lunedì 30 marzo 2009

James Ballard: cosa succede in occidente? (di Errico Passaro)

Articolo di Errico Passaro
Dal Secolo d'Italia di mercoledì 25 marzo 2009

Sta facendo discutere quest’ultimo libro di James Graham Ballard, l’autobiografia dello scrittore britannico intitolata I miracoli della vita (Feltrinelli, pp. 230, euro 17, traduzione dell’esperto Antonio Caronia), un testo che mostra l’autore nelle vesti di testimone d’eccezione del secolo breve dall’osservatorio privilegiato della letteratura. Una biografia straordinaria che si può dividere in due parti: la prima va dal dal 1930 al 1946 e si incentra sul periodo trascorso in Cina durante la seconda guerra mondiale (episodio clou la permanenza nel campo di Lunghua, riflesso ne L’impero del sole). Qui il piccolo Ballard scopre che la realtà è «…un palcoscenico che poteva es sere demolito in ogni momento… vedere come tutto si spostava e si ridisponeva in modo casuale mi diede allora per la prima volta il senso del surrealismo della vita di tutti i giorni, per quanto Shangai fosse sempre stata già di per sé abbastanza surrealista». Scrive, in proposito, lo stesso James Ballard: «Credo che una buona parte della mia narrativa sia stata un tentativo di evocare l’atmosfera della Shanghai dove sono nato in un modo diverso dal semplice ricordo», osserva tra l’altro. E poi aggiunge: «A Shanghai il fantastico, che per la maggior parte delle persone sta dentro alla propria testa, per me stava fuori, lo vedevo ovunque mi giravo, e adesso penso che lo sforzo che facevo da ragazzo fosse quello di cercare, in tutta quella finzione, la realtà».
La seconda parte della biografia prende le mosse nell’immediato dopoguerra, nel 1946. Nel convitto Leys School, abbozza racconti sperimentali e si nutre delle prime letture intensive: Evelyn Waugh, Graham Greene, Aldous Huxley, George Orwell fra gli inglesi, Ernest Hemingway, John Dos Passos, Franz Kafka, Albert Camus, James Joyce, Fiodor Dostoevskij fra gli stranieri, ma, soprattutto, si accosta da un lato alla pittura surrealista (Giorgio De Chirico, Max Ernst e Salvador Dalì) e, dall’altra alla psicoanalisi: «Sentivo fortemente, come anche adesso, che la psicanalisi e il surrealismo erano una chiave per la verità sull’esistenza e la personalità umana… mi fornivano una via d’uscita, un corridoio segreto per un mondo più reale e più dotato di significato, un mondo in cui i ruoli psicologici cangianti sono più importanti dei “personaggi” così ammirati dagli insegnanti e dai critici letterari inglesi, un mondo in cui le profonde rivoluzioni della psiche contano più dei drammi sociali della vita quotidiana…». In quel momento Ballard comincia ad avvertire di essere un «membro disfunzionale, addirittura pericoloso per la società… mi piaceva pensare di essere senza radici, ma probabilmente ero inglese come chiunque altro…». Dal 1949 il futuro narratore studia medicina a Cambridge: «Quasi sessant’anni dopo, penso ancora che quei due anni di anatomia siano stati tra i più importanti della mia vita, e abbiano contribuito a formare gran parte del mio immaginario». Contemporaneamente divora i «violenti thriller americani… con i loro racconti di alienazione e di tradimento emotivo. Sentivo che stava già emergendo un nuovo tipo di cultura popolare, che giocava astutamente con la latente psicopatia degli spettatori…». E vince un premio letterario studentesco con un racconto di ispirazione hemingwaiana.
Nel 1951 James lascia gli studi e, contro il volere dei genitori, progetta di diventare uno scrittore professionista, mantenendosi intanto come apprendista copywriter. Nel tempo libero, visita le gallerie d’arte londinesi, dove si sofferma su surrealisti e modernisti; ma è l’incontro con Francis Bacon e la sua opera lacerante a sconvolgere più di ogni altro la sua immaginazione febbrile. Dal ’53 fa quindi il facchino e poi il venditore di enciclopedie e, infine, si arruola nella Royal Air Force, l’aeronautica militare britannica. Ed è di quegli anni l’incontro con la fantascienza, maturato nell’emporio della stazione degli autobus di Moose Jaw, dove è di stanza con i suoi commilitoni. Ai raccontini planetari di Astounding preferisce da subito quelli di Galaxy o Fantasy e Science Fiction, «in cui venivano estrapolate tendenze politiche e sociali già visibili negli anni del dopoguerra. Il loro terreno di elezione erano i pericoli che la televisione, la pubblicità e un paesaggio mediatico tipico dell’America rappresentavano per un pubblico troppo malleabile. Esaminavano con acutezza gli abusi della psichiatria e gli inganni di una politica ridotta alla stregua della pubblicità…».
Nel ’55 il ragazzo lascia la Raf e torna a Londra, dove incontra e sposa Mary: «Stava a sentirmi per delle ore mentre le raccontavo il tipo di narrativa che volevo scrivere, mi spingeva a continuare a scrivere e a ignorare la profonda ostilità che i miei racconti suscitavano nel campo della fantascienza, tra gli appassionati», dove «regnava una ferocia ortodossia, e ogni tentativo di allargare le prospettive della fantascienza tradizionale veniva considerato come una losca cospirazione». Nel frattempo, per campare, si impiega al settimanale Chemistry & Industry, dove gli si apre una finestra sulle novità scientifiche, mentre a latere incrocia la rivelatoria mostra “This is Tomorrow”, «atto di nascita della pop art», ovvero l’«emergere di un immaginario sintonizzato sulla cultura visiva della strada, sulla pubblicità, sui segnali stradali, sui film e le riviste popolari, sul design del packaging e dei beni di consumi, un universo intero in mezzo al quale ci muovevamo tutti i giorni, ma che ben di rado spuntava nelle belle arti all’epoca riconosciute come tali… This is Tomorow mi convinse che la fantascienza era molto più vicina alla realtà di quanto non lo fosse il romanzo realista convenzionale in auge allora, che fosse quello dei giovani arrabbiati coi loro risentimenti e i loro brontolii, o quello dei romanzieri più “classici”».
