Il profilo di Gaetano Longobardi, detto Nino,
tracciato da Roberto Alfatti Appetiti in questa sua nuova biografia è quello di
un personaggio originale, ribelle, eccentrico, lunatico, vanitoso e sempre
sopra le righe. Temuto e adulato, da vero irregolare, riconobbe come suoi soli
maestri Leo Longanesi, Ennio Flaiano e Indro Montanelli.
di Valerio Alberto Menga - 11 marzo 2017
Nell’ottobre del 2016 la casa editrice
Historica, diretta da Francesco Giubilei, ha pubblicato la biografia di un
dimenticato: Nino Longobardi. Il Re del giornalismo che prese a pugni i
potenti. La firma del saggio in questione è quella di Roberto Alfatti Appetiti,
autore del blog “L’eminente dignità del provvisorio”, già noto per aver scritto
la prima biografia italiana di Charles Bukowski Tutti dicono che sono un
bastardo, per le edizioni Bietti. Nel caso non fosse chiaro, ad Alfatti
Appetiti piacciono gli irregolari, i battitori liberi, i border line. Sono quei
personaggi, o quegli autori, politicamente scorretti, sempre sopra le righe,
sempre sul filo del rasoio. E il caso di Longobardi rientra a pieno titolo
nella categoria umana sopra accennata. Quindi è a questo che si deve la scelta
editoriale di inserire il volume tra i Fuori collana. Perché, almeno a detta
dell’autore, si tratterebbe di un fuori classe.
Gaetano Longobardi, in arte Nino, nato a Torre
del Greco nel 1925, era il figlio del podestà della città partenopea. Sempre
ribelle e fuori dagli schemi, con la sua irriverenza riuscì a farsi notare da
Leo Longanesi che lo volle al “Borghese” da lui fondato. Nel 1953 partì per
Roma insieme a Lidia, una bella comunista torinese che aveva conquistato, per
lavorare al “Messaggero” dove scriverà, nel giro di un ventennio, migliaia di
articoli. Secondo l’autore, Nino era “la penna più ammirata e temuta del
Messaggero di Roma” che, con un solo articolo, riuscì a far migliorare le
condizioni del carcere di Poggioreale di Napoli. Un suo giudizio, pare, poteva
bastare da solo a decretare la promozione o la degradazione di un collega
all’interno della redazione.
Da vero longanesiano, il suo carattere era
difficile e le sue abitudini davvero poco ortodosse. Fisicamente scostante,
disprezzava il servilismo tipicamente italiano, probabile retaggio di un
popolo, come il nostro, costretto a barcamenarsi tra un invasore e l’altro, pur
di sopravvivere. Il suo ufficio era inaccessibile per il disordine, e
soprattutto a causa della taccola che lasciava svolazzare libera fuori dalla
gabbia. La linea tratteggiata da Alfatti Appetiti nel descrivere il personaggio
mostra un Longobardi uomo originale, “sprovvisto di ogni timore reverenziale,
immune da ogni piaggeria”, sempre con la battuta pronta. Da abile cavallerizzo,
disse di sé al direttore di non saper cavalcare ma in compenso di riuscire a
nitrire benissimo.
Data la sua vicenda familiare, aborriva
l’utilizzo dell’etichetta di fascista o antifascista con cui nel secondo
dopoguerra si usava definire se stessi o gli altri. Con una battuta, disse che
se il fascismo ripeteva retoricamente “Largo ai giovani, l’antifascismo ha
fatto posto ai vecchi”. Durante gli anni della contestazione scrisse una
lettera ai giovani “rivoluzionari” dicendo loro:“Siete in rivolta contro tutto
e tutti. Anche contro i comunisti (ai quali oggi in Italia tutti baciano le
mani in attesa di leccare i piedi)”.
