dal Secolo d'Italia del 26 luglio 2007
Germania, 1945: divampano le ultime battaglie di una seconda guerra mondiale ormai avviata verso una conclusione già scritta. All’improvviso, un Messerschmitt Bf 109 con le insegne della Luftwaffe compare sulla scena e sbaraglia i nemici. Nulla cambia, circa le sorti del conflitto, ma per il pilota del caccia bombardiere tedesco poco importa: egli combatte la sua battaglia, con fierezza cavalleresca e distacco ascetico. Chioma scapigliata e cicatrice da duro: il profilo è inconfondibile. Si tratta di Phantom F. Harlock II, discendente di Phantom Harlock I e antenato di Capitan Harlock, il celebre pirata intergalattico creato – esattamente trent’anni fa – nel 1977da Akira “Leiji” Matsumoto. La scena appena descritta, politicamente scorretta quanto basta, sembra in effetti apportare una conferma “a posteriori” del fascino che da sempre la destra giovanile italiana ha riscontrato nel celebre “anime”, eletto a simbolo ed effige di un certo ribellismo aristocratico e jüngeriano più che mai di moda nel mondo globalizzato, così simile al pianeta conformista e colonizzato ritratto proprio nelle storie di Matsumoto.
Diciamo conferma “a posteriori”, perché il lungometraggio in questione intitolato Waga Seishun no Arcadia, ovvero “L’Arcadia della mia giovinezza”) è sì del 1982, ma in Italia è sempre uscito sfigurato daitagli della censura tanto da risultare incomprensibile. L’equivoco è durato praticamente fino a questi giorni, in cui la De Agostini ha finalmente deciso di ripubblicare l’intera collezione degli “anime” – così in Giappone si chiamano i cartoni animati – dedicati al Capitano, partendo proprio da “L’Arcadia della mia giovinezza”. Scopriamo così le origini del mitico eroe, a partire proprio da quell’albero genealogico a dir poco “sulfureo”, probabilmente sorto nella mente dell’autore a partire dal ricordo del padre, pilota nel secondo conflitto mondiale dei mitici Zero nipponici. L’ambientazione teutonica, del resto, sembra essere particolarmente cara a Matsumoto, che negli anni pubblicherà anche la Harlock Saga, riedizione della titanica tetralogia wagneriana in chiave futuristica. Ad ogni modo, il lungometraggio appena uscito nelle edicole, impressionante per la maturità e la complessità della sceneggiatura, descrive un mondo sfigurato dalla lotta fra umani e umanoidi,dalla quale i primi sono usciti miseramente sconfitti. Fra miseria, prepotenza e tradimento, solo pochi umani riescono a mantenere dignità e voglia di lottare, ed uno di questi è proprio il Capitano, uomo di poche parole, portatore di un innato stile aristocratico tanto da esser temuto e rispettato persino dagli stessi nemici. Ispirato dagli appelli alla resistenza di Maya, anima della radio clandestina, e dall’incontro con Tochiro, eccentrico e misterioso ingegnere, ad Harlock non resta che riprendere le armi contro gli invasori e combattere per la libertà della sua terra, lottando sotto il simbolo del Jolly Roger, la bandiera dei pirati (chiamata da Matsumoto anche Black Jack).
La lotta di Harlock, tuttavia, è scevra di facili entusiasmi o di ottimismi fallaci, per acquisire piuttosto connotazioni prettamente stoiche.Il Capitano, in effetti, finisce per incarnare l’archetipo del combattente libertario e anticonformista, che pure non può che essere rappresentato come un fuorilegge, nello squallore senza vita del mondo decadente immaginato da Matsumoto. Nella serie Tv, infatti, la Terra appare governata da un Governo Unificato corrotto e incapace, incurante dello stato di decadenza ambientale e morale in cui versa il pianeta. La classe dirigente, rappresentata da un anonimo Primo Ministro, è vile ed ottusa, del tutto incapace di far fronte al pericolo mazoniano proveniente dallo spazio. In questo quadro dagli evidenti richiami all’attualità, sono solo Harlock e la sua ciurma a rappresentare una possibilità di salvezza per la Terra. Ma se egli combatte per il suo pianeta, non è certo per un vago sentimentalismo umanitario. Il pirata spaziale, anzi, non sembra amare particolarmente i terrestri. Eppure egli difende il suo pianeta.
In una frase tratta dal manga originale in versione italiana viene efficacemente sintetizzata l’essenzadi questo spirito: «Io mi batto solo per quello in cui credo. Non per uno stato o un pianeta in particolare. Lotto solamente per gli ideali che ho nel cuore... la gente mi chiama Capitan Harlock... il “black jack” è issato sulla mia nave, e con questa bandiera che sventola tra le stelle, io vivo in libertà. L'universo è la mia casa... la voce sommessa di questo mare infinito mi invoca, e mi invita a vivere senza catene... la mia bandiera è un simbolo di libertà». Harlock non spera e non dispera, fa solo ciò che deve essere fatto. La sua patria è là dove si combatte per la sua idea.
Adriano Scianca (1980), laureato in filosofia, collaboratore di diverse riviste, giornali e siti web, nonchè appassionato di cultura non conforme, filosofia sovrumanista e pensiero postmoderno.
1 commento:
Non avevo mai visto Capitan Harlock sotto questa ottica, un ribelle si ma non avevo mai dato un significato ideologico al personaggio.
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