giovedì 12 novembre 2009

I fascisti immaginari di Enrico Brizzi colpiscono ancora (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di giovedì 12 novembre 2009
«Come l'Italia vinse la guerra, la mia famiglia perse la pace e io tornai a casa da solo». Già, perché nella fantastoria che vede protagonista Lorenzo Pellegrini, l'Italia la seconda guerra mondiale la vinse. Ma non solo, anche un altro titolo "mondiale" avrebbe visto prevalere il tricolore, secondo la ricostruzione immaginaria di Enrico Brizzi: il mondiale di calcio 1942, terzo titolo per la nazionale italiana, raccontata da Niccolò Carosio e rappresentata in campo da campioni come Mazzola, Grezar, Biavati, Loik. Quando la finzione narrativa si intreccia con elementi realistici - i personaggi narrati ne La Nostra guerra sono quasi tutti realmente esistiti - in fondo qualcosa sembra scuotere il lettore. E la domanda che riannoda l'epilogo della lettura del nuovo romanzo di Brizzi, rimanda idealmente a quelle che ci si poneva dopo avere affrontato il precedente L'inattesa piega degli eventi: e se tutto questo fosse realmente accaduto?
Non a caso questo La Nostra guerra (Baldini Castoldi Dalai editore, pp. 650, € 20,00) è il prequel - o l'antefatto - del precedente L'inattesa piega degli eventi, nel quale avevamo avuto modo di fare le conoscenze con Lorenzo Pellegrini, giornalista sportivo bolognese, "mandato" a lavorare in Africa, a seguire le non certo entusiasmanti partite di calcio della "serie Africa", in un contesto storico ambientato nei primi anni Sessanta, con l'Italia che era uscita vincitrice dalla guerra, con Mussolini che si apprestava a morire, di morte naturale e sul suo letto, proprio in quei giorni, e col nostro Pellegrini che scopriva fatti e misfatti dell'Africa colonizzata. Scopriamo adesso il Pellegrini ragazzino, che vive con la sua famiglia i tumulti del '42 quando un'Italia che si era fino a quel punto mantenuta neutrale, si schiererà a fianco del fronte anglo-americano, a fianco del quale si schiererà contro lo spregiudicato Reich hitleriano. Poichè era giunta l'ora, dato che di certi argomenti ne trattava orgogliosamente anche dalla copertina della Domenica del Corriere «ché tutti i ragazzi d'Italia rendessero onore al coraggio degli eroi Teseo Tesei e Junio Valerio Borghese, il "Corsaro del Duce": sarebbero stati uomini tutti d'un pezzo, superitaliani come loro, a condurci alla vittoria nel giro di pochi mesi. Per il momento, potevamo ancora crederci». Queste le premesse che porteranno agli sconvolgimenti della vita del giovane Lorenzo che, dodicenne, passa quindi da un'agiata e tranquilla vita borghese - fatta di studi ginnasiali, adunate balilla e vacanze a Riccione - alla dura esperienza della vita da sfollato.
«Nel Borgo - viene spiegato - che accoglie la sua famiglia, autentico spicchio dell'Italia più verace e conformista, Lorenzo si lascia l'infanzia alle spalle: è testimone della distanza che si crea fa i suoi genitori allorché la madre comincia a lavorare, partecipa come avanguardista alla vita della nazione in guerra,e combatte in prima persona per le battaglie fra ragazzini sullo sfondo di quelle, affascinanti e terribili, degli adulti. Passare indenne attraverso i bombardamenti e le esperienze iniziatiche della prima adolescenza sarà la sua più grande vittoria».
