mercoledì 30 maggio 2007

Ecce Nanni, in minoranza per vocazione

Dal Secolo d'Italia di mercoledì 30 maggio
rubrica settimanale "Appropriazioni (in)debite"
L’ha detto Quentin Tarantino, non uno qualsiasi. In un’intervista pubblicata sull’ultimo numero di Tv Sorrisi e canzoni, commentando lo stato di salute del nostro cinema, il grande regista statunitense ha sentenziato: «I nuovi film italiani sono deprimenti e monotoni». Un’unica assoluzione: «Nanni Moretti è uno che porta energia vitale e respiro al cinema. Ma l’Italia non è più quel che era. Potrei fare liste di nomi di registi che mi piacciono provenienti da molti paesi, ma non dell’Italia». Potremmo convenire con lui che il cinema italiano è a pezzi, espressione - quest’ultima, «a pezzi» - che manda su tutte le furie il Michele Apicella di Palombella rossa (’89), esasperato da una giornalista che vorrebbe intervistarlo con un linguaggio sciatto e denso di frasi fatte. E noi siamo più che d’accordo con il famoso personaggio morettiano, che all’incauta urla in faccia: «Le parole sono importanti. Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste». Parentesi: cos’altro è l’intransigenza di Moretti, spesso confusa con mero moralismo, se non la legittima e condivisibile pretesa che la vita, già sufficientemente intrisa di dolore e noia, non s’involgarisca a causa di imprecisione e superficialità? Ma torniamo a Tarantino, il cui giudizio va tenuto in debita considerazione, perché non si tratta di un supporter del cinema impegnato (non nel senso tradizionale) - peraltro il cinema di Moretti è intimista, asciutto, frugale, privo di effetti speciali, molto diverso se non opposto a quello scoppiettante del regista americano - ma di un signore che è da sempre attento sostenitore delle nostre produzioni, comprese quelle cosiddette trash e di serie B. Ridimensionata così l’euforia, decisamente eccessiva, con la quale sono stati salutati i recenti successi di pellicole, godibili quanto inconsistenti, come Notte prima degli esami e Ho voglia di te, a rappresentare il nostro cinema nelle manifestazioni ufficiali così come sul mercato internazionale, salvo estemporanei exploit, non rimane che Nanni. L’unico autore che può permettersi di fare i film che vuole, come vuole e con chi vuole. Potrebbe chiamare i più grandi attori del mondo ma si rivolge sempre agli stessi. Perché sono bravi. Uno che può permettersi di avere successo senza andare al Maurizio Costanzo Show. Questa battuta non è nostra, è sua, rivolta ai dirigenti dell’Ulivo: «Imbarazzati e imbarazzanti, inadeguati, si fanno dare i calci in bocca e credono nel Costanzo. Ma io conosco deputati che sono stati eletti senza andare in quel talk show».
Moretti non ha mai cercato di rendersi simpatico. Mica è una colpa. Ha fatto film importanti, che hanno saputo raccontare - con sarcasmo feroce ma anche con malinconica autoironia - i tic e i luoghi comuni che hanno afflitto più generazioni, da quella sessantottina al travaglio del periodo post-ideologico. Non ha esitato, a differenza di diversi suoi colleghi, a prendere le distanze, a condannare senza se e senza ma chi ha fatto la scelta tragica della lotta armata. Eppure spesso e volentieri Moretti viene amato o odiato, apprezzato o detestato, non tanto in base ai suoi film (alcuni dei quali, come La stanza del figlio, semplicemente bellissimi) quanto a prescindere, in virtù delle sue idee politiche. Che possono piacere o non piacere ma certamente non possono essere ritenute opportunistiche né mosse da secondi fini.
Perché tutto si può dire di Moretti meno che sia un profittatore e un incoerente. La coerenza infastidisce, soprattutto chi rinuncia alla propria identità per camuffarsi con il potere. E, paradossalmente, Moretti è detestato soprattutto a sinistra. Già, c’è da credere che non gliel’abbiano mica perdonata, l’invettiva del febbraio 2002: «Con questi dirigenti non vinceremo mai. Ci vorranno tre o quattro generazioni per tornare a vincere». Location: piazza Navona, Roma. Evento: manifestazione del comitato parlamentare di centrosinistra La legge è uguale per tutti. Attori non protagonisti (una volta tanto): Fassino, Rutelli e D’Alema. Quattromila militanti, ritenuti solo anonime comparse, chiamate a far numero, almeno questo è il rimprovero che Moretti rivolge ai suoi leader. Protagonista unico: Nanni. Sale sul palco per ultimo. Si pensa ad un saluto. Invece sono rampogne per «la burocrazia che sta alle nostre spalle. Non ha capito nulla. Ci aspettavamo un’autocritica degli errori». I leader intervenuti prima di lui confidavano di assorbire il malcontento con discorsetti di rito, ricorrendo «alla retorica dei comizi per prendere gli applausi» e rimangono sbalorditi, tramortiti. Così Moretti lancia il suo j’accuse, incorona il professor Pancho Pardi nuovo leader dell’Ulivo (a proposito, se ne hanno notizie?) e fugge via, inseguito da un “simpatizzante” che a più riprese lo accusa di essere un Tafazzi, il comico che si bastonava gli attributi (tutta la scena, comizio e siparietto finale, è disponibile su YouTube!). Certamente non lo amano quelli di Rifondazione comunista e gli estremisti.