Nel 1961 pubblica il romanzo Il vento dal nulla, nel ’63 Il mondo sommerso: «… il cambiamento era ciò di cui scrivevo, soprattutto le tendenze più riposte dei mutamenti che già cominciavano a rivelarsi nel comportamento della gente. Persuasori in visibili stavano manipolando la politica e i mercati del consumo, influenzando abitudini e presupposti in un modo che ancora pochi comprendevano. Mi sembrava che fosse lo spazio psicologico, quello che io chiamavo “spazio interno”, la direzione verso cui la fantascienza avrebbe dovuto tendere. Ma incontravo una tremenda opposizione». Fa eccezione il collega Michael Moorcock, «che aveva abbracciato la causa del cambiamento e divenne portavoce (anche in senso letterale) della New Wave, come venne chiamata l’ala innovativa e di avanguardia della fantascienza, la stessa che più tardi, nel 1964, si sarebbe coagulata intorno all’esperienza di New Worlds, «in forte sintonia con la Londra degli anni sessanta, la sua psichedelica, le bizzarre avventure editoriali, la rottura delle barriere da parte di una nuova generazioni di artisti e fotografi, l’uso della moda come arma politica, i fenomeni di culto giovanili e la cultura della droga».
Nel 1963 la moglie muore per i postumi di una banale appendicite, lasciandolo solo a crescere i tre figli, a cui si dedicherà con assoluta dedizione. In quel periodo di lutto, sfugge alle lusinghe dell’alcool grazie alla vicinanza di amici come Moorcock e consorte. Dopo il tragico evento, dice l’autore, «la mia scrittura cambiò direzione e molti lettori pensarono che io fossi diventato molto più cupo. Ma a me piace pensare invece di essere stato molto più radicale». Nascono, così, i racconti destinati a confluire nella raccolta La mostra delle atrocità. Sono gli anni Sessanta: «Andavo a molte feste, e fumavo un po’ erba, anche se, di fondo, rimanevo un uomo da whisky e soda. Per certi versi gli anni Sessanta furono la realizzazione di tutto ciò che speravo accadesse in Inghilterra. Le ondate di cambiamento si susseguivano l’una all’altra, e a tratti sembrava che il cambiamento diventasse una nuova specie di noia, mascherando la verità che sotto la sgargiante superficie tutto rimanesse com’era». Fa conoscenza del dottor Martin Bax, editore di una rivista di poesia per la quale James Ballard inventa iniziative provocatorie, come il premio per il miglior scritto sotto l’influenza delle droghe, letture di saggi scientifici accompagnati dall’esibizione di famose spogliarelliste, rassegne di poesie generate dal computer («a detta di Martin, erano buone tanto quelle vere. Io andai oltre: erano loro ad essere quelle vere»). Altri incontro importanti sono quelli con figure quali Chris Evans, «scienziato teppista » che non disdegna di interessarsi alla parapsicologia e alla scientologia, ed Eduardo Paolozzi, che lo inizierà al fascino del Giappone: «Per Eduardo, io credo, il Giappone diventò la continuazione dell’America con altri mezzi, e al centro del sogno ingiapponese sta l’eccitazione per una tecnologia che si rinnova continuamente».
Nel ’67 incontra Claire Walsh, «ispiratrice e compagna di vita per quarant’anni». Nel ’70 da alle stampe il romanzo Crash, accompagnandolo con eventi eclatanti come una mostra d’arte incidentate che suscita scalpore tra i visitatori. Il libro diventerà un film per la regia di David Cronenberg, la sorte che avrà negli anni ’90 L’impero del Sole con Steven Spielberg. Nel ’91 lo scrittore torna a Shanghai. E, purtroppo, nel 2004 gli viene diagnosticato un cancro alla prostata, contro cui tuttora sta serenamente combattendo.
Affidiamo alle parole di Ballard l’epilogo: «… Oggi gli appassionati di fantascienza sono una razza del tutto diversa. Molti hanno fior di lauree, hanno letto Joyce e Nabokov, hanno visto Alphaville, e possono collocare la fantascienza entro un contesto letterario più ampio. Eppure, curiosamente, la fantascienza è in caduta libera, e questo potrebbe dirla lunga sull’argomento». In chiusura Ballard indica i nomi di due scrittori con le caratteristiche giuste per raccogliere la sua eredità artistica: Ian Sinclair e Will Self. È alle loro opere, afferma, che occorre guardare per capire cosa sta accadendo oggi in Inghilterra, un paese che giudica «dominato dalla pubblicità di massa, in cui il governo si occupa soprattutto di pubbliche relazioni».
Errico Passaro. Ufficiale dell'Aeronautica Militare, dottore in giurisprudenza, è giornalista pubblicista. Ha pubblicato su testate e collane professionali un saggio in volume, oltre 100 racconti e cinque romanzi: "Il delirio", Solfanelli; "Nel solstizio del tempo", Keltia; "Gli anni dell'aquila", Settimo Sigillo; "Le maschere del potere", Nord; "Inferni", Secolo d'Italia. Dal 12 maggio è in libreria il romanzo fantasy (scritto con Gabriele Marconi) "Il Regno Nascosto" (Dario Flaccovio Editore).

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