giovedì 20 gennaio 2011

E nei fumetti quanta politica ci si può ritrovar... (Luciano Lanna recensisce All'armi siam fumetti)

Un libro sugli eroi dei comics di Roberto Alfatti Appetiti oltre gli schemi dell'ideologia
Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia del 20 gennaio 2011
Con questo All'armi siam fumetti (I libri de "Il Fondo", pp. 210, € 12,50) il nostro Roberto Alfatti Appetiti scardina definitivamente lo stereotipo secondo cui l'immaginario e i fenomeni della cultura popolare e di massa dovono essere considerati appannaggio esclusivo di critici e studiosi collocabili in un modo o nell'altro a sinistra. Raccogliendo in un libro una selezione dei suoi articoli dedicati ai fumetti e comparsi sul Secolo tra il 2006 e la fine del 2010, Alfatti Appetiti dimostra non solo una grande competenza nel settore ma, soprattutto, una straordinaria capacità di interlocuzione con disegnatori e autori di "letteratura disegnata".  

Non mancano infatti nel libro interviste - con Sergio Bonelli, Gianfranco Manfredi, Roberto Diso e tanti altri - e una prefazione firmata dallo sceneggiatore di comics Roberto Recchioni, da Alfatti Appetiti definito «il "fascista zen" del fumetto postmoderno».
All'armi siam fumetti per di più esce per "I libri de Il Fondo" di Miro Renzaglia, una iniziativa editoriale che si muove proprio sullo sfondo di uno spazio culturale libertario e fuori dei vecchi steccati. Ex militante degli anni Settanta, oggi scrittore, blogger e giornalista, Renzaglia sul fronte dell'impegno mostra di avere le idee molto chiare: «La richiesta di estensione di diritti - sostiene - è libertaria, la repressione reazionaria. E io sto coi libertari, sempre. È la distinzione stessa tra destra e sinistra che segna il passo. Oggi ci sono distinzioni che secondo me sono più significative e indicano in modo più chiaro la situazione in cui ci troviamo, come quella tra pensiero autoritario e pensiero libertario, appunto. Libertà o deriva autoritaria?». E non è forse un caso che - intervistato da Nicola Antolini per il libro Fuori dal cerchio - invitato a fare i nomi dei suoi autori, abbia citato Nietzsche, Heidegger, Jünger e, a sorpresa, lo psicoanalista libertario Elvio Fachinelli, «che già negli anni Ottanta considerava finita la vecchia dicotomia destra-sinistra...».
Proprio su questa linea ispiratrice, Renzaglia ha inaugurato la sua casa editrice, con cui ha già pubblicato l'interessante saggio Il fascismo oggettivo di Giovanni Di Martino (con un'intrigante introduzione di Costanzo Preve) e che prevede, sempre di Roberto Alfatti Appetiti, Kerouac e i fascio-beat, un affresco sull'irriducibilità alla sinistra dei non-conformisti americani degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma è già questo All'armi siam fumetti a registrare nel migliore dei modi la fine delle vecchie ipoteche egemoniche nei confronti della cultura di massa. Sappiamo del resto - ce lo attestò lo stesso Sergio Bonelli ringraziandoci per essere stati gli unici a dedicare un paginone a Renzo Barbieri dopo la scomparsa del grande scrittore di storie a fumetti - che gli addetti ai lavori considerano le pagine del Secolo dedicate al mondo delle "nuvole parlanti" non solo autorevoli e documentate ma all'altezza di quanto, un tempo si poteva leggere solo su quotidiani come Paese Sera o la Repubblica. D'altronde, dopo il grande trionfo negli anni Trenta e Quaranta - si pensi a Topolino ma anche all'Uomo Mascherato, a Dick Fulmine o a Kurt il Legionario di Caesar - contro i fumetti si scatenò nel secondo dopoguerra una campagna animata da comunisti e democristiani. Fu Nilde Iotti nel dicembre del 1951 a scagliarsi contro i "giornaletti", considerandoli strettamente collegati a corruzione e delinquenza giovanile: «La gioventù che si nutre di fumetti - scriveva - è una gioventù che non legge e questa assenza di lettura nel senso proprio della parola non è l'ultima tra le cause di irrequietezza, di scarsa riflessività, di deficiente contatto con mondo circostante e quindi di tendenza alla violenza, alla brutalità, all'avventura fuori della legge...». E come ha ricordato Oreste del Buono, l'Italia degli anni Cinquanta appariva come «una terra di eroi positivi agli arresti domiciliari» in preda alla «bande della Dc alle prime esperienze di quello che sarà il suo lunghissimo dominio; il fumetto veniva tollerato purché non ospitasse la crisi dei valori borghesi».
