martedì 15 aprile 2008

"La rivincita dei buoni sentimenti", da Charta Minuta un invito al "coraggio di essere buoni" (di Filippo Rossi)

Articolo di Filippo Rossi
Dal Secolo d'Italia di martedì 15 aprile 2008
E ora l’ultimo strappo della destra italiana, definitivo, quello che li comprende tutti e li rilancia nella nuova fase politica. “Il coraggio di essere buoni”, così potremmo definirlo, seguendo il ragionamento dell’ultimo numero di Charta minuta, il mensile della Fondazione Farefuturo, dal titolo chiarificatore «La rivincita dei buoni sentimenti» e un sottotitolo ancora più esplicativo «Fuori dal tunnel del cattiverio, la destra che parla alla maggioranza degli italiani». Perché è arrivato il momento – questa la tesi del numero monografico – di tagliare i ponti col “grande equivoco” del politicamente scorretto; di uscire, insomma, da quel territorio di un “cattivismo” da presunto pensiero forte che per troppi anni era diventato quasi sinonimo di cultura di destra.
In un continuo gioco di specchi deformanti, una certa destra italiana si era ritrovata, infatti, quasi senza accorgersene, a interpretare e recitare un ruolo macchiettistico e insensato rispetto a una società in continua evoluzione: cupa, dura, inflessibile, affascinata dall’estremo, la cultura della destra ha finito per modellare la propria identità sull’immagine che gli avversari fornivano di lei.
Se Pierluigi Battista ha di recente potuto definire il “cattiverio” come quel «recinto infetto e inavvicinabile di chi è condannato a star fuori dai circuiti della rispettabilità e del commercio sociale delle idee», per la destra italiana è, allora, giunto il momento di tornare rispettabile e inserirsi a pieno titolo nel dibattito quotidiano (e normale) delle idee. E quella che invece servirebbe in questa fase della storia d’Italia è, al contrario, una politica con una vocazione inclusiva, capace di utilizzare in modo fecondo le diverse ispirazioni culturali, ideali e religiose. È per questo che la destra non può ridursi alla rappresentanza di settori limitati della società civile e non si può crogiolare nelle affermazioni e nelle provocazioni del cosiddetto “politicamente scorretto”. Serve, piuttosto, una destra “politicamente corretta”, a pieno titolo dentro l’immaginario condiviso e la cultura comune degli italiani. Anche a rischio di essere accusati di “buonismo”: «Ora è necessario che prevalga l’altra destra – spiega Adolfo Urso nell’editoriale –che si faccia carico appunto del “bene comune” e che sappia guardare solo all’interesse generale sobria nell’azione e coerente nel pensiero. Non dobbiamo mai più pensare che la destra sia quella di chi ripete stridulo “facite a faccia feroce” o di chi allude sguaiato ai comportamenti individuali(sempre altrui) o di chi s’agita perché non pensa. Il Paese ha bisogno di voltare la pagina del secolo, anche se troppo in ritardo. E la destra deve contribuire a farlo o non sarà mai veramente destra».
Come spiega Umberto Croppi, infatti, non può essere certo la cattiveria (intesa anche solo come atteggiamento esteriore e retorico) il biglietto da visita di una destra contemporanea: «In molti si sono esercitati negli ultimi decenni a disegnare la carta d’identità di destre e sinistre possibili, a compilare scalette di valori contrapposti, a giudicarne le morali. Alla fine della fiera, però – spiega Croppi – pare proprio che, se caratteri distintivi esistono per definire le due famiglie, tra questi non possano annoverarsi la bontà e la cattiveria. La conferma arriva da un Giano Accame che ripercorre “il buonismo congenito della destra italiana”: «La destra rifiuta di strumentalizzare qualunque sentimento razzista o “cattivista”, perché riconosce che la bontà, la pietas, il dono latino dell’umanità, la capacità della compassione, sono tipiche qualità italiane degne sopra ogni altra d’esser preservate. Il nostro più autentico nazionalismo non si vantò mai di essere spietato. E persino nelle nostre tardive avventure coloniali coltivammo verso il Terzo Mondo degli atteggiamenti di apertura, simpatia, collaborazione, in aperta polemica con il colonialismo sfruttatore praticato dalle plutocrazie di Gran Bretagna, Francia e Belgio. La nostra educazione sentimentale si è alimentata anche con il popolarissimo motivo di Faccetta nera, con Mussolini che brandiva la spada dell’Islam, e non la tradiremo oggi per eccitare ondate di disprezzo e odio contro i vucumprà».
