venerdì 15 maggio 2009

“Le falangi dell’Ordine Nero” di Bilal e Christin, l'epopea di quelli che rifiutarono la sconfitta (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di giovedì 14 maggio 2009
Visioni fantastiche frammiste a tragedie del “secolo ventesimo”, l’incandescente e famigerato Novecento. Come il titolo della raccolta di due famose “graphic novel” firmate da Enki Bilal (a destra) e Pierre Christin (a sinistra) proposta dalla Mondadori nell’ambito della collana «I Maestri del fumetto» attualmente nelle edicole. Si tratta del dittico “politico” composto da Le Falangi dell’Ordine Nero e Battuta di caccia, due storie a fumetti le quali per la prima volta erano state conosciuti in Italia nel 1983, per la rivista Pilote e per gli albi editi da Fabbri-Dargaud.
Bilal è noto agli appassionati di fumetti soprattutto per le sue visioni fantastiche che lo hanno reso popolare già dai primi anni ’80 anche oltre i confini francesi. Lo stesso Ridley Scott ha ammesso il debito di ispirazione contratto nei confronti dell’artista nell’ideare il suo film Blade Runner del 1982, traendo spunto specialmente dagli ambienti e dalle atmosfere della Fiera degli immortali. Lavori nei quali era possibile rintracciare quelle che a loro volta erano le fonti di ispirazione dello stesso Bilal, da sempre vicino ai maestri e più anziani colleghi Moebius (Jean Giraud) e Philippe Druillet, creatori di universi fantastici e decadenti, e di personaggi e contesti ossessionati dall’incubo del futuro. Ma già tra la generazione di Moebius e quella dei Bilal erano rintracciabili delle differenze significative. Se Moebius – dal quale anche un grandissimo artista italiano come Andrea Pazienza ha tratto ispirazione per la creazione del suo Penthotal – e Druillet viaggiavano nello spazio della fantasia attraverso il fantastico alludendo continuamente al nostro mondo, Bilal narra un fantastico totalmente impregnato di materia e di realtà. Anche e soprattutto quando la realtà è costellata di vicende e tragedie, non di meno quelle politiche, che hanno caratterizzato la contemporaneità.
Del resto la stessa biografia di Bilal ne spiega le ragioni: nato a Belgrado nel 1951, da padre bosniaco e madre ceca, arriva a Parigi nel 1960, come era accaduto a tante altre famiglie che sfuggivano dall’oppressione di regimi collettivisti dell’Est europeo. Così, nella Francia post-sessantottina, Bilal ebbe modo di sviluppare la sua creatività, iniziando la sua carriera da fumettista nel ’72 con la pubblicazione di una breve storia sulla rivista Pilote. Poi nel ’79, a 28 anni, pubblica in volume due storie, già uscite a episodi in anni precedenti, che lo consacreranno tra i migliori autori francesi: Sterminatore 17, per i testi di Jean-Pierre Donnet, e appunto Le Falangi dell’Ordine Nero, con due soggetti scritti da Pierre Christin. Racconti che spiegano bene la complessità del mondo interiore e la capacità di creare sintesi tra i registri fantastico-fantascientifico e realistico: elementi che confluiranno in tutta la produzione di Bilal dalla Fiera degli immortali (1980) in poi. Se Sterminatore 17 raccontava la storia di un androide da guerra sopravvissuto al massacro dei suoi simili, tra fantascienza e misticismo, sulla scia di una rivendicazione politica di libertà da parte degli androidi che vogliono essere riconosciuti come esseri viventi e pensanti, una vocazione ancora più realista e concreta fa da sfondo alla storia de Le Falangi. Christin è autore di una storia cupa e sanguinaria fin dall’esordio, di una lotta ideale che sfocia in ossessione. Qualcosa di poco superiore a un regolamento di conti tra bande rivali, dove a essere denunciata è tanto la violenza dei falangisti di estrema destra con l’obiettivo dichiarato di «restaurare i valori dell’occidente cristiano», quanto l’assurdità di un terrorismo di sinistra che nasce nei medesimi anni appena successivi al secondo conflitto mondiale, epoca nella quale è contestualizzato il racconto. Se da un lato Le Falangi dell’Ordine Nero rivendicano un attentato nel quale è stato raso al suolo un villaggio e ne sono stati sterminati gli abitanti – colpevoli di avere votato liste di sinistra alle elezioni – dall’altro veniva anche condannata la becera vocazione alla vendetta dei partigiani. Entrambi sono considerati da Bilal e Christin specchi del passato, vecchi protagonisti di vecchie storie e guerre, rappresentate nel loro passatismo con l’utilizzo del colore grigio che domina opacizzandolo il mondo de Le Falangi. Vecchi erano i terroristi d’estrema destra, come vecchi erano i partigiani delle Brigate Internazionali che si ritrovano decenni dopo la Guerra Civile Spagnola: vecchia, insomma, la dialettica del muro contro muro e, in quanto tale, anacronistica e pericolosa. È una chiave di lettura degli opposti estremismi che già alla fine degli anni Settanta in Francia aveva interessato e stimolato l’elaborazione della Nouvelle Droite di Alain de Benoist, che proprio a partire da quegli anni proponeva il superamento di vecchie dicotomie e di opposizioni frontali per andare alla ricerca di nuove sintesi. Bisognava infatti comprendere l’avanzare dei tempi e riporre quelle che erano state le armi delle generazioni precedenti e, una volta per tutte, la questione fascismo-antifascismo.
In questo scenario si collocava bene una pubblicazione come quella di Enki Bilal che cominciava a percepire la crisi di certe convinzioni ideologiche ormai desuete e pretestuose. D’altronde, nel volgere di poco tempo l’eco del lavoro prodotto con Le Falangi arrivava anche in Italia dove, sulla scia di quanto stava elaborando in Francia il movimento metapolitico di Alain de Benoist, si stava sviluppando anche il contesto politico- culturale che avrebbe dato forma alla Nuova destra italiana.
Non è un caso che l’importanza di quella storia a fumetti, e della sua pubblicazione proprio negli anni in cui si stava lentamente uscendo dal “tunnel” di muro contro muro che aveva portato alla sanguinosa stagione degli anni di piombo, venne subito recepita da La Voce della Fogna, la rivista della destra giovanile underground, che col solito stile satirico teso a ironizzare su tutto e soprattutto su certi tipi di militanti, nel numero 30, del 1983, commentava con queste parole il lavoro di Enki Bilal: «I mitomani sono, come al solito, pregati di astenersi (tanto è tempo di elezioni, e avranno modo di trovare un’occupazione): agli altri consigliamo Le Falangi dell’Ordine Nero, prima ancora che ne venga fatto il film in lavorazione… meglio la cellulosa che la celluloide. Due gruppi di ex combattenti della guerra civile spagnola, divisi tra varie nazioni (ma di americani ce n’è da una parte sola, se Dio vuole), decidono, prima di andarsene al Creatore, di chiudere i conti in sospeso. Quale migliore scenario dell’Europa lacerata dalla strategia della tensione degli anni Settanta? Il seguito immaginatelo voi. A costo di spiacere ai vostri temperamenti fielosi, vi anticipiamo che per noi l’apoteosi è nell’ambiguo, demistificante finale».
Che La Voce della Fogna abbia fatto in qualche modo da battistrada, sia pure con un linguaggio giovanile e underground, a tante tematiche che nel corso degli anni hanno contribuito alla modernizzazione della destra, è ormai un dato assodato da studiosi e politologi. E anche questa entusiastica, quanto sgangherata, recensione de Le Falangi dimostra che evidentemente quell’ambiente era già abbastanza maturo per affrontare questioni che in qualche maniera sono tornate priodicamente d’attualità sul crinale dei dibattiti fascismo/ antifascismo. Proseguiva ancora la VdF: «Facciamo una confessione: i nostri favori vanno senza riserve ad Aureliano, anche se gli ammiccamenti in stile Nouvelle Droite del disegnatore vorrebbero portarci altrove, soprattutto nelle Falangi, alla polemica anticristiana. La storia si segnala, comunque, per l’eccellenza dello stile e le non poche intuizioni illuminanti della trama». E che in quanto tale andrebbe recepita da chiunque voglia avvalersi del contributo di Bilal e Christin, in definitiva due geni del fumetto europeo contemporaneo, e della loro “versione dei fatti” in merito a tematiche di grande rilevanza storica. Con un consiglio di lettura particolare, magari, a chi sulle medesime tematiche si è convinto negli anni di essere depositario di verità uniche e universali...
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Attento indagatore delle culture e delle dinamiche giovanili, collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

