martedì 4 gennaio 2011

Da Aaltonen a Vampeda: dizionario dei "bidoni eccellenti" in vent'anni di campionato

Dal Secolo d'Italia del 4 gennaio 2011
«Berlusconi ha risolto il caso Battisti: ce lo ridaranno in cambio di Ronaldinho». Solo una battuta, quella affidata da Gene Gnocchi al quotidiano rosa. Partito Babbo Natale, tuttavia, le aspettative nazionali – è o non è, il nostro, un paese di tifosi di calcio? (peraltro in forzata astinenza) – sono affidate ai presidenti delle società sportive. Da ieri, infatti, e per l’intero mese di gennaio, è aperto il calciomercato e sognare torna a essere lecito. Persino per gli interisti, ai quali Moratti ha regalato l’ex allenatore rossonero Leonardo in attesa – si vocifera – di portare a Milano anche un’altra stella brasiliana già passata per Milanello, Kakà.  
In attesa di misurarsi sul campo, le società sportive si affrontano sul mercato, contendendosi questo o quel campione e inseguendo giovani col potenziale di una scommessa. Chi si aggiudicherà le prestazioni di Toni e Gilardino? In quale città italiana tornerà Macheda, l’attuale punta made in Italy del Manchestern United? Vinceranno i più forti? Sicuramente quelli maggiormente disponibili a spendere. Che, non a caso, sono quasi sempre i più forti. Potere della pecunia. Capita, però, che il migliore degli affari si dimostri, come dicono a Roma, una sòla e che i milioni spesi, oltre che a far ricchi giocatori e procuratori senza scrupoli, svaniscano in un nulla di fatto. O che un grande campione venga clamorosamente sottovalutato. «Roberto Baggio? No grazie, noi il nostro fuoriclasse lo abbiamo già, è Pedros». Così parlò Carlo Ancelotti, quando si ventilò l’ipotesi di un trasferimento del divin codino nel Parma di cui all’epoca era allenatore. Incauto, a giudicare ex post. Eravamo a metà degli anni Novanta e l’ex juventino, tutt’altro che bollito, fece grandi cose con Bologna, Inter e Brescia. Cosa (non) fece, invece, il francese Reynald Pedros – ovvero otto anonime presenze in quattro stagioni con zero reti all’attivo – ce lo ha ricordato Cristian Vitali nel suo esilarante Calciobidoni (Piano B edizioni, pp. 230 € 12,90), da poco in libreria. Detto anche Mickey Mouse, arrivò al Parma nel ’97 e da simbolo del Nantes si trasformò incredibilmente nella misera controfigura di se stesso. «Si mise in mostra più che altro per la sua folta chioma, per le frequenti scorribande nelle discoteche romane e, dulcis in fundo, per un caratterino un tantino rissoso».
Certo, il calciatore francese non è l’unico di una vista galleria di “meteore” che ancora popolano gli incubi dei tifosi italiani. Se, già dal secondo dopoguerra, dal Sudamerica vennero imbarcati pacchi di presunti campioni per i danarosi presidenti italiani – che lo storico presidente del Coni Giulio Onesti definiva «i ricchi scemi» – dai primi anni Ottanta, con la riapertura delle frontiere, la “caccia” allo straniero tornò di moda. Molti di loro, va detto, finirono a far tappezzeria in panchina o peggio in tribuna e, come suol dirsi, non salvarono la (nostra) patria, anzi: non lasciarono traccia, se non nella casse societarie.
Vitali ne ha selezionati novanta, uno per ogni minuto di un’immaginaria partita, campioni sulla carta ma bidoni in campo. Non comprate quello straniero, ammonisce a futura memoria nel sottotitolo, tracciando un intero campionario di quelli che definisce via via flop, pacchi, brocchi, pipponi e scarponi. In rigoroso ordine alfabetico. Primo tra tutti Mika Aaltoen, il finlandese che avrebbe dovuto far grande il Bologna. È ricordato (caso più unico che raro) come un brillante… studente.
Da ottobre ad aprile ’89 riuscì a sostenere ben quattro esami alla facoltà di economia e commercio, di contro alle sue tre presenze (senza reti) in maglia rossoblu. Un rendimento scolastico di gran lunga superiore a quello sul campo. E cosa dire del “mitico” Vampeta? Il brasiliano si presentò con un nome d’arte che era tutto un programma, derivante dalla fusione delle parole “vampiro” e “capeta”, che significa diavolo. Ebbene: una presenza senza gol nell’Inter nel 2000. Il libro, però, è dedicato a quelli come loro, alle promesse mancate, ai campioni incompiuti, ai fuochi fatui del calcio: «Fanatici, arroganti e presuntuosi, ma anche pittoreschi, umili e onesti. Personaggi forse truffaldini, nella maggior parte dei casi simpatici e folkloristici, quasi sempre dimenticati da tutti. In qualche maniera è giusto serbarne il ricordo, e con il sorriso sulle labbra: dietro ai grandi campioni c’è un mondo popolato da figure minori. Senza di loro il calcio non avrebbe lo stesso fascino, tanto inspiegabile quanto irresistibile».
Altra lettura fondamentale – da farne prova d’esame per aspiranti dirigenti sportivi – è il precedente e godibilissimo lavoro di Furio Zara, giornalista al Corriere dello Sport (edito da Kowalski nel 2006): Bidoni. L’incubo. Cento storie di campioni in teoria, brocchi di razza, guitti, avventurieri e giullari del calcio italiano dal 1980 a oggi.
Non rimane che studiare, pertanto. Perché, se sbagliare è lecito, perseverare è diabolico. Detto questo, viene da domandarsi: le nostre società hanno imparato la lezione? Il dubbio resiste, almeno a giudicare dai risultati e dai corteggiamenti dell’ultima ora. La flop list è lunga, anche se difficilmente qualcuno potrà scagliare la prima pietra. Sta di fatto che Adriano si è aggiudicato per la terza volta consecutiva il Bidone d’oro e che persino sul sito di Vitali – Calciobidoni.it, non a caso dedicato a “tutto il peggio del calcio italiano tra equivoci, errori clamorosi e “papere” storiche” – il brasiliano de Roma resti anche per l’edizione in corso uno dei favoriti al “titolo” meno ambito dai calciatori. L’imperatore dei bidoni, come è stato crudelmente definito, doveva essere la punta di diamante dell’attacco romanista e invece sembra sempre più la fotocopia sfocata del giocatore che era. In un campionato, il nostro, che – a onor del vero e ormai da anni – non è più il migliore del mondo.
Roberto Alfatti Appetiti

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