Dalla prima pagina de Il Tempo di sabato 20 giugno 2009
“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”, ammonisce il libro dell’Ecclesiaste ed io, sindaco terremotato e dei terremotati, dico che questo non è il tempo della protesta e dello scontro.
Vivo la vita della tendopoli di Villa Sant’Angelo dal primo giorno, ho passato l’intera notte del 6 aprile a fianco dei miei cittadini e ne ho apprezzato il coraggio e la fierezza, dormo con loro nel campo, soffro del loro freddo e del loro caldo, provo stanchezza e dolore come loro.
Ma nei loro occhi, come nei miei, non c’è delusione né rabbia, se non per la bestia impazzita salita dalle viscere della terra a travolgere le nostre case e le nostre esistenze. Perché questo è il tempo della fiducia e della determinazione, termini che non fanno rima con ingenuità ma con responsabilità. La responsabilità cui è chiamata una classe politica che ha il dovere politico e morale di abbandonare il doppio binario della lotta e del governo, che ha l’obbligo di tenere legati – in un unico, compatto, fronte istituzionale – il capo dello Stato con l’ultimo dei consiglieri comunali, passando per il presidente del consiglio, per i ministri e i parlamentari.
Gridare sotto le finestre del governo oggi, autorizza, domani, i nostri concittadini ad urlare fuori le porte dei nostri municipi. Affermare che siamo stati abbandonati significa invitare gli abitanti del nostro territorio ad abbandonare, a loro volta, quel poco che gli è rimasto per andare a rifarsi una vita altrove. Più utile e necessario è, invece, camminare su un percorso dove siano ben tracciate le priorità: tirare fuori la gente dalle tende, restituire operatività alle attività produttive, garantire il diritto allo studio per tutti, preservare il patrimonio culturale. Poi affrontare l’inevitabile scoglio delle seconde case.
Quindi offrire opportunità e strumenti tali da scongiurare un altro esodo simile a quello che si è verificato all’indomani del secondo conflitto mondiale, con una particolare attenzione alla generazione a cavallo della maturità: quella che maggiormente rischia di disaffezionarsi a questi luoghi. Il tutto, naturalmente, con il massimo spirito vigile, perché anche una buona legge può essere migliorata. Le urla sguaiate, gli slogan preconfezionati, gli agitatori di professione (quelli che, per parafrasare De André hanno manifestato “per i longobardi e per i centralismi, per l’Amazzonia e per la pecunia”), invece, lasciamoli a casa o in tenda, perché poco servono all’economia generale del confronto in atto.
Il dibattito, ora più che mai, ha bisogno di luoghi adatti ed interlocutori autorevoli. Perciò io, sindaco terremotato e dei terremotati, nonostante il caldo e il freddo, la stanchezza e il dolore, tra il palazzo e la piazza – solo per stavolta – scelgo il primo.
Pierluigi Biondi (L’Aquila, 1974), giornalista, collaboratore dell'ufficio stampa del Consiglio Regionale d'Abruzzo, scrive per le pagine culturali del quotidiano Secolo d’Italia e la rivista Senzatitolo, trimestrale di teatro e cultura. Ha collaborato, in qualità di editor, al libro Tre punti e una linea. La storia attraverso la radio (ed. Teatroimmagine, 2007). Dal 2004 è sindaco di Villa Sant’Angelo (Aq).
Pierluigi Biondi (L’Aquila, 1974), giornalista, collaboratore dell'ufficio stampa del Consiglio Regionale d'Abruzzo, scrive per le pagine culturali del quotidiano Secolo d’Italia e la rivista Senzatitolo, trimestrale di teatro e cultura. Ha collaborato, in qualità di editor, al libro Tre punti e una linea. La storia attraverso la radio (ed. Teatroimmagine, 2007). Dal 2004 è sindaco di Villa Sant’Angelo (Aq).
Nessun commento:
Posta un commento