Sul palco di piazza Navona, del resto, lo stesso Moretti aveva confessato la propria insofferenza per i rifondaroli: «Io non ce la faccio proprio a parlare con loro». Cosa rimprovera Nanni, elettore dei Ds, a quel partito? Di non «sapere più parlare al cuore, né alla testa, né all’anima della gente». Una moderazione che assomiglia pericolosamente alla rassegnazione. In Aprile (’98) film nel quale interpreta - sotto forma di diario - se stesso (esce nelle sale tre giorni prima della vittoria elettorale della coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi), grida a D’Alema (che in un dibattito televisivo rimane silenzioso di fronte ad un incontenibile Berlusconi) una frase che rimarrà scolpita nell’immaginario collettivo: «D’Alema, dì una cosa di sinistra, dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà, D’Alema dì una cosa, dì qualcosa, reagisci...».
Nell’ultima campagna elettorale, quella delle politiche del 2006, ancora una volta Moretti interviene a gamba tesa. Il caimano, ispirato alla figura di Silvio Berlusconi, viene presentato a pochi giorni dalle elezioni. La sua descrizione dell’attualità è spietata: un Paese di veline e manager rampanti, nel quale tutti sono pronti a vendersi al miglior offerente. Il solito Silvio Orlando interpreta la parte di un produttore di B-movies ormai spiantato, al quale una giovanissima principiante (Jasmine Trinca) offre una sceneggiatura che nessun altro, sia produttore che attore, accetterebbe, per non inimicarsi Berlusconi. Così sarà lo stesso Moretti a prestare il proprio volto a Berlusconi in una recitazione che rievoca Il portaborse (’91), film diretto da Luchetti nel quale Moretti è lo spregiudicato (e carismatico!) ministro socialista Botero. Come quindici anni prima, Moretti non si affida ad una facile quanto improbabile caricatura del leader del centrodestra, né tanto meno cerca di ridicolizzarlo. Al contrario, lo conosce e ne teme le doti politiche. Semmai, sono proprio queste ad affascinarlo, ad umanizzarlo. Nel film sembra materializzarsi un monito rivolto soprattutto alla sinistra, come a dire: non basta annientare il nemico perché l’Italia diventi un Paese migliore.
E comunque c’è da giurarci che Moretti non abbia esultato più di tanto o troppo a lungo. Quel che di Moretti ci piace è anche la malcelata sensazione di estraneità che manifesta nei confronti della maggioranza, qualunque essa sia, come descrive mirabilmente in una scena significativa di Caro Diario (’93). Nanni si ferma ad un semaforo e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, incomincia a parlare con uno sconosciuto alla guida di una cabriolet, che lo guarda perplesso. «Sa cosa stavo pensando? Io stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c’è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un’isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza… e quindi… »
Eppure c’è chi si ostina a non guardare i suoi film perché è “comunista”. Sbagliando. Verrebbe da dire, parafrasando Moretti in Bianca (’84) quando si stupisce che esista qualcuno che non conosca le Sacher torte: «Va be’, continuiamo così, facciamoci del male»
Se un po’ abbiamo imparato a conoscerlo, lui non se ne cruccia più di tanto. Crediamo che abbia smesso da un pezzo di porsi domande come quella che Michele si pone parlando al telefono con un’amica in Ecce Bombo (’78): «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo e mi metto vicino a una finestra, di profilo, in controluce». In Caro Diario, non che ce ne fosse bisogno, ha confessato la propria vanità: «Voi gridavate cose orrende e violentissime e voi siete imbruttiti. Io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne». Da allora sono trascorsi diversi anni e oggi Moretti è un cinquantenne decisamente in forma, tanto da continuare a misurarsi in impegnativi ruoli di attore. Proprio in questi giorni (e fino alla fine di giugno) è impegnato nelle riprese di un film prodotto dalla Fandango e diretto da Antonello Grimaldi: sarà il protagonista di Caos calmo, tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, vincitore dell’ultimo Premio Strega e scrittore bravissimo - purtroppo, anche lui - di sinistra. Caos calmo racconta la storia di Pietro Paladini, giovane e affermato manager di una pay tv, la cui vita viene stravolta dalla morte improvvisa della moglie. Assalito da una strana ansia “calma” e senza dolore, smette di andare in ufficio per rimanere fuori alla scuola dove ogni mattina accompagna la figlia, pensando così di poter rimettere ordine nella sua vita, iniziando a guardare tutto e tutti da un’ottica diversa. Un film che è anche una sfida con noi stessi, perchè ci dà la possibilità di cambiare prospettiva. Non è un caso che, ancora una volta, sia stato proprio Moretti a raccogliere quella sfida.