Come suoi maestri riconosceva solo Leo
Longanesi, Ennio Flaiano e Indro Montanelli. Lunatico, vanitoso, disordinato ed
eccentrico, odiava stare da solo, volendo sempre un pubblico davanti a sé. Si
rifiutava di guidare la macchina, facendosi portare in giro con i taxi. Capitò
più di una volta di lasciare in attesa il tassista “solo qualche minuto” per
poi dileguarsi nel nulla, senza più tornare. La voce si sparse creando non
pochi problemi ai colleghi che, per fare ritorno a casa accompagnati da un
autista, dovevano fornire un indirizzo differente da quello della redazione,
recandosi nel posto più vicino per far sì che i tassisti accettassero la
prenotazione. Forse è per questo che Piero Ottone lo considerava “il più
divertente di tutti e il più pazzo”.
Da ecologista sincero e ante-litteram condusse
la sua battaglia per l’ambiente, fuori dagli schemi radical-chic, colpevoli, a
suo dire, di averla “degradata a una moda snobistica”. Nemico giurato della
plastica, difese a spada tratta le tradizionali bottiglie di vetro;
antiabortista convinto, ma divorzista, fu un cattolico sui generis. “Cronache
italiane” era la sua rubrica, seguita e attesa dai lettori del “Messaggero” che
amavano “quello stile salace e tagliente, colloquiale, confidenziale” che, a
detta dell’autore, gli apparteneva. Stimato da politici come Pertini, Leone e
Saragat, fu tentato dal Craxi social-nazionalista e tifoso del primo Berlusconi
che seguì, insieme ad altri, nella torbida vicenda della P2. Alla luce di
quanto detto, le sue posizioni politiche sono abbastanza prevedibili: sempre
contro il regime della Rai, contro la partitocrazia e i comunisti, anche
durante il periodo delle Brigate Rosse. Fu però contro la Lega Lombarda “che
non ci offende come meridionali […] ma come italiani”.
Longonbardi fu anche autore di tre romanzi, tra
cui l’opera autobiografica Il figlio del podestà che, stampata in cinque
edizioni, vendette 100.000 copie. Oltre ad essere giornalista, scrittore e
fondatore di quotidiani come “I pugni sul tavolo”, fece anche da soggettista
per diverse pellicole italiane, tra cui spicca il titolo del film Io sto con
gli ippopotami, interpretato da Bud Spencer e Terence Hill, dove la sua
attenzione per l’ambiente e la natura è palpabile ed evidente. In tv, invece,
si fece notare come mattatore a Tele Vita di Luigi D’Amato, dove era sua
abitudine battere i pugni sul tavolo, davanti al microfono.
La biografia di Nino Longobardi scritta da
Alfatti Appetiti si legge in fretta, ma è con la stessa velocità che pare
essere scritto. Se la prima metà del libro è densa la seconda pare davvero
diluita, essendo riempita più con le parole del biografato che con quelle
dell’autore. Ma questo potrebbe essere dovuto alla scarsa mole di fonti,
essendo il primo tentativo di ricerca sul personaggio in questione. Il neo
maggiore, a detta di chi scrive, pare essere invece la forzatura che si è data
nel soppesare il personaggio, ingrandendolo oltremodo, facendolo apparire più
grande di quello che fu in realtà, definendolo addirittura “Il Re del
giornalismo italiano”. E i paragoni con i Longanesi e i Flaiano non paiono
pertinenti, ma più un escamotage per rendere il personaggio più appetibile alla
cerchia dei potenziali lettori a cui l’autore si vuole rivolgere. Peccato. Con
la biografia di Bukowski Roberto Alfatti Appetiti fece un bel lavoro; non si può
dire altrettanto in questo caso. Non tutte le ciambelle vengono col buco. Si
rifarà la prossima volta, con la biografia a cui sta lavorando. A sentire le
voci che girano, pare stia preparando un dolce prelibato, adatto ai palati più
sopraffini, per i lettori più esigenti. Non si può che aspettare speranzosi.
Certi che Alfatti Appetiti avrà la sua rivincita.
Roberto
Alfatti Appetiti
Nino Longobardi. Il Re del giornalismo italiano che prese a
pugni i potenti
Historica,
pagg. 228, euro 16
prefazione di
Marcello Veneziani
postfazione di Mattias Mainiero
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