giovedì 9 dicembre 2010

Stasera su facebook Gabriele Marconi presenta il suo "Noi"

Dal Secolo d'Italia del 9 dicembre 2010
L’appuntamento è per oggi alle ore 19 su facebook, sulla bacheca di un evento che da domani sarà il più emulato – c’è da esserne certi – nella breve ma intensa storia della creatura di Mark Zuckerberg. Sì, perché stasera, per la prima volta in assoluto, un libro verrà presentato “in diretta” sul social network più popolare del mondo attraverso una tavola rotonda in triangolazione Italia-Irlanda-Spagna che coinvolgerà scrittori e giornalisti. Dopodiché tutti i “connessi” potranno rivolgere le loro domande all’autore o ai personaggi intervenuti. L’autore è Gabriele Marconi e il libro– il libriccino, come lo chiama lui – è Noi. Canzoni d’amore per la lotta e di lotta per l’amore (distribuzione a cura dell'associazione Raido www.raido.it), allegato all’attesa raccolta antologica in Cd dei migliori pezzi della “nostra” musica alternativa, di cui si erano recentemente occupati anche Ippolito Edmondo Ferrario e Cristina Di Giorgi ne Il nostro canto libero, il bel volume pubblicato la scorsa estate da Castelvecchi. 

«Non che ci fosse mai piaciuta la definizione di musica “alternativa” – scrive Marconi – ma al tempo era quella che si usava». Ed è proprio prendendo spunto dalle canzoni di Amici del vento, Compagnia dell'Anello, ZPM, 270Bis, Francesco Mancinelli, Pino Tosca, Massimo Morsello e dello stesso Marconi – tra cui un inedito: Cari amici miei – che prendono vita pensieri in libertà e flash back sugli anni di piombo. Sul tema, Marconi ha già scritto un apprezzato romanzo, Io non scordo, e trovandosi d’accordo con Corto Maltese quando dice che «fermarsi nel passato è come custodire il cimitero» s’era dedicato alla sua attività di giornalista – alla rivista, Area, che dirige con Marcello De Angelis – e narratore, felicemente continuata con Le stelle danzanti. Il romanzo dell’impresa di Fiume.
«Tuttavia – scrive – quello che continuo a sentire su quegli anni è troppo lontano dalla verità e dalla giustizia, troppo carico di ipocrisia per lasciarmi il passato alle spalle e rispolverarlo, da solo o con vecchi amici, per ridere o piangere a seconda dei casi». No, il ricordo di quell’esperienza non poteva essere lasciato all’enfasi imbarazzante quanto strumentale dei reduci in servizio permanente che «rivendicano le ragioni e minimizzano gli “effetti collaterali”».
Era arrivato il momento di dire basta all’abusata forma del saggio storico-sociologico-politico usa e getta che nulla aggiunge e nulla toglie e alle (auto) biografie colme soprattutto dell’autocompiacimento dei protagonisti di quegli anni formidabili e terribili al tempo stesso. Si avvertiva l’esigenza di dare voce al punto di vista degli ex ragazzini che, magari senza avere (o potersi assumere) responsabilità, vissero quell’esaltante stagione di militanza politica nelle grandi città come anche nei più sperduti paesini di provincia: «Le migliaia di ragazzini che, ai tempi, si buttarono nella mischia senza calcoli di sorta, senza altra brama che non fosse quella di vivere in un mondo più giusto». E di provare a raccontarlo nel modo più genuino e meno “ideologico” possibile: partendo dalla scossa emotiva che certe canzoni ci trasmisero e, in alcuni casi, accesero in molti di noi i motori di un impegno che sarebbe durato decenni, malgrado l’eco di quelle canzoni si sia fatto sempre più lontano. Il “noi”, infatti, qui non è usato come artificio retorico del plurale maiestatis e, pur parlando in prima persona, Marconi testimonia una storia che è – per l’appunto – corale. E ciò è tanto più importante in un momento, quale quello attuale, in cui questa identità di vissuti comuni (e di lutti, non dimentichiamocelo) sembra sbriciolarsi nella contingenza politica, perdersi in mille rivoli fatti di distinguo e diffidenze reciproche.
Molti di noi, com’è giusto e doveroso che sia, ormai sono uomini fatti, adulti affermati nei rispettivi contesti professionali eppure, ascoltando queste canzoni – avverte Marconi – potremmo accusare la «stessa estraneità dei reduci dopo la guerra: inseriti, sì, riemersi alla vita con pazienza e coraggio, tenacia e lavoro, ma comunque “altri” rispetto al mondo intorno. E così, quando spazzoli la patina di polvere, torna a scintillare il vecchio combattente menefreghista. Che appunto fregandosene sa ridere delle proprie assurdità».
Leggiamo quindi questo Noi e riascoltiamo certe ballate e certe canzoni ma con
la raccomandazione che Romain Gary rivolse principalmente a se stesso: «Bisogna davvero riuscire a conservare in sé qualche traccia inestirpabile di ciò che si è stati prima di quella grande disfatta che si chiama maturità». Dobbiamo almeno provarci.
Roberto Alfatti Appetiti

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