Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di venerdì 25 giugno 2010
Rivolgendosi all’establishment politico-culturale dei primi anni Settanta, Pier Paolo Pasolini annotava in uno dei suoi più noti Scritti corsari: «Ci siamo comportati con i fascisti (soprattutto quelli giovani) razzisticamente…». L’invito, più che esplicito, era quello di evitare di giudicare «frettolosamente e spietatamente» quei giovani e le realtà che esprimevano, come se essi fossero predestinati «razzisticamente» a dover necessariamente rientrare nei cliché demonizzanti...
«Di fronte a questa decisione – concludeva il poeta e regista – abbiamo voluto credere che del loro destino non ci fosse niente da fare… e nessuno di noi ha mai parlato con loro».
La sollecitazione pasoliniana, in un contesto estremamente diverso e mutato rispetto a quegli anni Settanta, è stata adesso fatta propria da Nicola Antolini, uno studioso modenese con un passato di militanza nel Pci che ha compiuto un viaggio lungo circa un anno incontrando movimenti, esperienze, personalità, organizzazioni e fenomeni giovanili che tendono a esprimere «realtà politiche vitali, le cui proposte si affermano attraverso le forme espressive più disparate, dalla letteratura all’arte, dal saggio di storia alla manifestazione, dall’azione politica di base all’azione parlamentare, utilizzando tutti i canali di diffusione oggi disponibili. Idee che si muovono: dalle minoranze alle quali sono sempre state legate all’orizzonte più ampio del consenso di massa».
Ne è uscito fuori un corposo libro-inchiesta che può senz’altro costituire una base di partenza utile per comprendere quanto sta accadendo in questi anni in una delle aree meno studiate e adeguatamente rappresentate sui media della società italiana di questo inizio di terzo millennio: Fuori dal cerchio (edizioni Elliot, pp. 382, € 18,50). Antolini spiega che i fenomeni da lui approcciati rappresentano una fenomenologia rilevante ai fini dell’interpretazione «di un passaggio d’epoca forse cruciale, che interessa in modo diretto da dialettica destra-cultura-consenso, e che può comportare un possibile profondo cambiamento per l’intera società: la creazione di un orizzonte post-ideologico nel quale le parole d’ordine si sovvertono e l’egemonia culturale diventa territorio di conquista». In campo aperto e in un contesto di inedito “stato nascente”.
L’autore dell’inchiesta incontra e intervista i ragazzi romani del Blocco Studentesco, quelli di Turbodinamismo, quindi Gianluca Iannone, Francesca Giovannini, Miro Renzaglia, Marcello de Angelis, Gabriele Adinolfi, Marco Cimmino, Francesco Cappuccio, Maurizio Murelli, Gabriele Marconi, Guido Giraudo e Flavio Nardi… Riporta poi le opinioni di alcuni che “da sinistra” hanno avuto modo di incontrare il mondo raccontato nel libro: Luca Telese, Ugo M. Tassinari e Valerio Morucci. «Questo insieme – scrive Antolini – di voci distinte, che raccontano storie “fuori dal cerchio”, è quello che abbiamo cercato di ricostruire durante il nostro viaggio. Sono voci appartenenti a persone e soggetti diversi, che spesso, non condividono gli stessi sentieri di militanza, ma che, portando avanti il loro specifico impegno, contribuiscono a spostare in avanti i confini del dibattito culturale del paese…».
Sta in questo approccio il principale merito del lavoro che, magari inconsapevolmente, fa propria la sollecitazione pasoliniana dalla quale siamo partiti per verificare, al di là e oltre tutti i cliché, gli steccati e gli stereotipi, il “nuovo che avanza” di cui questi fenomeni sono portatori. «Lo abbiamo fatto – spiega ancora Antolini – con sguardo aperto e senza pregiudizi, percorrendo anche sentieri non previsti, accettando gli incontri nati durante il nostro percorso, e mettendo tutto nero su bianco: le storie, i temi, il presente, il passato, la politica e la cultura».
Quello che non convince e può condurre fuori strada è il riferimento, presente già nel sottotiolo, alla categoria di “destra radicale” per inquadrare e incasellare la pluralità di questi fenomeni. L’espressione, coniata a suo tempo dal politologo Talcott Parsons, venne introdotta in Italia nel 1975 da Giorgio Galli - nel suo celebre saggio La crisi italiana e la destra internazionale – per individuare e illustrare una specifica tipologia dell’estrema destra, caratterizzata «da un’attenzione per la mitologia, dalla valorizzazione della religione, da una limitata considerazione della filosofia moderna, dall’emarginazione del diritto garantista, dalla critica delle scienze della natura e della psicologia, da una concezione dell’economia e della tecnologia strumentale rispetto all’affermazione dell’autorità e della gerarchia sociale…». Rientrava in questa tipologia un’idea dell’impegno e della militanza intesi come testimonianza etica ed estetica ancor prima che politica. Il testimoniare una certa tenuta, l’impegno inteso sotto la metafora della “lotta”, un certo pessimismo tragico, la militanza intesa come scelta del cosiddetto “soldato politico”.
