sabato 19 maggio 2007

Caro Henry, le scrivo. Suo, John Fante

Un altro articolo tornato tra le mani dopo molto tempo, pubblicato su Ideazione n. 3 maggio-giugno 2004.

«Io la considero il mio ideale di uomo, su di lei misuro la mia persona. Devo avere un Dio, e questo è lei. Quindi non c'è da meravigliarsi se sono felice quando so che vedrò le mie cose apparire sull'American Mercury». Quando John Fante (1909-1983) scrive questa lettera a Henry Louis Mencken (1880-1956), il 26 novembre 1932, a muoverlo non è soltanto la riconoscenza nei confronti del direttore della prestigiosa rivista letteraria che ha appena pubblicato il suo primo racconto, ma la sincera e incondizionata ammirazione per una delle figure più originali della vita culturale americana. «Un uomo come lei vale dieci volte Roosevelt e ventimila papi» gli scriverà il 7 ottobre 1933.
Mencken, di trent'anni più anziano di Fante, aveva già al suo attivo una lunga e brillante carriera di cronista, polemista caustico e critico autorevole. Autore di numerosi libri di successo, dopo essere stato direttore dello Smart Set con G. J. Nathan - convintosi che un «giornale o è dittatura, o non è» - aveva assunto la direzione del Mercury. Il giovane Fante non nascondeva il suo desiderio di emulazione, anzi lo ostentava. «La mia imitazione - gli scrive il 10 novembre 1933 - è andata oltre la ginnastica mentale e la conversazione. Si è estesa al fumare sigari, a mettersi scarpe alte, a pettinarsi con la riga in mezzo e al fissare con un occhio chi parla. Ero stizzito perchè non sapevo che tipo di dentifricio usasse; e passavo ore e ore ad apprendere certe espressioni menckeniane che trovavo sui giornali e sulle riviste». L'affermato scrittore era il punto di riferimento al quale paragonarsi costantemente e quasi ossessivamente: «Mencken a ventun anni, un volume di poesie; Fante a ventun anni, due racconti sul Mercury [...] lui non ha mai pubblicato un romanzo a ventidue anni [...] io non sarò mai redattore al Baltimore Sun a ventitré anni».
E' significativo come Fante, vezzosamente, si riducesse l'età di due anni, presentandosi più giovane di quanto già non fosse, proprio per tenere meglio il confronto anche "anagrafico" con i risultati prodotti nel tempo dal suo maestro.
I due non si incontrarono mai di persona e la loro singolare amicizia fu soltanto epistolare, ma non per questo meno intensa. La corrispondenza, durata oltre venti anni e pubblicata da Fazi Editore in un volume dall'assoluto valore letterario, Sto sulla riva dell'acqua e sogno. Lettere a Mencken 1930-1952 (2001), è la storia di una profonda affinità elettiva, nonostante la consistente differenza d'età. L'influente editor aveva già contribuito all'affermazione di giovani scrittori come Theodore Dreiser, Sinclair Lewis, Carey McWilliams, Louis Adamic e William Saroyan. Riconobbe subito il talento di quell'impetuoso giovanotto di origini italiane e non mancò mai di incoraggiarlo, contenendone l'esuberanza con infinite dosi di pazienza, rassicurandolo nei frequenti momenti di sconforto, spronandolo ad applicarsi e fornendogli preziosi consigli sui temi affrontati e sul metodo di lavoro: «Credo che lei otterrebbe di più se prendesse le cose con maggiore calma».
Ma ad incidere in maniera determinante nella formazione di Fante fu soprattutto la personalità di anarco-conservatore di Mencken: «Io sono un libertario estremista e credo in una cosa e in una sola soltanto, nella libertà individuale». Profondo conoscitore della cultura e delle tradizioni tedesche, nel 1908 aveva scritto La filosofia di Nietzsche, quando la maggior parte della sua opera non era ancora stata tradotta in lingua inglese. Durante la prima guerra mondiale aveva espresso pubblicamente il suo appoggio alla Germania e la contrarietà all'entrata in guerra degli Stati Uniti. Atteggiamento impopolare che, nel 1915, gli costò la sospensione della sua colonna giornaliera, Free lance, sul Baltimore Evening Sun. Per poter pubblicare qualcosa, si adattò temporaneamente ad evitare nei suoi articoli tutto ciò che riguardasse la guerra. Diffidente verso ogni ideale progressista, al punto da ritenere che «tutte le persone che propongono di migliorare la razza umana sono disoneste», non nutriva nessuna fiducia nella classe politica, tanto da rappresentare sarcasticamente i grandi convegni politici nazionali come giganteschi « circhi». «In democrazia - recita un suo celebre aforisma - un partito dedica sempre il grosso delle proprie energie a cercare di dimostrare che l'altro partito è inadatto a governare; e in genere tutti e due ci riescono e hanno ragione».
