domenica 19 dicembre 2010

Tornano i Baustelle, con il loro primo atto di "disallineamento" (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia del 19 dicembre 2010
Era un album introvabile. Pubblicato dieci anni fa, come prova d'esordio dei Baustelle, e divenuto il classico oggetto di culto che si può acquistare solo nel mercato parallelo, e assai instabile, del collezionismo o delle vendite occasionali, a meno di sconfinare nella (obiettiva/opinabile) illegalità del peer-to-peer.

Un caso tutt'altro che unico, e semmai fin troppo frequente in questo e in altri ambiti editoriali, di sostanziale scomparsa per sopravvenuta irreperibilità. Come si dice, la dura legge del "fuori catalogo". Le opere che finiscono in una sorta di limbo, dove nessuno le va più a recuperare, per un motivo o per l'altro: non le case editrici che ne detengono i diritti; non gli autori che pure le hanno firmate e che, al di là dell'aspetto prettamente giuridico, ne mantengono la titolarità artistica; men che meno il pubblico, che non ha nessun altro strumento se non quello di moltiplicare a dismisura le richieste di una nuova pubblicazione; e nessun'altra speranza se non la convenienza commerciale dell'operazione: che spesso non ha nulla a che vedere con l'effettivo valore di ciò che viene immesso, o reimmesso, nei circuiti di vendita.
In questo caso, però, la pazienza è stata premiata. Alla fine, appunto dopo dieci anni dalla sua uscita, questo Sussidiario illustrato della giovinezza torna nei negozi. Come si legge sul sito ondarock.it «si tratta di un album molto particolare, quasi un concept, che raccoglie canzoni espressive di un'adolescenza romantica, tormentata, spiritosa e tutta italiana», e che «diventa vero disco di culto per una generazione che non si ritrova più nelle classifiche nazionali, e cerca nella musica indipendente i suoi soli ascolti in lingua italiana».
Un piccolo trionfo del "disallineamento", che non va confuso con l'estraneità. Un trionfo che molti ritennero sorprendente alla luce della sua provenienza dal mondo delle produzioni indipendenti: ma che in realtà rispondeva perfettamente proprio a quelle matrici e, per così dire, a quel respiro. A differenza di quello che succede abitualmente nel mondo della discografia industrializzata e lucrativa delle major - dove l'iter che porta dalla selezione iniziale alla pubblicazione è un processo di adattamento (più o meno scoperto e più o meno invasivo) della personalità artistica originaria, che viene avvicinata alle preferenze vere e presunte del pubblico - il lavoro dei Baustelle non pagava alcun pegno alla volontà/necessità di piacere a nessun altro che ai suoi artefici, curiosi quanto inesperti. In un certo senso, non era destinato alla vendita ma alla sottoscrizione. Non mirava a incassare denaro ma a conquistare un consenso, a stabilire un'empatia, addirittura a fare da preludio a un possibile incontro. Non metaforico. Di persona.
Era un'ambizione, o anche solo un augurio. Si rivelò un presagio. Come ricorda oggi in una lunga rievocazione apparsa sull'ultimo numero di XL Francesco Bianconi, che di fatto è il leader, essendo l'autore della maggior parte dei brani e il cantante del gruppo: «Abbiamo sempre avuto fan speciali. Appena uscì, il disco ebbe critiche eccellenti da parte della stampa specializzata. Facevamo pochi concerti, ma si creò subito un folto seguito di amanti dei Baustelle. Amanti veri, passionali. C'era chi ci odiava, certo, perché non eravamo abbastanza rock, ma chi non ci odiava era innamorato veramente, e a prima vista. Nacque una comunità di ragazzi simili a noi, col nostro stesso gusto, coi nostri stessi interessi. Si formò così in fretta che quasi sembrava che aspettasse il nostro avvento da chissà quanto tempo. Questo ancora oggi mi commuove, e mi dà un piacere immenso se penso che membri di questa comunità sono, nel giro di poco tempo, diventati alcuni dei miei migliori amici».
Dovrebbe essere la norma: una contiguità tra l'artista e i suoi estimatori, che rende il primo capace di decantare e di esprimere qualcosa che è condiviso anche dai secondi. L'artista che trasforma in essenza qualcosa che tutti gli altri coltivano. L'esperienza di vita è simile, se non proprio identica, e costituisce la base per quello che ne scaturisce. Una tipica impostazione folk, a ben vedere. Sempre che si sia capaci di vedere al di là delle apparenze e delle etichette, liberandosi dell'idea che il folk identifichi un repertorio (del passato, morto e sepolto) anziché un rapporto tra il singolo e il contesto al quale appartiene.
Dovrebbe essere la norma. È diventata l'eccezione. E lo è diventata perché si è persa quella condivisione iniziale, che intreccia la vita che si vive alla musica che si ascolta, ai libri che si leggono, ai film che si vedono. Siamo sradicati. Siamo dispersi. Apparteniamo a community virtuali, che si scambiano foto, e files, e confidenze quotidiane. Ma che lo fanno a distanza. E a distanza non è, non può essere mai, la stessa cosa. «Sussidiario - sottolinea ancora Bianconi nell'intervista - è un disco con un bel po' di errori. Quelli che fanno sì che i fan della prima ora usino l'espressione "opera bellissima, naif e irripetibile". Quelli di cui sembra non accorgersi nessuno e che, a chi li ha commessi, sembrano invece enormi. Sussidiario lo registrammo per metà in presa diretta, suonando tutti insieme in uno studio a Cascina, perché non eravamo in grado di registrare "a click". Se ascoltate il disco, potete sentire qua e là degli ondeggiamenti di tempo, in alcuni casi piacevoli, in altri (come in un bridge strumentale de Le vacanze dell'83) no. Sussidiario è un disco passato imperfetto».
Imperfetto, ma suggestivo. L'imperfezione benedetta della giovinezza, che si fa perdonare tutto, o quasi, perché tutto, o quasi, è ancora suscettibile di affinamento, di rettifica, persino di riscatto. È importante che sia stato ripubblicato. Perché potrebbe indurre anche i meno attenti a scoprire che la storia dei Baustelle non è cominciata con Un romantico a Milano e con quel La malavita che invece è solo il terzo album. Prima c'è stato un antefatto, che merita di essere conosciuto. Ma sarebbe forse importante che lo riascolti, o che lo riascolti più spesso, anche lo stesso Bianconi: per ricordarsi, come ogni tanto sembra dimenticare, che l'unica maniera di creare in assoluta libertà è dimenticare che cosa accadrà in seguito.
 
Federico Zamboni

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