martedì 15 febbraio 2011

La vecchia signora seduce ancora: a 20 anni da "Febbre a 90°" un romanzo d'amore anche per lei

Dal Secolo d'Italia del 15 febbraio 2011
Tante delusioni. Troppe. Più di quante un cuore, sia pure innamorato, possa sopportare. E non parliamo delle bruciacchiature provocate dall’inferno della B, quelle sono guarite. Piuttosto del ritardo con cui la Vecchia Signora s’è presentata agli appuntamenti negli ultimi anni. Distratta, scostante, imperdonabilmente arrendevole. Poi, alla vigilia di San Valentino, l’unico regalo che conti davvero: la vittoria. Sull’odiata Inter, ingrassata di trofei sulle sventure bianconere. I tifosi ringraziano e rinnovano la loro promessa d’amore. «Perché la Juve è la Juve e quando te ne innamori diventa una delle cose più importanti della tua vita». Così scrive Marcello Chirico, il funambolico opinionista di Telelombardia, nella prefazione a I love Ju (Cult Editore, pp. 300, €14), il primo romanzo “d’amore” dedicato alla formazione torinese.
Lo firma Jonathan Arpetti, a distanza di quasi vent’anni dall’ormai mitico Febbre a 90° che rese celebre Nick Hornby. Se allora lo scrittore inglese indossò i panni (armandosi di penna) del tifoso dell’Arsenal per raccontarne gioie (poche) e sofferenze (tante), adesso è la volta di questo scrittore marchigiano della classe ’72 a mettere nero su bianco (e bianco su nero) la sua dichiarazione d’amore. «M’innamorai della Juventus a undici anni – scrive nell’incipit – e posso dire, con assoluta certezza, che non finirà mai. A quell’età ci si può innamorare di tutto: della compagna di classe, di un videogame, di un animale domestico». Non della bicicletta che la madre gli regala per il suo compleanno. Giacomo Grandis, alter ego dello scrittore, una vitalità esuberante che ricorda l’Arturo Bandini di John Fante, si innamora «dell’altra squadra della città, qualcosa da evitare come un cane rognoso». Sì, perché il padre è tifoso granata. E la sua prima volta allo stadio è proprio il regalo paterno. Ma a nulla valgono i racconti delle gloriose gesta del grande Torino. Né il tentativo di avvincerlo alla causa insegnandogli la formazione a memoria. Al cuore non si comanda e appena mette piede al Comunale è amore a prima vista: «Restai folgorato. Dai tifosi dell’altra squadra. Indossavano tutti una maglia bianconera e sventolavano bandierine degli stessi colori, inoltre aveva appeso alla base della gradinata un enorme striscione con scritto: “la leggenda del calcio siamo noi”».
La vita di Giacomo, arrivato alla soglia dei trent’anni, scivolerebbe tranquilla, per quanto possa esserlo la girovaga esistenza del tifoso, eterno pendolare degli stadi. Risveglio al mattino con lettura online dei siti di fede bianconera – Juventus.com, Tuttosport, nerosubianco, vecchia signora, pianeta bianconero, magica Juventus e via cliccando – e pomeriggio alla sede del club cuore bianconero. Finché non arriva lei: Julia. L’altra “Signora”, assai più giovane e altrettanto affascinante. Alta, elegante, capelli biondi lunghi, bocca carnosa e pelle olivastra. «Definirla bella era come dire che il sole e la fiammella di un fiammifero hanno la stessa intensità. Era uno schianto, una di quelle donne che non si può fare a meno di guardare, indipendentemente dai guai in cui ci si andava a cacciare». Altro che guai, direte voi. Se non fosse per quella frase che nessun uomo vorrebbe sentirsi dire dalla propria compagna: «No, il calcio non mi interessa».
Esagerazioni letterarie? Non direste così se vi capitasse quel che accade a Giacomo. Lo costringe ad assistere alle prove – lei recita in una compagnia di quartiere – e fin qui siamo nell’amara norma delle interminabili attese maschili. Dovrà farle da claque e riprendere lo spettacolo con la videocamera. Fare qualche scatto per immortalare la sua esibizione. Routine, certo. Il problema si pone nella sua drammaticità quando lo spettacolo viene anticipato: non andrà in scena venerdì 8 maggio ma mercoledì 6. Giù il sopracciglio, non parliamo di un 6 maggio qualsiasi ma di quello 2003: «la data che non era possibile nominare». Perché quel giorno Real Madrid e Juventus si sarebbero contesi l’accesso alla finale della Champions League. «Il fatto era che se volevo continuare a vivere un rapporto sereno con Julia, il 6 maggio, invece di imbarcarmi per Madrid, sarei dovuto andare in teatro a veder sgambettare sul palco una mezza dozzina di attori improvvisati mentre al Santiago Bernabeu andava in scena l’evento dell’anno». Non rimane che affrontare l’avversario a viso aperto. Con freddezza e determinazione. «Dovevo agire con la precisione di un chirurgo durante un trapianto di cuore, prendere la palla e posizionarla sul dischetto senza guardare in faccia il portiere, un po’ di rincorsa e, sempre senza guardarlo, sparare in rete in modo deciso. La palla si sarebbe insaccata dalla parte opposta dove il portiere Julia si sarebbe tuffato».
Com’è andata a finire? 2 a 1 per il Real Madrid con gol di Ronaldo, Trezeguet e Roberto Carlos. La Juve, tuttavia, si rifece nella semifinale di ritorno, liquidando la squadra spagnola con un perentorio 3 a 1. La finale fu tutta italiana e a contendersi il titolo europeo, in una notte di Manchester che più buia non ce n’è, furono Juventus e Milan. Prevalsero i rossoneri, ai rigori (maledetto Dida!, ndr). E il trauma fu talmente forte per Arpetti – non solo per lui, off course – da decidere di farne un libro per esorcizzare il dispiacere e trasformare così quell’evento terribile in qualcosa di positivo.
Come finisce il romanzo, invece, non ve lo diciamo. Vincerà la Juve o Julia? Una delle due Ju è di troppo o potranno convivere? Per saperlo, non vi rimane che godervi questo romanzo esilarante quanto universale.
Roberto Alfatti Appetiti

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