Dal Secolo d'Italia di giovedì 4 giugno 2009
Una città improvvisamente minacciata da un ignoto cataclisma. L’impossibilità di comunicare con il resto del mondo. Il caos, la paura e l’impotenza. L’arrivo dell’esercito. La popolazione sfollata, costretta ad abbandonare abitazioni e lavoro per mettersi in viaggio con i propri mezzi e senza una destinazione certa. Sembra di (ri)leggere la drammatica cronaca del terremoto che lo scorso 6 aprile ha fatto tremare L’Aquila seminando morte e distruzione. Stavolta, per fortuna, si tratta di un’opera di fantasia, Caravan, la nuova miniserie "made in Bonelli" ideata e realizzata dallo scrittore sardo Michele Medda, già papà – con i conterranei Antonio Serra e Bepi Vigna – di Nathan Never e Legs Weaver, e sceneggiatore di punta di vere corazzate del fumetto italiano come Tex, Martin Mystère, Nick Raider e Dylan Dog.
L’appuntamento in edicola è per il prossimo mercoledì, il 10 giugno, con “Il cielo su Nest Point”, il primo di dodici albi/capitoli mensili di una graphic novel che si presenta come una novità assoluta. Nessun ammiccamento ruffiano alle “tendenze” del momento o a serie televisive collaudate come Jericho o Lost. Non è il mistero sulla natura della minaccia il tema della storia, né l’incipit irreale è sufficiente a iscrivere d’ufficio Caravan alla fantascienza o ad altro genere. Tanto meno si percorre la sin troppo battuta strada dell’avventura classica. Al contrario, sono molti i canoni sfidati dall’autore. A cominciare dalla “testata”, che – per la prima volta nella lunga tradizione della Bonelli – non è consacrata a un solo protagonista. Il termine “Caravan”, infatti, offre una singolare doppia lettura: di carovana che si muove e di roulotte sulla quale viaggiano le famiglie. Persone comuni alle prese con una situazione straordinaria e non eroi in lotta contro il male. Nelle copertine, affidate al segno elegante di Emiliano Mammuccari, inoltre, non compariranno pistole né armi di alcun tipo. Su questo Medda è stato perentorio: nessuna concessione a suggestioni tarantiniane. Negli albi che si susseguiranno non ci sarà cittadinanza per agguati e scazzottate, psicopatici e inseguimenti acrobatici. Certo non mancheranno situazioni drammatiche e conflitti, ma l’attenzione sarà centrata sui sentimenti delle persone senza indulgere in atmosfere apocalittiche o ricorrere a effetti speciali.
Il tono, semmai, è quello della ballata. L’idea, non a caso, nasce proprio da una canzone e risale ai primi anni Novanta. Ce lo racconta lo stesso Medda. «Stavo ascoltando una canzone di Bruce Springsteen, Seeds, pubblicata nell’album Live 1975 –1985, e non ne capivo bene il testo. C’era una famiglia che viveva in auto e fuggiva da qualcosa. Mi colpì l’immagine del poliziotto che, nel cuore della notte, batteva sul parabrezza col manganello e ripeteva: “Move along, move along”. “Muovetevi, muovetevi”. Così pensai che potesse essere una città intera a riversarsi sulla strada senza sapere da cosa stesse fuggendo... Volevo farne una storia “on the road”, un racconto lungo, ma in quel momento ero troppo preso dai primi albi di Nathan Never e l’idea è rimasta nel cassetto per quindici anni». Nel frattempo l’agente speciale della mitica Agenzia Alfa è cresciuto fino a diventare uno dei più “robusti” personaggi bonelliani, toccando punte di centomila copie mensili e conquistando “spazi” importanti in diversi paesi europei, in Brasile e negli Stati Uniti.
