzo che spesso si paga con l'ostilità e la persecuzione da parte dei nostri simili, o addirittura con la vita. Essenziale riconoscere in un artista se questa mortifera “visitazione” sia avvenuta o meno, perché solo così potremo riconoscere il vero dal falso, l'autentico demiurgo dal mediocre. È quello che certamente ha fatto l'infallibile intuito critico di Roberto Alfatti Appetiti, il giornalista romano naturalizzato aquilano, che in questi giorni torna in libreria con “Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski” (Bietti, 2014, 19 euro), corposo volume di ben 330 pagine nel quale Appetiti ci racconta, tra lo svagato e il chirurgico, quando come e perché il ferale scrittore allemando-californiano Charles Bukowski fu visitato dal suo Angelo, fu immesso nel destino della sua ubriaca Morte. Piaccia o meno, questa attentissima biografia restituisce Bukowski a quello che effettivamente è stato: una bestia bruciante di vita, un derelitto, un malinconico, reazionario a qualsiasi catalogazione, retorica o compiacimento, un bastardo annegato nel dolore oceanico della vita.
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