Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia del 16 ottobre 2010
Durante una delle tante trasmissioni in cui, spesso affermando inesattezze e anche esprimendo concetti inadatti, si è toccato l'argomento degli incidenti di martedì sera alla stadio di Genova, tra i tanti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, ha affermato: «Meno male che non c'è scappato il morto». Alcuni titoli di giornale, dopo la non giocata Italia-Serbia, hanno fatto riferimento al pericolo di un «nuovo Heysel», rischio fortunatamente sventato. Sembra incredibile dovere discutere nuovamente di condizioni tanto rischiose per un avvenimento collegato, pur indirettamente, a una partita di calcio.
In questa sede non si stabiliranno responsabilità, né tanto meno si cercheranno di capire le ragioni, più o meno plausibili, dei serbi, della rabbia contro la loro squadra e del loro odio nei confronti di tutti, anche di noi italiani. Quello che è possibile fare, però, è riflettere: sulla violenza, endemica nella società e quindi anche nel calcio, su tragedie sfiorate e su quelle realmente accadute. La pagina nera del mondo del pallone ha adesso una sua storia: un lavoro di ricostruzione fin qui inedito, una base dalla quale partire, di qui in avanti, per qualunque disamina in merito alla questione.
Gli scontri, gli incidenti, le domeniche maledette, i morti negli stadi. Sono questi gli inquietanti oggetti e soggetti di studio presi in analisi da Maurizio Martucci nel suo Cuori tifosi. Quando il calcio uccide: i morti dimenticati degli stadi italiani (Sperling & Kupfer, pp. 447, € 18,00). Martucci, romano classe '73, è uno dei maggiori esperti del fenomeno tifo, già voce autorevole su questioni inerenti la tessera del tifoso, ha analizzato il mondo ultras e alcuni casi specifici in Nobiltà ultras, dedicato alla storia della tifoseria della Lazio, 11 novembre 2007: l'uccisione di Gabriele Sandri, una giornata buia della Repubblica, Cuore tifoso, sulla tragedia di Vincenzo Paparelli. Stavolta l'autore di Cuori tifosi elenca le storie di quei «ragazzi di stadio» morti accidentalmente o per mano assassina e poi, forse troppo facilmente, caduti nel dimenticatoio per l'opinione pubblica. «Si chiamano Augusto, Giuseppe, Vincenzo, Gabbo, Antonio, Spagna, Celestino, Cioffi, Stefano, Mau… - si legge - I loro nomi non sono famosi, ma per le curve a cui appartenevano sono scolpiti nella pietra, impossibili da dimenticare. Sono martiri, sono fratelli. Per la prima volta un libro racconta le storie di decine di uomini, donne e ragazzi morti di tifo. Uccisi nell'insensata guerra tra ultras, ammazzati da stadi colpevolmente fatiscenti (ricordate l'Heysel?), morti per tragica fatalità o per eccesso di repressione da parte delle forze dell'ordine». Parole che sorprendono anche per la loro inquietante attualità.
Quanti, tra i lettori, nella serata di martedì hanno pensato e temuto il peggio? Bisogna dire che, se ci si ferma a riflettere, è particolare che i «cuori tifosi» siano in qualche misura accostabili ai «cuori neri» o ai «cuori rossi». Escludendo le scelte editoriali che accomunano i tre casi nei titoli di tre libri, è come se un tifoso di una squadra di calcio, schierandosi per i colori del cuore, sia considerato parte di una battaglia in campo aperto, rappresentante di una fazione, e quindi esposto al peggio, anche alla morte. Non che questo sia un ragionamento plausibile per quanti hanno intrapreso nel corso degli anni Settanta una militanza politica interrotta dalla tragedia e dal lutto. Ma risulta inconcepibile contestualizzare il tutto al calcio, a uno sport fino a prova contraria. Eppure i morti, nell'ambito di quello che è stato lo sport nazionalpopolare per eccellenza ci sono stati, eppure tanti. Troppi. Non a caso Cuori tifosi è «un viaggio che inizia quasi cento anni fa, a Viareggio, quando Augusto Morganti fu ucciso da un carabiniere, e si conclude - o, per meglio dire, si interrompe - nel 2009 con il fatale incidente di Eugenio Bortolon, precipitato da una balaustra dello stadio di Parma. Cuori tifosi è il canto di dolore di tutti gli stadi italiani, in un Paese che vive di calcio e troppo spesso, purtroppo, di calcio muore». Come si è morti di politica, di passione, di ideali. Per caso oppure no. Del resto la quarta di copertina del libro di Martucci ci ricorda: «La morte è uguale per tutti! Così recitavano gli striscioni esposti dai ragazzi delle curve italiane nel 1993, dopo l'ennesimo morto nel calcio. Voleva dire che la vita umana è inviolabile. Che la vita di un tifoso, di un ultras, non vale meno di quella di qualunque altra persona. Voleva dire che i tifosi non sono degli esuli in patria, ma cittadini come gli altri. Né più, né meno».
Stando alle tante recensioni positive e all'entusiasmo con cui è stato accolto da addetti ai lavori e tifosi, di un lavoro del genere se ne sentiva proprio bisogno. Curiosamente di calcio si inizia a morire agli inizi del secolo scorso quando Augusto Morganti, ex bersagliere della prima guerra mondiale in congedo venne ucciso per mano di un carabiniere al termine di Viareggio-Luccese del 1920. Dalla «rivoluzione di Viareggio» fino a Paparelli e a "Gabbo", due che casualmente erano accomunati dalla passione per la Lazio che inconsapevolmente li ha portati alla morte, Martucci opera un ragionamento trasversale, che vale per qualunque tifoseria, e passa per il romanista De Falchi, al genoano "Spagna". Tutti ragazzi morti in circostanza diverse ognuna dall'altra, tutti appartenenti a fedi calcistiche diverse una dall'altra eppure tutti così tanto fedeli, così tifosi. Particolare quanto apprezzabile il metodo di indagine seguito dall'autore: «Ho un mio metodo di lavoro - ha dichiarato -. Un po' neorealista, da "vera Italia". Pasolini, Zavattini e De Sica facevano così nel dopo guerra: nei loro lavori c'era la gente del popolo, i veri attori erano elementi della società civile, senza filtri o preconcetti negativi. Oggi ci sono i documentari, c'è la real tv. Adotto esattamente questa tecnica: cerco di coinvolgere tutti nel racconto, anche le parti meno conosciute, dando voce a chi prima d'ora non aveva contesti o canali in cui esprimersi liberamente».
Una seria indagine in un mondo, quello del tifo, che a detta di Martucci: «è un fenomeno sociale ed è limitativo circoscriverlo al semplice rettangolo di gioco.
Ma a Genova è stato pure qualche altra cosa in più. È stato fenomeno politico e para-politico, etnico e internazionale, religioso e pure di ordine pubblico. Leggere Cuori tifosi serve a non dimenticare (e a capire certi errori…)». Speriamo lo facciano anche coloro che, troppo facilmente, hanno pensato di potere risolvere tutto con una tessera.
Giovanni Tarantino
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