E proprio nell’America che ci piace è ambientata Caravan. Non parliamo tanto della location – Nest Point, un’immaginaria cittadina costiera di uno Stato non precisato – ma soprattutto di quello che l’America evoca ancora nel nostro immaginario, dei grandi temi della letteratura, del cinema e della musica che fanno di questa nuova collana una specie di grande affresco a stelle e strisce filtrato da uno sguardo europeo. Un’avventura “on the road”, dicevamo, ma decisamente sui generis. Perché la storia, anzi le storie, si sviluppano per lo più fuori dalla carovana e a prescindere dal viaggio stesso. «Un procedere a tappe – ci spiega Medda – presupporrebbe incontri con persone diverse, ma così verrebbero a sapere cosa sta succedendo. Invece i protagonisti si muovono lungo uno spazio vuoto, ripercorrono le loro stesse vicende esistenziali e attraverso il racconto delle loro esperienze ci restituiscono l’America dei film di John Ford e Sam Peckinpah, la musica rock e il fascino della frontiera». Pur seguendo una continuity che si concluderà nell’ultimo albo, infatti, ogni numero ha un protagonista diverso che, mediante il sapiente ricorso del flashback, ci presenterà un differente spaccato temporale e culturale, passando disinvoltamente dall’America rurale a quella metropolitana, da quella contemporanea a quella di decenni fa. Nel numero 2 a raccontarsi sarà Stagger, il motociclista libertario che ha lavorato come meccanico e balia delle moto nella lavorazione di Easy Rider, il film cult girato da Denis Hopper nel 1969. Più avanti toccherà al candido Whitley Adamson, cacciato dalla sua azienda per aver detto di avere incontrato gli extraterrestri, chiaro riferimento agli alieni di Steven Spielberg. E poi Carrie, con una storia di riscatto femminile che sembra scritta da Stephen King. Il numero 6, invece, sarà dedicato alla famiglia Donati, nucleo centrale della serie, ed è ambientato tra Firenze e Milano degli anni Ottanta. Racconta come si sono conosciuti Massimo, architetto italiano trapiantato negli Usa, e sua moglie Stephanie. Ed è proprio uno dei loro figli, il diciassettenne Davide, la voce narrante di Caravan. È attraverso il diario di quest’ultimo che il lettore seguirà lo svilupparsi della vicenda. Sarà lui ad annotare giorno per giorno le sue impressioni come in un romanzo di formazione.
«Dopo vent’anni trascorsi a raccontare storie di uomini duri e invincibili – ci racconta Medda – volevo cambiare prospettiva e guardare il mondo con gli occhi di un giovane italiano che, confrontandosi con un mondo improvvisamente ostile, finisce per scoprire se stesso». Impresa ardua, quella di immedesimarsi in un adolescente, ma alla portata per uno scrittore nato negli anni Sessanta e cresciuto a pane, fumetti e fantasia – «appartengo alla generazione di Braccobaldo Show», puntualizza – che ha mosso i primi passi come autore di strisce umoristiche e che ancora oggi non disdegna di collaborare a serie per giovanissimi tra cui Monster Allergy per Walt Disney Italia e X-Campus, la versione “teen” degli X-Men della Panini/Marvel. Non a caso, del resto, tra i Dylan Dog firmati da lui c’è Il battito del tempo, “sequel” originale di Peter Pan, che rimane un eterno ragazzino anche se è rappresentato come un buffo uomo di mezza età. E a conferma della sua idea disincantata e tutt’altro che pretenziosa della scrittura, al debutto come sceneggiatore dell’indagatore dell’incubo, Medda ha rivolto un omaggio a Charles Bukowski. L’autore di Storie di ordinaria follia fa così la sua irruzione nell’albo La prigione di carta – caso più unico che raro nel fumetto italiano – nei panni di Charlie Chivazky, camuffamento dichiarato proprio di Henry Chinasky, l’alter ego letterario del vecchio Hank. Lo intervista Benjamin Meeks – alias del nostro Beniamino Placido – che lo incalza ricordando la famosa accusa di Goffredo Fofi (trasformato per l’occasione in Geoffrey Fuffs): «I giovani prendono Chivazky come la legittimazione letteraria di ogni disgusto esistenziale». E Chivazky risponde: «Fuffs parla come uno che si aspetta qualcosa dagli scrittori. Arte, cultura, cavolate del genere. Ha un’alta considerazione della scrittura, il che è profondamente sbagliato. Lo scrittore, invece, è solo uno che ha fantasia». Concordiamo...
«Ma gli autori – sottolinea al riguardo Medda – non mancano neanche oggi. Mancano gli editori disposti a investire. E ci sono ancora troppi denigratori del mezzo. Purtroppo il fumetto, come anche la letteratura popolare, non è ancora accettata a livello accademico. Da poco è stato sorprendentemente sdoganato il noir, ma rimango convinto che l’appeal di una serie non cresca proporzionalmente al numero dei morti ammazzati». Una cosa è certa: si stava meglio quando si stava peggio. «Prima i giovani bravi potevano misurarsi in palestre importanti come le riviste popolari e persino nei fumetti erotici per poi provare cose diverse. Adesso o fai subito la cosa giusta o non fai niente. Il mestiere di fumettaro quasi non esiste più, le scuole sono utili ma non indispensabili… La verità – conclude un po' amareggiato – è che prima c’era la capacità di proiettarsi nel futuro. Ecco io vorrei che i giovani tornassero a pensare in grande e, come ho detto in uno dei miei momenti di sconforto, che sognassero di diventare nuovi Bob Dylan piuttosto che replicanti di Flavio Briatore».