«Essa è tipica – scriveva anche Monica Zucchinali a metà degli anni Ottanta – di quei nuclei che si trovano a operare in condizioni di grave pericolo oppure di ristretta minoranza (o entrambe le cose). La si ritrova come paradigma più classico in alcune figure storiche che hanno combattuto battaglie tanto coraggiose quanto perdenti. Ce n’è d’avanzo per affascinare un mondo che spesso è consapevole di svolgere un ruolo di testimonianza». Ma se sono questi i contorni del radicalismo di destra, leggendo le interviste condotte da Antolini dovremmo concludere che le persone e i soggetti da lui interpellati rappresentano a larga maggioranza quantomeno una rottura con questi schemi.
Per non dire di esperienze come quelle di CasaPound e del Blocco Studentesco che, pur nella caoticità creativa tipica dei movimentismi e in un certo spontaneismo in fieri, esprimono oggettivamente discontinuità e strappi epistemologici. «Quello che ci piace delle culture che incontriamo – dice Gianluca Iannone, leader di CasaPound – lo prendiamo, come facevano i romani, il resto lo lasciamo. Noi crediamo che ci siano persone di indubbio valore anche a sinistra, o non schierate a destra, è non abbiamo mai avuto problemi a riconoscerlo… L’anticomunismo non ha più ragione di esistere, come non ha più ragione di esistere l’antifascismo. La sinistra, un tempo, aveva come motti “vietato vietare”, “immaginazione al potere”, “una risata vi seppellirà”. Erano slogan pieni di vita, di provocazione intellettuale, di forza…». Tanto che Iannone indica come icone, tra le altre, Rino Gaetano e Marguerite Yourcenar. E aggiunge: «Siamo assolutamente laici, siamo per uno Stato sovrano che non deve intervenire in tutti gli aspetti della vita dell’individuo. Tra di noi c’è molta libertà. Potremmo chiamarla libertà di culto…».
Ancora più esplicita l’irriducibilità di questo universo antropologico e culturale al radicalismo di destra di fronte a Miro Renzaglia, poeta e blogger, scrittore e animatore de Il Fondo, rivista online nata proprio un obiettivo specifico: «Era arrivato il momento di ripartire, lasciando alle spalle il defunto. Toccato il fondo, anche come metafora acquatica, si può tentare di risalire…». Renzaglia, che non proviene dal radicalismo di destra ma che, dopo una stagione di impegno giovanile nel Msi, s’è occupato di metapolitica e creatività e ha anche attraversato l’esperienza di CasaPound, ha trasferito sul suo magazine uno spazio di ragionamento, confronto, nuove sintesi. «È la distinzione tra destra e sinistra – dice – che segna il passo. Oggi ci sono distinzioni più significative e che indicano in modo più chiaro la situazione in cui ci troviamo, come quella tra pensiero autoritario e pensiero libertario. Libertà o deriva autoritaria? È una domanda più attuale rispetto alle vecchie dicotomie. La richiesta di estensione di diritti è libertaria, la repressione è reazionaria. E io sto con i libertari, sempre».
Lo spiega bene il giornalista di sinistra Ugo Maria Tassinari: «Dobbiamo continuare – si chiede – con le stronzatine dell’etichetta del fascistello? Ma se non si guarda alla realtà vera, non si comprende la capacità di penetrazione nelle cittadelle della cultura e del senso comune che ha la destra di oggi».
Luciano Lanna
L'articolo lo puoi commentare anche sul forum de il Fondo, magazine di Miro Renzaglia.
1 commento:
Si sa,le etichette, in politica, sono molto riduttive: più che altro ci qualificano e ci collocano rispetto a quello che non ci piace e che non condividiamo. A me il termine "destra radicale" non sembra così scaduto e datato. La questione merita però ampia riflessione e una analisi più approfondita (forse sono un "sentimentale" politico, che la vivevo e cerco ancora di viverla come stile di vita). Stiamo attenti però al nuovo che avanza: quello descritto in questo articolo è bello e appassionante, un altro tipo di nuovo che va per la maggiore in certa politica nostrana sta uccidendo o facendo ammalare gravemente la Politica.
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