3 commenti:

Claudio Ughetto ha detto...

Li lessi tanti anni fa, avevo credo 16/17. Ne "Le Falangi" Bilal definisce il suo stile in senso realista, senza però concedersi i barocchismi un po' gore di "Battuta di caccia", dove ogni tavola è un quadro.
Devo dire che "Le falangi dell'"Ordine Nero" mi emozionò molto, anche per quel finale ormai entrato nella storia del fumetto. "Battuta di caccia" mi colpì, ma ero "piccolo" e non lo capii del tutto, con tutti quei riferimenti storici sottili in un'epoca da poli contrapposti, dove l'egemonia culturale italiana tendeva a sorvolare sulle vicende interne dell'URSS. Credo però sia stato quel fumetto a farmi andare "oltre" e vedere il '900 in modo più complesso.
Tuttavia mi sembra che "Partita di caccia" uscì nell'anno in cui fu premiato lo "Zanardi" di Andrea Pazienza. Su Orient Express ci furono delle discussioni: a pari importanza, era meglio premiare il genio nostrano o i due francesi (vabbé... uno naturalizzato)? Io ero per Zanardi: forse lo sono ancora, perché Pazienza ha reinventato il fumetto, gli altri due rimangono grandi ma più "statici". Tuttavia dovrei rileggere entrambi quei capolavori.

Ah... bravo Giovanni!

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

E pensare che c'è chi sostiene che il fumetto - come categoria - non sia arte...
Grazie e sì, bell'articolo Giovanni!
Rob

Giovanni Tarantino ha detto...

Grazie a voi!
Grazie Rob...!

Piccolo parere personale: anche io sono per Zanardi!