«Si diffida dei buoni sentimenti – spiega ancora su Charta il poeta e scrittore Giuseppe Conte – in quanto sentimenti, prima ancora che buoni. Si diffida di chi “sente” la vita ancora scorrere nel suo corpo e nella sua anima, e ne segue le energie creative. Creativo in prima istanza è l’amore. Creativa in prima istanza è la ricerca della verità. Ecco che cosa si teme: l’amore e la ricerca della verità, che sono forze di sommovimento, di rilancio verso un futuro da costruire. Il ritorno dei sentimenti è il ritorno possente dell’umanesimo, del primato dello spirito nell’era del post-umano e della mercificazione. I sentimenti “buoni” sono quelli che costruiscono, che aprono nuovi scenari nelle nostre vite, che ci portano vicino agli altri, che ci fanno sentire in un soffio la presenza della sacralità dell’essere e della controversa e infinita bellezza del mondo. Buoni sentimenti di cui tessere oggi l’elogio sono la pietà, il rispetto per i più deboli, la capacità di comprensione e di dono, il gusto inflessibile della giustizia e insieme quello implacabile della clemenza, la condivisione della bellezza, il desiderio di futuro, lo spirito di consolazione di fronte all’inevitabile drammaticità di qualunque esistenza umana».
Un elenco semplice, quello di Conte, quasi senza pretese, ma proprio per questo coraggioso: perché la scelta dei buoni sentimenti, paradossalmente, in politica è tutt’altro che una scorciatoia. Per molti, infatti, fare politica coincide con il limitarsi a raccogliere elettoralmente, con la “bava alla bocca”, le peggiori pulsioni e paure del genere umano: «È sicuramente più facile dare espressione a questi segmenti – spiega Luciano Lanna – che rispondere con una prassi, con l’azione e con un processo reale di cambiamento alla maggioranza del Paese normale» È proprio in questo passaggio storico che, secondo Lanna, serve «una destra politica in grado di rappresentare il paese maggioritario, l’Italia degli et-et e della normalità diffusa, non la società delle contrapposizioni radicali e delle richieste di risposte forti».
«Può esistere un’altra destra?», si è chiesto il giornalista Filippo Facci, tentando di far emergere l’alternativa a quella deriva “cattivista” – senz’altro anti-politica e di matrice neo-qualunquistica – da cui, in certi ambiti e in qualche momento, è stata affetta l’immagine complessiva dell’area politica, che nell’Italia bipolare si è contrapposta alla sinistra. E le domande del giornalista puntano tutte a individuare la possibilità di questo “spazio” normale, tranquillo e “non cattivista”. «C’è uno spazio serio – si domandava Facci – a destra per i distinguo? C’è spazio per chi non reputi la Fallaci un vertice della cultura occidentale? C’è spazio, a destra, per chi non sia ossessivamente filo-israeliano? C’è spazio per chi non sia clericale? C’è spazio per i garantisti di vecchio stampo? C’è spazio per chi non sia disposto a difendere, sempre e in ogni caso, il corporativismo di tutte quelle categorie che notoriamente evadono il fisco? C’è spazio per chi sia disposto a riconoscere un pur minimale fondamento a certe questioni ambientaliste?».
E le domande – suggerisce Charta – possono continuare quasi a riscrivere il dna di una destra finalmente normale: quali possibilità ha un dibattito pubblico che rispecchi le attese e le speranze del Paese normale? E un equilibrato europeismo adeguato alle nuove sfide globali? C’è spazio per una concezione cattolica e interreligiosa dell’integrazione degli immigrati, che sono poi i nuovi italiani? E per chi non si adagia sul coro urlato e becero dello scontro di civiltà, sul terrorismo e sulle presunte radici confessionali dell’identità europea? Quale posto dare a chi non confonde la presenza dei cattolici nella società con una sorta di armata in guerra per difendere una presunta cittadella assediata? C’è spazio, quindi, per chi sottolinea la centralità del messaggio cristiano come prospettiva di incontro e di speranza piuttosto che di moralismo e di astratto appello ai valori? C’è spazio, d’altronde, per una visione moderna e non di sinistra della complessa questione dei diritti civili così come la società italiana auspica? E la necessità di fornire risposte all’“emergenza insicurezza” che i cittadini sperimentano su tutti i fronti – dall’insicurezza di arrivare in orario con i mezzi pubblici, a quella di non riuscire ad arrivare alla fine del mese, passando per l’insicurezza nel passeggiare con i propri figli la sera nelle città e per l’insicurezza di una prospettiva occupazionale per i giovani – ha spazio al posto di una riproposizione di una politica basata sui facili e inutili slogan del tipo: “tolleranza zero”, “più potere alla polizia”?
C’è spazio per un’impostazione della politica che non si basi sulla demonizzazione del fronte contrapposto ma che delinei la dialettica politica come il confronto tra due diversi e legittimi progetti di riformismo? Le risposte non possono che essere affermative. A patto che si abbia il coraggio di rappresentare fino in fondo tutto il proprio radicamento sociale e tutte le proprie potenzialità di normalità. A patto di avere il coraggio di tornare a essere buoni.
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".

Nessun commento: