martedì 23 ottobre 2007

Icone italiane, cioccolato e grandi firme (di Ivo Germano)

Articolo di Ivo Germano
Dal Secolo d'Italia edizione domenicale del 21 ottobre 2007

E' cominciato il 5 ottobre e toccherà cento città il "Tour-Perugina", festival itinerante di uno dei marchi-simbolo del Made in Italy che compie un secolo di vita in questi giorni. Una festa gentile per un centenario industriale, ma anche per una scommessa modernamente riuscita: quella del "Bacio", prodotto di punta (di culto?) dell'industria italiana. Un centenario romantico, insomma, e per di più nel momento giusto. Mentre nelle sale cinematografiche esce Becoming Jane, con Anne Hathaway nel biopic di Jane Austen, cui si deve la costruzione narrativa del sentimento moderno, il dolce cartiglio dei “Baci” Perugina è una scoperta in sintonia con la rimonta, inattesa, forse malsopportata, della categoria del sentimento, dove non è necessario mettersi in maschera e darsi un tono dissoluto, per seguire la “danza delle apparenze”.
Persino Frank Sinatra prestò il volto da testimonial, per concelebrare la modernità totale della scoperta dolciaria della fabbrica di San Sisto, provincia Umbra, simbolo di non rapida consegna all’implausibile civiltà che vive sotto la dittatura del tempo e un dominio, pessimamente, cadenzato da mode smodate. Doveroso cominciare da questa matrice mediana dell’origine da non orizzontale divisione, fra il settentrione e il meridione, ma, verticale, tra le altre due Italie. L’una Tirrenica, l’altra Adriatica. Da un verso, il Paese burocratizzato, istituzionale, a braccetto delle capitali storiche - Torino, Firenze, Roma, Napoli, Palermo -, inscritte nell’egemonia delle classi dirigenti, di terra, politicamente stataliste ed economicamente statolatriche; da un altro, il Levante, cioè la pista naturale del viaggiatore, del navigatore, del primato mercantile e imprenditoriale, rispetto alla res publica. Il “Bacio” attraversa un “secolo goloso” il Novecento, non necessariamente dovendo scivolare nell’agiografia dolciastra, possiamo rendere il dovuto e sentito omaggio ad un pretesto, un’idea, nonché ottimo ausilio per un “presente” da donare alla vecchia zia malata, al fidanzato/fidanzata. Una piccola parola che significa moltissimo, frutto di materiale di scarto, le nocciole, che con l’aggiunta di cioccolato fondente, ispirarono alla moglie di uno dei fondatori della Perugina, Luisa Spagnoli la suggestione di un prodotto e di una delle forme di collezione, le più maniacali e trasversali. La versione italiana della favola di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, riadattata a visione totale dal regista Tim Burton nel 2005, come sinonimo dell’innamoramento per una promessa moderna d’eternità produttiva. Inattese narrazioni di un modo d’esser romantico che s’interseca in fasi, stagioni e momenti, esaltando o risarcendo addii, arrivederci e incontri.
C’è magia e magia, quella dell’invenzione del sentimento di un cioccolatino riguarda una certa idea di vivere e provare l’emozione, prima di tutto, comunicandola. Meglio fissandola in slogan e frasi da mandare “a memoria” e fare quel che si sente e non si deve, soltanto. Specie se il “Bacio” resta, come scorta doviziosa di un sentimento autenticamente popolare, tanto che basta imboccare un autogrill, mettendosi sulle tracce dell’avventore, il quale, tutt’altro che malcapitato, se ne uscirà con una scatolina da “tre”, o, con maxiconfezione. Sapessi, poi, in quante tasche è stato celato e serbato, salvo essere fatto spuntare al momento giusto: kairos imprevisto di buontempo relazionale.
Una storia che viene da lontano. La prima versione, nel 1922, non è che avesse, però, un nome romanticissimo, poiché si chiamavano “Cazzotti di Perugina”, più Primo Carnera che lettere d’amore. Il “Bacio” fu ribattezzato così da Giovanni Buitoni, cofondatore assieme a Francesco Andreani, Leone Ascoli e Annibale Spagnoli. Di lì a poco, la scatola azzurra e una lei e un lei che si baciano citando il quadro del “Bacio” di Hayez, opera di Federico Seneca.