2 commenti:

webmaster ha detto...

Riflettendo sulla figura e sull'arte di Moretti non si può prescindere dalla sua identità politica, criticabile - sicuramente - ma mai trascurabile. Leggendo i commenti al tuo articolo mi viene da pensare che in molti hanno visto Il Caimano, ma pochissimi si sono discostati dalla visione ideologica. Il film in questione (piccolo capolavoro del cinema di genere) è un metafilm, dove la trama anti-berlusconiana è solo un aspetto di una più complessa visione della società italiana, della sua cultura e della sua classe politico-dirigenziale. Purtroppo, come Nanni ha mostrato e dimostrato, ciò che colpisce lo spettatore poco attento non è il vero messaggio che si vuole trasmettere ma semplicemente la sua forma, e per questo motivo dal belpaese (che ha dimenticato come si fanno i film) continuano a piovere critiche, mentre nella Francia (sapete, quella della nouvelle vague...)Moretti è stimato da pubblico e critica. Già Olmi ha deciso di non girare più film (dopo il criticatissimo Cento chiodi)...non portiamo a decisioni estreme i pochi Autori che ci sono rimasti.

gabriella ha detto...

Pure Moretti! Mi stai diventando un radical chic! A me è piaciuto fino a "la cosa" poi ho cominciato a trovarlo ripetitivo e onfalocentrico. Sembra che io e te procediamo per la stessa strada ma in due direzioni diverse. Uno smette di piacermi e... zac, incontro te e ti passo la staffetta. Preferisco Paolo Virzì: è lui, secondo me, l'erede di Monicelli e Dino Risi, grandissimi!