lunedì 15 febbraio 2010

Piccola opera rock per indicare la strada di eterni pellegrini (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 14 febbraio 2010
Prima è uscito il libro, nel 2007. Poi, l’anno scorso, si è aggiunta una “graphic novel”. E oggi, infine, ecco quest’album che non è in vendita ma che viene offerto, in regalo, a chiunque lo desideri. Basta collegarsi al sito di Enrico Brizzi (“il maestoso sito ufficiale”) e scaricarlo gratuitamente. Poi, semmai, ci si chiederà se non sia giusto rispondere al regalo con un altro regalo: come offrire da bere a un musicista che ha suonato solo per passione, ma che avrebbe meritato i soldi del biglietto.
Il passo successivo è liberare un’ora di tempo e recintare a dovere la propria quiete. Mettersi una cuffia, alzare bene il volume, e ascoltare da cima a fondo senza la benché minima interruzione. Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro, infatti, non è una raccolta di canzoni da srotolare a caso. È un racconto che si snoda in dieci scene successive, introdotte da un prologo. Una piccola, ma compiuta, e convincente, “opera rock” che va seguita dall’inizio alla fine. Sorprendendosi a sorridere. Sorprendendosi a commuoversi. Comprendendo a poco a poco che almeno in questo caso è meglio non avere troppa fretta di dare giudizi tenendosi strette le proprie convinzioni, o le proprie abitudini. Non ci sono i buoni e i cattivi. Non c’è neppure una storia con una posta in gioco ben chiara, che spinga a prendere le parti dell’uno o dell’altro. Ci sono solo questi quattro giovanotti italiani che camminano lungo la Via Francigena – ma come in un qualsiasi trekking, senza riconoscerle alcunché di sacro – e un viandante tedesco di una cinquantina d’anni che, al contrario, è un pellegrino vero e proprio, impregnato di una cristianità fervente e di antico stampo.
I quattro, chi più e chi meno, hanno la tipica sindrome del nostro tempo: individualismo a scartamento ridotto. Nessuna meta con la M maiuscola. Molti, moltissimi, piccoli obiettivi da raggiungere. “Benefit” da strappare alla direzione aziendale del Creato. O del Sistema. La realtà come una specie di ipermercato in cui si entra e si esce a piacimento, per soddisfare i propri desideri e confermare le proprie aspettative, allontanandosi infastiditi da quello che non corrisponde alle attese. Tutt’al più, qualche squarcio di momentanea curiosità per un prodotto insolito, con cui giocherellare un po’ in attesa di tornare alle solite preferenze e ai soliti svaghi.
Sono lì come in una gita, inconsueta nella forma ma non nella sostanza. Sono un gruppo chiuso e autosufficiente, che potrebbe aprirsi solo per ingrossare le proprie fila con altre persone affini. Gente che vuole stare bene, come loro. Che non vuole problemi, come loro.
L’altro è agli antipodi. Avanza risoluto sulle tracce di una tradizione antica, come se fosse l’ultimo di una schiera immensa che è partita molto prima di lui e che, perciò, non ha potuto esimersi dal lasciarlo indietro. Marcia come un soldato solitario che è rimasto isolato, ma che continua ad attenersi alle consegne. È lì perché non potrebbe essere in nessun altro posto. Poiché si chiama Bernhard, il suo patrono personale è San Bernardo. Egli, pertanto, valicherà le Alpi attraverso il passo omonimo. In segno di devozione. Un peccatore che chiede aiuto. Che fa quello che può per meritarselo.
I quattro se lo trovano davanti all’improvviso. Stanno cercando di entrare in un’abbazia che, a sentire gli abitanti del paese vicino, è sempre aperta. Sempre pronta ad accogliere chiunque. Loro sono davanti al portone e non ne vengono a capo. Il battente è chiuso e c’è solo un pomello di legno. Provano a spingerlo. Provano a tirarlo. Non succede niente. Un cazzo di niente. E poi compare Bernhard. Materializzato dal nulla sull’altro lato della strada. Testa calva e barbetta bianca. E quelle sue braccia completamente tatuate. Una visione strana, non del tutto rassicurante. Ma poi si avvicina. Ed è così cordiale. E, soprattutto, si dimostra così utile. Così provvidenziale. Allunga la mano sul pomello e fa la sua piccola magia. Non lo tira e non lo spinge. Lo gira dolcemente, senza sforzo, e sblocca la serratura. Ecco fatto, amici! Parla italiano con un accento tedesco forte e suggestivo. E usa quella parola, amici, come se lo fossero davvero. Come se il solo fatto di ritrovarsi su quella strada, la Santa Via Francigena che insieme al Cammino di Santiago di Compostela fu il percorso fondamentale di innumerevoli pellegrini, li affratellasse al di là di ogni possibile dubbio. E allora, visto che vanno tutti nella stessa direzione, non c’è nemmeno bisogno di parlarne: proseguiranno insieme. Per lui è la cosa più naturale del mondo. Per loro no. Un mistico di mezz’età? E “crucco”, per di più? Alla larga. Se si tratta di fare quattro chiacchiere stasera, mentre si cena, non c’è nessun problema. Davvero nessuno. Ma tutto il resto del viaggio...
Facile da dire. Molto meno da fare. La strada è quella. La velocità, a piedi, è all’incirca la stessa. Distanziano Bernhard e credono di essersene liberati. Credono. Dopo un po’ è di nuovo lì. Imbevuto delle sue certezze, ubriacato dalle sue visioni. Pieno di una tensione che lo consuma. E che di colpo può degenerare in rabbia e renderlo violento, se si sente attaccato. Un cameriere lo prende in giro – o a lui sembra che lo abbia fatto – e viene scaraventato a terra. Il proprietario del bar si scaglia in avanti per farsi giustizia da sé e si prende un portacenere in testa. Altro che mistico benevolente e con la testa tra le nuvole. Questa è solo l’apparenza. O l’ultima versione. Chi sei realmente, Bernhard Hartmann? Chi sei stato, prima? Prima di consacrarti alla religione e di arrivare fin quassù?
È questo lato oscuro, che dà potenza al racconto. E quindi all’album. Brizzi, e i musicisti della band genovese “Numero6” che lo affiancano, mostrano di padroneggiarlo con sicurezza, svelandolo progressivamente ed evitando di eccedere con la suspense. Non è un thriller. E Bernhard non sta mentendo, per nascondere chissà cosa. Bernhard è davvero in cerca di una verità alla quale abbandonarsi, riconciliandosi con se stesso e col mondo. Bernhard è impaziente di arrivare. E allo stesso tempo ha paura. Così vorrebbe che qualcuno lo accompagnasse il più a lungo possibile. Perché teme che il suo viaggio finisca e che lui, anche stavolta, non sia riuscito a trovare ciò che cerca.

Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000 su Ideazione.com. Attualmente, tra l’altro, cura la rubrica “Ad alto volume” sull’edizione domenicale del "Secolo d’Italia" e collabora al mensile “La voce del ribelle”, la rivista diretta da Massimo Fini.

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