Nei suoi editoriali demoliva il socialismo e «la teologia morale singolarmente stupida» del New Deal, il welfare e i programmi di riforma sociale ed economica dell'amministrazione Roosevelt.
A conferma di una posizione orgogliosamente isolazionista e antibritannica che, nel 1940, era sostenuta soprattutto dai repubblicani, si dichiarò contrario all'intervento statunitense anche nella seconda guerra mondiale. Fante, liberale convinto e famelico divoratore di Nietzsche, condivideva tali sentimenti, come testimoniano diverse lettere. Già il 12 luglio 1934 aveva scritto: «Nove su dieci dei miei contemporanei sono stati già pervertiti dalla Democrazia Americana e molto presto verseranno sangue per un altro slogan di guerra. Io non ho paura. Farò esattamente come ha fatto lei durante l'ultima guerra». Il 6 agosto 1940 si congratula con Mencken per l'ennesimo articolo sul Sun: «I profeti e gli esperti di questi tempi pessimi sono una massa così lugubre e filoinglese che al confronto roba come la sua è unica». La lettera si conclude con l'esplicito invito a «puntare la sua batteria sugli impresari della propaganda radiofonica» a favore della guerra, «cretini e cialtroni» rei di approfittare della «disperata credulità del popolo americano». Non manca un riferimento all'ambiente cinematografico, odiato perchè troppo politicizzato dai comunisti: «Persino gli attori hollywoodiani capitalizzano sulla guerra e agguantano tutta la pubblicità che il falso volontariato gli porterà».
Nella corrispondenza tra i due si rincorrono gustose ironie sul presidnte Roosevelt e sul "Brain Trust", lo staff di consiglieri politici che lo affianca nelle decisioni. «Ciarlatani» li definisce Mencken: «Che siano altruisti è pura follia e che siano menti organizzative è altrettanto folle». Vengono sbeffeggiati scrittori, sceneggiatori, critici e attori che militano a sinistra. Esilarante la lettera del 24 novembre 1936, nella quale Fante racconta al suo mentore gli esiti della Conferenza degli scrittori tenutasi a San Francisco. Ridicolizza «i discorsi pieni di singhiozzi» dei suoi colleghi, nei quali si chiedeva ai «compagni» di «compatire i poveri sceneggiatori, che guadagnavano un sacco ma non ci si poteva fare nulla» rassicurandoli del fatto che «il marxismo a Hollywood non era morto e con un pizzico qui e un pizzico là stavano cautamente seminando i semi della ribellione. Il movimento era clandestino, ma doveva essere così. Tutte sciocchezza!».
Mencken trovò «bellissima» questa descrizione del convegno, tanto da suggerirgli di proporla a qualche rivista, osservando come invece «i giornali comunisti, ovviamente, hanno parlato del convegno con la maggiore serietà». Lo stesso Mencken non è meno tenero con i cantanti della sinistra: «Il risultato della guerra non verrà determinato dai lamenti dei cantanti confidenziali americani, ma dall'abilità e dalla pertinacia dei soldati tedeschi, italiani e giapponesi». Mencken nel 1949 ebbe un'emorragia cerebrale, seguita da un attacco di cuore che rese le sue condizioni di salute sempre peggiori, pregiudicandogli la scrittura e la lettura, ma Fante continuò a scrivergli e a dedicargli i suoi romanzi. Dimostrò di avere perfettamente appreso la lezione menckeniana: «Dico, al diavolo le prese di posizione. L'ho imparato dai suoi scritti. Ho scelto di essere me stesso». «L'unica guerra che intendo combattere - concluse - è quella che io stesso ho intrapreso». Una guerra vinta, quella che Fante e Mencken condussero nel nome dell'anticonformismo e dell'amore per la vera letteratura.

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