L’appuntamento in edicola è per il prossimo mercoledì, il 10 giugno, con “Il cielo su Nest Point”, il primo di dodici albi/capitoli mensili di una graphic novel che si presenta come una novità assoluta. Nessun ammiccamento ruffiano alle “tendenze” del momento o a serie televisive collaudate come Jericho o Lost. Non è il mistero sulla natura della minaccia il tema della storia, né l’incipit irreale è sufficiente a iscrivere d’ufficio Caravan alla fantascienza o ad altro genere. Tanto meno si percorre la sin troppo battuta strada dell’avventura classica. Al contrario, sono molti i canoni sfidati dall’autore. A cominciare dalla “testata”, che – per la prima volta nella lunga tradizione della Bonelli – non è consacrata a un solo protagonista. Il termine “Caravan”, infatti, offre una singolare doppia lettura: di carovana che si muove e di roulotte sulla quale viaggiano le famiglie. Persone comuni alle prese con una situazione straordinaria e non eroi in lotta contro il male. Nelle copertine, affidate al segno elegante di Emiliano Mammuccari, inoltre, non compariranno pistole né armi di alcun tipo. Su questo Medda è stato perentorio: nessuna concessione a suggestioni tarantiniane. Negli albi che si susseguiranno non ci sarà cittadinanza per agguati e scazzottate, psicopatici e inseguimenti acrobatici. Certo non mancheranno situazioni drammatiche e conflitti, ma l’attenzione sarà centrata sui sentimenti delle persone senza indulgere in atmosfere apocalittiche o ricorrere a effetti speciali.
Il tono, semmai, è quello della ballata. L’idea, non a caso, nasce proprio da una canzone e risale ai primi anni Novanta. Ce lo racconta lo stesso Medda. «Stavo ascoltando una canzone di Bruce Springsteen, Seeds, pubblicata nell’album Live 1975 –1985, e non ne capivo bene il testo. C’era una famiglia che viveva in auto e fuggiva da qualcosa. Mi colpì l’immagine del poliziotto che, nel cuore della notte, batteva sul parabrezza col manganello e ripeteva: “Move along, move along”. “Muovetevi, muovetevi”. Così pensai che potesse essere una città intera a riversarsi sulla strada senza sapere da cosa stesse fuggendo... Volevo farne una storia “on the road”, un racconto lungo, ma in quel momento ero troppo preso dai primi albi di Nathan Never e l’idea è rimasta nel cassetto per quindici anni». Nel frattempo l’agente speciale della mitica Agenzia Alfa è cresciuto fino a diventare uno dei più “robusti” personaggi bonelliani, toccando punte di centomila copie mensili e conquistando “spazi” importanti in diversi paesi europei, in Brasile e negli Stati Uniti.
E proprio nell’America che ci piace è ambientata Caravan. Non parliamo tanto della location – Nest Point, un’immaginaria cittadina costiera di uno Stato non precisato – ma soprattutto di quello che l’America evoca ancora nel nostro immaginario, dei grandi temi della letteratura, del cinema e della musica che fanno di questa nuova collana una specie di grande affresco a stelle e strisce filtrato da uno sguardo europeo. Un’avventura “on the road”, dicevamo, ma decisamente sui generis. Perché la storia, anzi le storie, si sviluppano per lo più fuori dalla carovana e a prescindere dal viaggio stesso. «Un procedere a tappe – ci spiega Medda – presupporrebbe incontri con persone diverse, ma così verrebbero a sapere cosa sta succedendo. Invece i protagonisti si muovono lungo uno spazio vuoto, ripercorrono le loro stesse vicende esistenziali e attraverso il racconto delle loro esperienze ci restituiscono l’America dei film di John Ford e Sam Peckinpah, la musica rock e il fascino della frontiera». Pur seguendo una continuity che si concluderà nell’ultimo albo, infatti, ogni numero ha un protagonista diverso che, mediante il sapiente ricorso del flashback, ci presenterà un differente spaccato temporale e culturale, passando disinvoltamente dall’America rurale a quella metropolitana, da quella contemporanea a quella di decenni fa. Nel numero 2 a raccontarsi sarà Stagger, il motociclista libertario che ha lavorato come meccanico e balia delle moto nella lavorazione di Easy Rider, il film cult girato da Denis Hopper nel 1969. Più avanti toccherà al candido Whitley Adamson, cacciato dalla sua azienda per aver detto di avere incontrato gli extraterrestri, chiaro riferimento agli alieni di Steven Spielberg. E poi Carrie, con una storia di riscatto femminile che sembra scritta da Stephen King. Il numero 6, invece, sarà dedicato alla famiglia Donati, nucleo centrale della serie, ed è ambientato tra Firenze e Milano degli anni Ottanta. Racconta come si sono conosciuti Massimo, architetto italiano trapiantato negli Usa, e sua moglie Stephanie. Ed è proprio uno dei loro figli, il diciassettenne Davide, la voce narrante di Caravan. È attraverso il diario di quest’ultimo che il lettore seguirà lo svilupparsi della vicenda. Sarà lui ad annotare giorno per giorno le sue impressioni come in un romanzo di formazione.