Quel pregiudizio era infatti diffuso: genitori ed educatori cercarono in tutti i modi di arginare la passione per i fumetti dei ragazzi del secondo dopoguerra. «Mio padre a Modena - ha raccontato per tutti il cantautore Francesco Guccini - i fumetti non me li faceva leggere, perché diceva che mi avrebbero fatto perdere l'abitudine alla lettura...». Contro i giornaletti con le storie a strips e anche contro i cartoni animati, un fenomeno d'altronde imparentato con le "nuvolette parlanti", ci fu negli anni Sessanta una vera e propria crociata. «Secondo mamma e papà - ha recentemente ricordato al Corriere della Sera la scrittrice Bianca Pitzorno - rischiavano di essere nocivi perché favorivano la confusione tra realtà e finzione: i nostri genitori temevano che vedere un papero precipitare dalla finestra e rialzarsi come nulla fosse o due topi fare a pugni violentemente producesse nei bambini pericoloso effetti d'imitazione». Ma si trattava solo di diffidenza conservatrice di fronte a un fenomeno nuovo: «È il timore del branco - era la conclusione della Pitzorno - del vecchio alce di fronte al giovane».
Alfatti Appetiti dimostra l'inconsistenza di queste resistenze e rilancia, collegando autori e personaggi della più recente stagione fumettistica con riferimenti diretti dalla letteratura alta (Conrad, Saint-Exupéry, Ernst Jünger, London, Stevenson) ma anche - come sottolinea Errico Passaro nella prefazione - «da quella cultura pop fra le cui icone ben possiamo annoverare a pieno titolo, per dire, Quentin Tarantino e Happy Days».
Estremamente significativa l'intervista con Gianfranco Manfredi, autori di albi a fumetti come Volto Nascosto e Magico Vento. Classe 1948, ha iniziato negli anni '70 incidendo dischi e scrivendo testi per cantanti come Ricky Gianco. Sua la famosa Marcia degli incazzati che faceva da sigla a Onda libera, la trasmissione con Roberto Benigni nota anche come "Televacca" in cui compariva anche Guccini. Negli anni '80 si è dedicato alla scrittura pubblicando romanzi e saggi, tra cui il primo testo critico su Lucio Battisti (edito dalla Lato Side), ma occupandosi anche di cinema, recitando e collaborando con registi come Samperi, Steno e Corbucci. Un intellettuale a tutto tondo che, quindi, nel 1991, approda anche ai fumetti. Sceneggiature per testate come Tex, Dylan Dog e Nick Raider e poi le sue creazioni. «Mi considero e mi consideravo - spiega ad Alfatti Appetiti - un libertario, anche in un periodo in cui si tendeva a ideologizzare tutto e inquadrare il mondo in categorie rassicuranti». E non ha nessuna difficoltà ad ammettere che «l'immaginario ha sconfitto l'ideologia, perché rielabora in maniera più compiuta i conflitti della modernità». Nel libro si ricorda che dopo un'assenza dal mondo del cinema durata dieci anni, nel 2002 Manfredi era tornato alla sceneggiatura per il film Il trasformista, diretto da Luca Barbareschi. «Fu un gran bel film, il primo - ricorda - che demistificava una certa politica. Ha mostrato le contraddizioni della nostra società senza riflessi condizionati di schieramento. E lo ha fatto senza godere della grancassa di un certo establishment culturale. E non ha avuto successo...».
Insomma, a parlare di fumetti e dintorni, «puoi cambiarci i personaggi ma quanta politica ci puoi trovar», potremmo dire parafrasando lo Stefano Rosso di Una storia disonesta. Tanto che a leggere All'armi siam fumetti gli spunti politici emergono a ogni pagina. Come, tanto per dire, quando si parla di Andy Capp, il personaggio di Reg Smythe celebre in Italia per la strip che è apparsa per decenni sulla Settimana Enigmistica col titolo "Le avventure di Carlo e Alice". Berrettino perennemente calcato sugli occhi, sigaretta in bocca, Andy rappresenta una via irregolare (e libertaria) alla contestazione: «Ha rappresentato - scrive Alfatti Appetiti - l'altro '68, quello anglosassone: maestro di nessuno, è a mezza via tra Ernst Jünger e Antonio Pennacchi (che ha lui si è ispirato per il suo berretto), fra l'anarca e il fasciocomunista». Un po' come il papà di Alan Ford, Luciano Secchi-Max Bunker, che invitato a suo tempo a definirsi politicamente ammise: «Mi piace qualche cosa di Gianfranco Fini ma anche di Walter Veltroni e di Massimo Cacciari». È proprio vero: il mondo dei fumetti precorre davvero i tempi...
Luciano Lanna

2 commenti:

Gianfranco Goria ha detto...

Segnalato oggi su www.afnews.info

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Grazie Gianfranco! :-)