martedì 12 ottobre 2010

Paolo Valenti, quel calcio senza bava alla bocca (di Michele De Feudis)

Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di martedì 12 ottobre 2010
In tempi di dittatura dell'audience e di morbosità diffusa rimpiangiamo la lezione di compostezza e stile impartita da un gigante della televisione italiana: aridatece Paolo Valenti. Il 27 settembre 1970 andò in onda la prima punta di “Novantesimo minuto”, appuntamento obbligatorio sul primo canale della Rai per tutti gli appassionati di calcio. Nasceva da un'idea di Maurizio Barendson, Paolo Valenti e Remo Pascucci. Divenne subito un programma cult, agorà televisiva nella quale le specificità dei tanti campanili della penisola venivano armonizzate, diventando un grande romanzo sull'identità plurale di questo paese.  
Il successo di pubblico fu immenso, negli anni settanta registrava anche venti milioni di spettatori, senza strillare, senza dare spazio agli eccessi, senza esacerbare gli animi. Valenti, infatti, era in grado di svelenire, con la forza del sorriso, le polemiche delle sfide infuocate, dei derby più virulenti, delle gare più discusse per arbitraggi da dimenticare.
I toni sobri e allo stesso tempo appassionati di “Novantesimo minuto” sono agli antipodi della “biscardizzazione” delle trasmissioni e dei talk show in voga attualmente sulle nostre televisioni: il radicalismo da processo sportivo ha contagiato ormai tutti i palinsesti, generando un nuovo codice gridato, dai salotti politici a “Chi l'ha visto?” o a “Quarto grado” (con il conduttore, Salvo Sottile, che indugia sull'inviata ad Avetrana, posizionata all'esterno della casa dell'assassino di Sarah nella speranza che la figlia di Michele Misseri rilasci qualche dichiarazione).
Paolo Valenti, giornalista romano di idee politiche moderate, incarnava le manie de “La Domenica della brava gente”, il radiodramma curato da Giandomenico Giagni e Vasco Pratolini. Negli anni cinquanta aveva spesso seguito i viaggi del Papa, si era occupato del terremoto in Friuli, commentato da inviato quattro Olimpiadi e numerosi giri d' Italia. E ci aveva regalato l'indimenticabile radiocronaca dell'incontro di pugilato Benvenuti-Griffith, per il campionato del mondo dei pesi medi, il 17 aprile 1967 dal Madison Square Garden di New York. Tifava per la Fiorentina, ma seppe sempre dissimulare questa simpatia. Solo dopo la scomparsa del popolare conduttore, Nando Martellini fu autorizzato a rivelarne la fede calcistica, ma altri particolari sono raccontati dalla moglie, Bruna Liguori Valenti, nella biografia “Paolo Valenti dal 1° al 90° minuto” (Cesati editore).
“Novantesimo” non era uno spazio di banale ecumenismo, non anestetizzava le contrapposizioni. Di contro ne forniva un narrazione nella quale vincitori e vinti potevano naturalmente riconoscersi. Beniamino Placido esaltava l'equilibrio nel clima rovente della domenica pomeriggio, quando Valenti leggeva i risultati della giornata di campionato: “Ho sempre preferito farmeli raccontare da lui, alle diciotto e passa del pomeriggio, in quel 90° minuto che ha condotto per vent' anni. Da lui; perché lui sapeva dare i risultati, con tranquilla bonomia. Senza drammatizzare, senza banalizzare. Oggi il Napoli ha fatto uno scivolone. Mentre l' Inter ha fatto un bel passo avanti. La Juventus pure. Quanto al Milan, si è dovuto accontentare di un pareggio sul difficile campo di... Eccetera. Poi il momento più bello. Quando quel sapiente e rispettoso burattinaio che Valenti era cominciava a tendere ed a tirare i suoi fili. Avanti Giorgio Bubba da Genova. Avanti Beppe Barletti da Torino. Avanti adesso perché no? Da Ascoli Piceno, Tonino Carino. E mi raccomando: collegamenti brevi. Non c' è molto tempo, oggi: i gol sono tanti. Il calcio è una cosa bella e importante. Per tutti. Ogni società che si rispetti ha bisogno di tensioni antagonistiche (fra uomo e donna, fra padrone e lavoratore, fra Nord e Sud) che la facciano sentire dialetticamente viva. Ma ha bisogno anche di cose, di istituzioni che la uniscano”. Il pallone allora può diventare una metafora per ritrovare l'umanità e riavvicinarsi all'altro dopo una partita da avversari, su fronti opposti. Come? Attraverso quella che Tonino Carino chiamava “una sublimazione dell'effimero”. “Il calcio – spiegava ancora Beniamino Placido - è questo, almeno da noi (altrove sarà il baseball, o il tennis, o l' hockey su ghiaccio). Ci consente di intavolare una conversazione animata ma amichevole con chiunque. Con il portiere dello stabile, con il giornalaio del quartiere, con il panettiere, con il tassista. E quando arriviamo all'ufficio finalmente il lunedì mattina, con l' usciere. Ed a loro di intavolarla con noi, questa conversazione: nella quale ognuno può investire con pari diritto passione, competenza, intelligenza. Vissuto in questo modo il gioco del pallone è un indispensabile strumento di comunicazione. E di coesione. Un sano fenomeno nazional-popolare”. E le categorie individuate dal grande critico televisivo di Rionero in Vulture consentono di distinguere il nazional-popolare dalle sue degenerazioni televisive, con conseguente caduta nel tribale o addirittura nel triviale, come nel caso delle trasmissioni di approfondimento sul caso Scazzi.
In questa rincorsa forsennata verso l'audience – da perseguire a tutti i costi, anche spargendo sale sulle ferite più profonde - c'è il virus di una errata percezione della competizione, la certificazione degli eccessi del business. “Novantesimo minuto” per Edmondo Berselli rappresentava “gli anni gloriosi in cui il calcio e la televisione erano un bene pubblico, sottratto al mercato, rigidamente regolato, sottoposto a protezioni, limiti e freni”.
Adesso che il calcio è prigioniero degli “highlights”, dei rigidi spartiti delle tv a pagamento e “Novantesimo minuto” risulta ormai marginalizzato dallo spirito del tempo, viene davvero voglia di riassaporare la leggerezza di Paolo Valenti, formula insolita e controcorrente rispetto all'andazzo da “Suburra” che domina sugli schemi italiani.
Michele De Feudis

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