Dagli anni’20 all’evo postmoderno, il linguaggio dei “Baci Perugina” ha contrassegnato l’evoluzione del consumo, ma anche la tutela del sentimento, alla portata di tutti. Rivoluzioni sociali e “culturali” hanno tentato di sbriciolarlo, ma niente da fare, in piedi e tenace il cioccolatino resisteva e persisteva, “iper” e “ultra”. Non solo slogan, tuttavia. Semmai un meccansimo ad alta riconoscibilità sociale e ad impatto e fruibilità immediati: “Un bacio…un dolcissimo bacio, i baci sono parole, dammi un mondo di baci”, oppure, il “Tubiamo?, al contempo, giocato sul neologismo e la nuova confezione a tubo.
Il bacio che sa comunicare e rappresentare il segreto del “Bacio”, stranamente più che una delle icone meglio riuscite dell’immaginario e del costume italico, come dimostra il libro “Perugina. Cento anni di arte del gusto”, edito da Silvana Editoriale, Milano, pagg. 250, 35, 00 €, è stato, a lungo, sinonimo di melansaggine e pallocoloso sentimentalismo. Quando e proprio perché l’immagine risultò modernissima e vivacissima, del resto, testimoniata dei festeggiamenti del centenario della fabbrica perugina, in questi giorni, on the road attraverso centocittà italiane. A bordo dei celeberrimi camioncini di latta, a dimostrazione che, se la postmodernità s’aggancia alla tradizione è possibile solcare autostrade di senso, esonerati dalla contemplazione anafettiva delle macerie sentimentali.
Un errore madornale e una svista ideologica de-mistificati da Beniamino Placido, il quale dalle pagine de La Repubblica del 13 giugno 1998 sostenne che: “Non c’è nulla di male a riconoscere che si ha qualche debito nei confronti delle deprezzate carte dei cioccolatini. Se non vi avessi trovato (or son cent’anni) quella massima che suona: “La gelosia nasce con l’amore, ma non muore con esso”, se non l’avessi riconosciuta come immediatamente vera, chissà se mi sarei mai accorto successivamente dell’esistenza del suo autore, il duca François de la Rochefoucauld, il grande moralista del Seicento francese”. Per poi proseguire, sempre secondo Placido, alla scoperta di Blaise Pascal e Cristopher Marlowe, sino alla naturale chiosa, “Dunque, non è vero che i bigliettini dei cioccolatini contengono sempre messaggi facili, superficiali, rassicuranti. È vero piuttosto che possono tradurli, con una traduzione affrettata. È il caso del “Faust” di Christopher Marlowe, lo scrittore elisabettiano contemporaneo e rivale di Skakespeare”.
Il senso del bacio è racchiuso nella sospensione di un attimo. Ecco che cos’è il bacio: un flirt, scatenarsi dell’anima, all’apparenza silenzioso, ma palpitante, emozionante e coinvolgente. Da analizzare, similmente a quanto una storica del costume sociale francese, Fabienne Casta-Rosaz ha fatto nel saggio: “Histoire du flirt”: una carrelata sull’evoluzione del corteggiamento dall’800 ai giorni nostri. Sono tre le tipologie contemporanee analizzate dalla Casta-Rosaz: innocente, praticato dagli adulti ed estremamente allusivo; spinto, sperimentato quando si è irragionevoli per legge naturale a quella età, cioè adolescenti; molto spinto, all’insegna del “tutto ma non quello”. Coordinate che possiamo applicare al significato del cioccolatino nel sempre passaggio leggero e carezzevole che sgretola ogni certezza di autonomia e dà sale e amore alla vita di ognuno di noi. Perché il flirt significa attesa, dubbio e tachicardia e dolci crampi allo stomaco, da “tamponare” assaporando baci fra le poltrone del cinema, sui sedili delle automobili, in complici androni e sicuri portoni sotto casa. Esiste un luogo eterno nella memoria del tempo dei “Baci” che a tutto resiste: dalla contestazione alla virtualità.
Metafora del desiderio irrefrenabile che una “lunga storia d’amore”, cantata da Paoli & Vanoni, sia sempre e comunque accompagnata dal suo primo bacio d’amore. Per giunta dolce e ghiotto. Il “Bacio” Perugina è, dunque, un sistema di ricerca capace di miscelare innocenza e trasgressione, per scoprire l’altro e conoscere sé stessi. Ma, soprattutto, sintetizza l’ultimo respiro delle “nostre irresponsabilità”, come stupore del mondo che esplode al primo bacio.
Un bel souvenir d’Italie, talmente vivido che lo diamo per scontato.
Ivo Germano (1966) Borghese di provincia all'Amicimiei, sociologo e giornalista, scientificamente si occupa di produzione culturale e strutture simboliche dell'immaginario contemporaneo. Incline a scrivere e interessarsi di cose inutili, curiosamente e felicemente borghesi.

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