mercoledì 15 dicembre 2010

Anche Mishima a volte ritorna nel futuro... (di Errico Passaro)

Articolo di Errico Passaro
Dal Secolo d'Italia del 15 dicembre 2010
Yukio Mishima è un intramontabile della cultura mondiale, oggetto di ripubblicazioni a getto continuo, convegni di studio, rappresentazioni teatrali e altre forme di tributo. Un omaggio inconsueto ed inaspettato alla figura dello scrittore giapponese viene dal romanzo vincitore dell'ultimo Premio Urania, Lazarus di Alberto Cola (Mondadori, pp. 317, € 4,20).  
Cola ci porta in una Tokyo futuristica, dove gli scienziati del progetto Lazarus hanno "resuscitato" Mishima per farlo diventare vessillo di una parte politica, quella dei "nostalgici", nelle elezioni politiche alle porte; il simulacro dello scrittore, dotato del suo stesso corpo e dei suoi stessi ricordi, ma destinato ad una vita effimera come i replicanti di Blade Runner, si ritrova comparsa di una sofisticata messinscena, che arriva alla ricostruzione fedele del quartiere dove aveva vissuto la sua prima vita.
Mishima, tuttavia, sfugge al suo destino con l'aiuto della setta segreta dei Mistici, in un viaggio verso la "bella morte" intriso di atmosfere crepuscolari, fino ad un epilogo carico di una sovrumana serenità. Uno dei punti di forza del romanzo è la verosimiglianza dei personaggi. Su tutti svetta Gabriel, il Virgilio di Mishima nella sua nuova vita, dominato dal potere della Pulsazione, che gli consente di agire sulla mente degli altri, ma che lo lascia alla merce del Mostro dentro di lui, governabile solo a forza di dosi di droga: lo seguiamo per flashback nella sua formazione marziale e nella sua iniziazione al potere parapsicologico, fino alla sua trasformazione in «un ronin moderno, un samurai senza padrone… un uomo sull'onda… uno strumento senza fine». Intorno a Gabriel, ruotano antagonisti e comprimari: dalla parte dei "cattivi", Hitasura, padrone dello "zaibatzu" che gestisce il progetto Lazarus e che ingaggia Gabriel per recuperare il Mishima in fuga, e Yasuwara, il corrotto capitano della Polizia del Pensiero in combutta con Hitasura; dalla parte dei "buoni", solo per citare i principali, la tenutaria Madame Ho, l'allibratore Kano, Mama-San e Tori, le mentori di Gabriel nella Setta dei Mistici e, soprattutto, Miko, la compagna di casa non vedente di Gabriel, apparentemente indifesa, ma in realtà detentrice di un segreto che emergerà solo nel finale del romanzo. A parte, il "rigenerato" Mishima, «figlio dell'unione illecita tra illusione e tecnologia», spaesato, malinconico, esangue, diverso da quello spudorato e tonitruante consegnato alle cronache letterarie e politiche della storia reale, più vicino all'intimismo delle Confessioni di una maschera che alla belluinità di altre sue opere, un soggetto «attirato dal lato estetico di una sensibilità superiore», «perfetta fusione fra lotta e sacrificio, impeto e amore».
Una virtù del romanzo è, poi, la sua qualità stilistica. In Cola colpisce, soprattutto, il tratto preciso nella descrizione dei gesti, inusuale nella letteratura di genere; i suoi toni smussati; la tendenza all'introspezione, allo scavo psicologico, alla costruzione di una biografia credibile dei suoi attori. Un ulteriore pregio della narrazione di Cola è la ricostruzione del contesto futuro. La prima parte si svolge nella metropoli nipponica, sottoposta al controllo asfissiante dei rilevatori di onde cerebrali: davanti allo sguardo del lettore, si accavallano immagini di «una città sempre più puttana in cui è difficile conservare la memoria», fitta di grattacieli occupati abusivamente, bordelli, case di gioco, ring di sumo clandestini e tutta una serie di luoghi seminterrati, ambigui, formicolanti di un'umanità disumana, dove perfino gli alberi sono geneticamente modificati. La seconda parte del romanzo, invece, è ambientata fra campagna e mare, in un luogo che sembra anche un tempo diverso, aria pulita e lanterne invece che smog e neon. Il romanzo si segnala, ancora, per la sua attenzione al fattore sociale, di cui si fa portavoce Mishima stesso: «Vivevo in un Paese che era pieno di contraddizioni» dice «ed ero una delle sue espressioni».
Lo scrittore è costretto a vivere per una seconda volta ciò che, nella sua incarnazione naturale, aveva combattuto, prima, e rifiutato, poi, con l'estremo gesto del suicidio rituale: lo svilimento dei valori, il carrierismo sociale, l'arroganza della burocrazia, l'aggressività della speculazione economica, la corruzione della politica, che rendevano la sua amata-odiata Patria un mondo di relazioni inautentiche. Ma quello che è il vero tratto distintivo di Lazarus rispetto a tanti romanzi consimili e coetanei, anche non di filone, è la predominanza della riflessione filosofica, non di rado affidata a citazioni tratte dall'opera di Mishima. Tutta la vicenda umana dei protagonisti è impregnata di misticismo orientale e si svolge in uno stato di mezzo fra vita e morte, sogno e realtà, passato e presente; ma l'esperienza spirituale non rimane circoscritta alla prossimità con la dimensione sovrannaturale, ma si sostanzia in una serie di valori-guida cardinali: la "bellezza" e la "morte", come nell'etica e nell'estetica decadente; il dovere morale del giri («È la traccia che ci rende unici, che ci rende uomini…ciò che il giri richiede è lo spirito di un guerriero, cioè qualcosa di fiero e puro»); il koha («…la smania di affrontare prove spirituali di virilità») e il ninkyo («il codice d'onore personale»); la tensione al futuro («Quale futuro può attenderci se si vive nella continua nostalgia del passato?»), il potere dell'esempio («Ai miei tempi lottavo con la forza delle idee, e con l'azione dettata dall'esempio»), la forza dell'arte («La realtà trova sempre il modo di bloccare i tentativi dell'uomo di trasformare la vita in un attimo di poesia»), la critica al culto della memoria («La memoria è uno specchio capriccioso, perché le immagini riflesse ci illudono. È lo specchio degli inganni») e della vittoria («La sconfitta non è tale se è volta ad un ideale, e la si può tramutare in un seme di gloria futura»). Dopo tanti meritati complimenti, una sommessa critica: siamo sicuri che "rigenerare" un'icona non valga a distruggerla? Un mito, antico o moderno che sia, non vive forse della sua irraggiungibilità? Creare doppioni di personaggi archetipici non è come mettere in circolazione caricature dell'originale, parodie lontane anni-luce dal potere di attrazione e suggestione della matrice? Il romanzo sembra, invece, alludere ad un potere fascinatorio che, nel processo di duplicazione, non si perderebbe e continuerebbe a magnetizzare le masse. E di questo noi, nel nostro piccolo, ci permettiamo di dubitare.
Errico Passaro

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