La creazione di un universo immaginifico e realmente esistito al tempo stesso che conferma, ancora una volta, la grande abilità e l'eclettismo di Enrico Brizzi, che se per il grande pubblico dei lettori rimane legato al romanzo d'esordio, che è anche il suo maggior successo, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, per un'altra cerchia di appassionati ha saputo andare oltre. Postmoderno per vocazione, Brizzi fa parte di quella generazione cresciuta negli anni Ottanta con i romanzi di Pier Vittorio Tondelli e i fumetti di Andrea Pazienza. Colonna sonora? Vasco Rossi, e non solo. Quel post-punk, e la new wave, che impera nelle vite dei quattro drughi ribelli protagonisti del suo Bastogne, secondo lavoro dello scrittore bolognese, intriso di atmosfere assimilabili anche a quelle dell'underground di destra di quel periodo, tra letture di Frigidaire, frequentazioni ultras e una passione accecante per Louis-Ferdinand Céline. Compiendo scelte coraggiose senza adagiarsi dei successi iniziali, che avrebbero potuto lasciare presagire a una carriera melensa quanto munifica. Brizzi ha poi giocato nel corso degli anni con la sua straordinaria creatività regalando alla narrativa italiana contemporanea spunti di riflessione degni di nota: «La nostra guerra ha il registro agrodolce dei classici della cinematografia nostrana, da Tutti a casa a Il Federale, coniugato a una verve narrativa in grado di produrre il primo kolossal sulla (fanta) storia d'Italia … Un'Italia immaginaria, beninteso, ma fra una risata e un sospiro capita spesso di domandarsi se questa stralunata nazione in camicia nera non rispecchi tratti, fascinazioni e difetti inemendabili del nostro paese».
E se la maggiore curiosità per un lettore sta nel volere capire cosa ci sia dietro all'interesse di Brizzi - non certo scrittore collocabile a destra - per il periodo fascista e la seconda guerra mondiale, ecco la spiegazione del diretto interessato: «Ho scritto questi libri - ha spiegato lui stesso al quotidiano Libero - spinto da una fascinazione per la storia del nostro paese, in particolare per quella del Novecento Sono cresciuto avvertendo la seconda guerra mondiale e in particolare gli anni del fascismo come una materia ribollente. Della quale però la fiction e la narrativa non si sono occupate. Come lettore appassionato, mi ha sempre colpito l'assenza, o almeno io l'ho percepita così, di romanzi che prendessero in esame gli anni del Ventennio, con i rivolgimenti che l'hanno preceduto e accompagnato». Una vera sete di conoscenza non soddisfatta dai tantissimi libri (anche recenti) che trattano di questo argomento: «La percezione che ho avuto io è che ci sia una vastissima produzione di romanzi sulla Resistenza arcinoti, i quali fanno parte di tutte le collezioni consigliate per esempio agli studenti. Dall'altro lato, invece, esiste una produzione semiclandestina affidata ai reduci di Salò. Se si ascoltano le storie raccontate in famiglia, tuttavia, ci si accorge che le persone non stavano proprio tutte dalla stessa parte. Chi ha vinto ha avuto la libertà di raccontare, gli altri lo hanno fatto sottovoce, in casa, non potendo farlo nemmeno in cortile».
Non è un caso che lo stesso Brizzi poi aggiunga: «Se si guardano i numeri, si scopre che le storie sono migliaia. Non mi riferisco solo a quelle di chi si è schierato da una parte o dall'altra col mitra in mano. Parlo di un paese intero che ha sostenuto per vent'anni - anche se non voglio dire all'unanimità - un regime. L'aspetto più affascinante è come l'Italia sia passata in blocco o quasi dal sostegno al fascismo al linciaggio degli ex fascisti. Chi come me non c'era non credo abbia il diritto di giudicare. Però dal punto di vista di un narratore l'argomento è troppo interessante per non metterci le mani. Nel libro mi chiedo che cosa sarebbe successo se l'Italia si fosse schierata dalla parte degli Alleati e non avesse partecipato alla guerra a fianco della Germania». Dato che spesso le interpretazioni - specie se provenienti da fonti accademiche - «fanno la storia», vale la pena riflettere sui «Se …» di Brizzi: «Ipotizzo che sarebbe rimasta in sella la dittatura, la quale fino ad allora aveva riscosso consensi. Sono sempre stato molto lontano dalla mitizzazione del fascismo e forse questo mi può aiutare a produrre fantanarrativa senza malizia. Il mio mondo parallelo ha a che fare con Fatherland di Robert Harris o con Philip K. Dick. In molti libri che ho visto in rete, si immagina che il fascismo abbia vinto la guerra assieme al nazismo. A me interessa uno scenario in cui la situazione del mondo è uguale a quella attuale, tranne che per l'Italia. Mi ha sempre stupito che il franchismo fosse sopravvissuto così a lungo, da lì la riflessione sul nostro paese. C'è stato, nella storia reale dell'Italia, un periodo di circa dieci mesi prima della decisione di seguire i tedeschi. E se non fossimo scesi in campo? Credo che, come minimo, il fascismo sarebbe durato ancora molto...».
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Giornalista attento alle culture e alle dinamiche giovanili, lavora per E-Polis e collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

1 commento:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie