venerdì 13 marzo 2009

Brasillach, anche a sinistra si mobilitarono per la grazia... (di Annalisa Terranova)

Articolo di Annalisa Terranova
Dal Secolo d'Italia di venerdì 13 marzo 2009
Questo 2009 è senz’altro l’anno di Fabrizio De André, come il 2008 è stato l’anno del Sessantotto. Le sue note, le sue Marinelle e le sue Boccadirosa, icone femminili di più generazioni, ci accompagneranno ancora per mesi e la cosa non dispiace poiché da tempo si è sancito l’amore trasversale delle ribellioni di destra e sinistra, per le rime anarchiche di De André e di Guccini. Ma questo 2009 è anche l’anno del ventennale della caduta del Muro di Berlino, con tutte le congetture europeiste che l’anniversario porta con sé e, ancora, l’anno di Charles Darwin. E poi c’è il centenario del futurismo italiano, consegnato alla memoria collettiva del Paese con tre grandi mostre-evento e tanto altro.
Se di tutto questo si parlerà parecchio c’è da stare altrettanto sicuri che poco spazio avrà invece la ricorrenza cara a chi è cresciuto tra libri “maledetti”: il centenario della nascita di Robert Brasillach, che vide la luce il 31 marzo del 1909 a Perpignan e che morì il 6 febbraio del 1945 nel forte di Montrouge, colpito al cuore dai fucilieri di Charles de Gaulle che lo sopprimevano in quanto scomodo simbolo del “collaborazionismo”, la foto della madre sul cuore, il grido strozzato in gola: «Viva la Francia… ». Una fine, parallela a quella eroica di Drieu che su uccideva dopo avere cercato un senso e una risposta nelle Upanishad, capace di appassionare i giovani partecipi dello Sturm und Drang missino, soggetti nelle loro sedi polverose all’assedio materiale e culturale del “nemico”.
Ha ragione Mario Michele Merlino quando parla di Brasillach, nel suo libro Inquieto Novecento (Settimo Sigillo), come fratello maggiore di una generazione costretta a difendere ideali scomodi nel ghetto della politica. Definendo il fascismo «la poesia del XX secolo» Brasillach lo aveva “depurato” dagli aspetti più ruvidi e più torbidi, lo consegnava al futuro come eredità cristallina, quasi storicamente disincarnata. Persino la destra del secondo dopoguerra, più portata a cercare vie di inserimento nel quadro istituzionale che a mettere l’aureola ai poeti-martiri, si interessò a Brasillach, con Giorgio Almirante, facendone il letterato vittima dell’intolleranza contro la libertà degli ideali, in nome del quale invocare una riconciliazione nazionale difficile negli odi del dopoguerra.
Oggi potrebbe essere arrivato il momento per pensare allo scrittore senza furori ideologici. Un passaggio auspicato già da Giampiero Mughini nel dirompente pamphlet Compagni, addio, datato 1987. «Chi è stato dalla parte della destra – si chiedeva Mughini – può meritare oggi il rispetto di noi suoi avversari, il riconoscimento del suo talento e della sua buona fede? È lecito restituire alla storia e all’agonia dell’Europa di questo secolo i volti tragici di questi suoi figli? È lecito pulire la loro memoria da accuse schiaccianti per reati che non hanno compiuto?». Mughini passava poi ad assolvere Brasillach dall’infamante marchio di brutale antisemita, facendo levo sulle responsabilità collettive da cui altri, forse ben più colpevoli, erano usciti indenni e puliti. Un dibattito che ricorre ogni volta che si tenta a torto o a ragione di affibbiare l’ignominia dell’antisemitismo a un personaggio compromesso con un passato difficilmente storicizzabile. È accaduto in Italia con Giorgio Almirante, e la discussione ha messo in luce come all’epoca non fossero immuni dall’ubriacatura antisemita nomi illustri dell’attuale pantheon antifascista come Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca. Ecco allora che il tragico destino di Brasillach si inscrive tutto all’interno del gioco crudele in cui si cimentano i vincitori quando infieriscono sui vinti. Per questo furono vane le richieste di salvarlo inviate a De Gaulle da esponenti di spicco della cultura francese, come Cocteau, Colette e Claudel, e persino di appartenenti alla resistenza francese come François Mauriac (nella vignetta), Jean Paulhan e il futuro premio Nobel Albert Camus. Irriducibile, invece, la coppia Sartre-De Beauvoir nel ritenere che le opinioni del Brasillach polemista fossero da giudicarsi alla stregua di “crimini contro l’umanità”. Nel dossier sulla domanda di grazia preparato dall’avvocato, Jacques Isorni, ci sono anche le lettere di semplici ammiratori di Brasillach: «Abbiate pietà di questo giovane sfortunato che ha scritto libri così belli. Ha incantato la nostra giovinezza ».