«Dopo vent’anni trascorsi a raccontare storie di uomini duri e invincibili – ci racconta Medda – volevo cambiare prospettiva e guardare il mondo con gli occhi di un giovane italiano che, confrontandosi con un mondo improvvisamente ostile, finisce per scoprire se stesso». Impresa ardua, quella di immedesimarsi in un adolescente, ma alla portata per uno scrittore nato negli anni Sessanta e cresciuto a pane, fumetti e fantasia – «appartengo alla generazione di Braccobaldo Show», puntualizza – che ha mosso i primi passi come autore di strisce umoristiche e che ancora oggi non disdegna di collaborare a serie per giovanissimi tra cui Monster Allergy per Walt Disney Italia e X-Campus, la versione “teen” degli X-Men della Panini/Marvel. Non a caso, del resto, tra i Dylan Dog firmati da lui c’è Il battito del tempo, “sequel” originale di Peter Pan, che rimane un eterno ragazzino anche se è rappresentato come un buffo uomo di mezza età. E a conferma della sua idea disincantata e tutt’altro che pretenziosa della scrittura, al debutto come sceneggiatore dell’indagatore dell’incubo, Medda ha rivolto un omaggio a Charles Bukowski. L’autore di Storie di ordinaria follia fa così la sua irruzione nell’albo La prigione di carta – caso più unico che raro nel fumetto italiano – nei panni di Charlie Chivazky, camuffamento dichiarato proprio di Henry Chinasky, l’alter ego letterario del vecchio Hank. Lo intervista Benjamin Meeks – alias del nostro Beniamino Placido – che lo incalza ricordando la famosa accusa di Goffredo Fofi (trasformato per l’occasione in Geoffrey Fuffs): «I giovani prendono Chivazky come la legittimazione letteraria di ogni disgusto esistenziale». E Chivazky risponde: «Fuffs parla come uno che si aspetta qualcosa dagli scrittori. Arte, cultura, cavolate del genere. Ha un’alta considerazione della scrittura, il che è profondamente sbagliato. Lo scrittore, invece, è solo uno che ha fantasia». Concordiamo...
«Ma gli autori – sottolinea al riguardo Medda – non mancano neanche oggi. Mancano gli editori disposti a investire. E ci sono ancora troppi denigratori del mezzo. Purtroppo il fumetto, come anche la letteratura popolare, non è ancora accettata a livello accademico. Da poco è stato sorprendentemente sdoganato il noir, ma rimango convinto che l’appeal di una serie non cresca proporzionalmente al numero dei morti ammazzati». Una cosa è certa: si stava meglio quando si stava peggio. «Prima i giovani bravi potevano misurarsi in palestre importanti come le riviste popolari e persino nei fumetti erotici per poi provare cose diverse. Adesso o fai subito la cosa giusta o non fai niente. Il mestiere di fumettaro quasi non esiste più, le scuole sono utili ma non indispensabili… La verità – conclude un po' amareggiato – è che prima c’era la capacità di proiettarsi nel futuro. Ecco io vorrei che i giovani tornassero a pensare in grande e, come ho detto in uno dei miei momenti di sconforto, che sognassero di diventare nuovi Bob Dylan piuttosto che replicanti di Flavio Briatore».
1 commento:
Pazzesco.
Avevo credo 17 anni quando cominciai a disegnare, su tavole giganti F4, il principio di una saga apocalittica intitolata "L'esodo". Era una storia corale, nella quale parecchie esistenze s'incrociavano in seguito a un colossale esito determinato da un disastro ecologico.
Era, credo, il 1981/82. Non è più rimasto niente di quelle tavole, e neppure dell'abbozzo di sceneggiatura che avevo scritto.
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