E compaiono pure le petizioni degli ufficiali del campo di prigionia che ne lodano la cultura e dei suoi compagni dell’Ecole normale, così come la lettera di Maurice Schumann, eminente résistant e voce dell’emittente francese a Londra, che ricordava come Brasillach aveva contribuito a evitare l’esecuzione del grande matematico Jean Cavailles.
Lo stesso Brasillach volle legare la sua fucilazione, avvenuta il 6 febbraio, alla morte dei manifestanti nazionalisti uccisi a Parigi dalle guardie repubblicane in occasione dei moti del 6 febbraio del 1934. I caduti furono quindici, i feriti oltre mille. Ogni anno Brasillach si recava sul luogo degli scontri con un bouquet di violette. Tre giorni dopo furono i comunisti a marciare contro il Parlamento. E il sogno visionario di Brasillach, come di Drieu, fu sempre quello di vedere fusa in un’unica fiumana generazionale quell’ansia giovanile. Anche nei giorni del tracollo Brasillach restò persuaso che le rivoluzioni, fattore dinamico della storia che sprigiona energia, sono destinate a lasciare il segno e a rinnovarsi nel tempo, soprattutto in tempi in cui i sogni sono assenti: «I bimbi che un giorno saranno ragazzi di 20 anni – scrisse in Lettera a un soldato della classe ’40 – apprenderanno con oscura meraviglia dell’esistenza di questa esaltazione di milioni di uomini, i campeggi della gioventù, la gloria del passato, le sfilate, le cattedrali di luce, gli eroi caduti in combattimento, l’amicizia tra i giovani di tutte le nazioni rinate. Josè Antonio, il fascismo immenso e rosso. E io so che il comunismo ha, anch’esso, una sua grandezza del pari esaltante. Può addirittura essere che, tra mille anni, si confondano le due rivoluzioni del XX secolo».
Nell’attesa che Brasillach venga riscoperto come grande scrittore, come autore – insieme al cognato Maurice Bardèche – di una Histoire du cinema (1935) che conquistò schiere di appassionati della nuova forma d’arte, il suo nome resta piombato alla definizione che ne diede Giano Accame in un libro realizzato dall’editore Volpe, Omaggi a Brasillach, per il ventennale della morte del poeta. Brasillach fu “Il poeta dei Balilla”, e non possiamo levarcelo di torno perché sta lì a testimoniare l’entusiasmo fanciullesco con cui si potè credere che una formula politica potesse dare stabilità al «momento magico della giovinezza», l’ingenuità della speranza per lui incarnata dal «giovane fascista che canta, marcia, lavora e sogna», e che è un «giovane allegro», la cui immagine resta scolpita nelle pagine de Il nostro anteguerra. Brasillach fu talmente contaminato «dall’illusione di veder nascere l’uomo nuovo» che resta lettura piena di fascino per chi non si arrende alla banalità e alla degradazione della politica. «Scrittore – concludeva Giano Accame – che si è ispirato alla nostra adolescenza e con essa è morto». Anche per questo il suo fantasma ci insegue, illuminato «dalla luce pallida delle nostre promesse non mantenute».
Annalisa Terranova è nata a Roma nel 1962, giornalista e scrittrice. Caposervizio al "Secolo d’Italia", è redattrice al mensile "Area" e collabora con varie testate. E' stata tra le fondatrici del Centro Studi Futura ed attiva nella rivista "Eowyn". Ha pubblicato (per le edizioni Settimo Sigillo), Planando sopra boschi di braccia tese ('96), saggio sul movimento giovanile del MSI, e Aspetta e spera che già l’ora si avvicina (2002), dedicato agli eventi di Alleanza Nazionale in rapporto alla svolta di Fiuggi. Recentemente ha pubblicato Camicette nere. Donne di lotta e di governo da Salò ad Alleanza Nazionale (Mursia, 2007).

1 commento:

Anonimo ha detto...

"I Sette Colori" di Robert Brasillach è un libro meraviglioso, frutto di un ingegno mirabile e di un uomo sensibile e raffinato. Meriterebbe di essere più conosciuto... ma speriamo che la sinistra non cerchi di appropriarsi anche di lui come cerca di fare con Céline, Mishima e Drieu.