giovedì 3 febbraio 2011

L'eminente dignità di Alan Ford e Maltese, moderni antieroi (di Francesco Lo Dico)

Articolo di Francesco Lo Dico
Da Liberal quotidiano del 3 febbraio 2011
«Divertiti fino a una certa età, poi pentiti e vai oltre». Apostata felice del precetto agostiniano, Roberto Alfatti Appetiti non ha mai declinato le parole sprezzanti che l’highbrow nazionale ha da sempre riservato al fumetto.

Cresciuto insieme ad Alan Ford e Corto Maltese, Zagor e Mister No, il giornalista del Secolo d'Italia non ha mai avvertito l’esigenza di denunciare i segreti compagni di carta all’occhiuto doganiere dello Strapaese intellettuale. Quello che “appartato e schizzinoso”, secondo la lezione di Michele Serra, tira giù la sbarra di fronte a fenomeni popolari clandestinamente importati nella sacra terra del radical-chic. Ecco perché All’armi siam fumetti (Il Fondo, 210 pagg. 12,50 euro), giunge in libreria come una ventata d’aria fresca. Tanto più sferzante, quanto il tono signorile disegna con sagacia una traccia storica spesso depistata e scomodamente inattuale. Ci voleva l’“intelligenza dissoluta” di Alfatti Appetiti, per mandare gambe all’aria l’ordine dei segni che incardina il fumetto nelle camerette dell’adolescente brufoloso.
Ma nonostante Andy Capp e soci abbiano le carte in regola per assurgere a eroi della letteratura disegnata, il nostro non cerca sponde nell’ufficio brevetti della bottega aristotelica. Ciò che gli importa non è fare istanza di appello perché la storia del fumetto entri nei curricula accademici.
L’autore sa bene che la canonizzazione spegnerebbe per sempre il fuoco sovversivo che agita gli eroi. A sentirsi nominare come “influenti esponenti dell’arte sequenziale”, Dylan Dog e Tex Willer menerebbero cazzotti che non ti dico. E d’altra parte, ciò che stava a cuore ai loro padri – da Sergio Bonelli che creò Mister No, alla coppia Bunker e Magnus che si inventò spauracchi come Kriminal e Satanik – non era la corona d’alloro dispensata dal critico, ma la libera cittadinanza del piacere e dell’avventura. Una nota stonata, nel coro polifonico dell’impegno politico a tutti i costi. Perché l’avventura, come ogni sortita nelle terre selvagge, si pretende nichilista, anarchica e individualista. E se risulta eroica è un problema altrui, perché è un bisogno o una necessità, e preferibilmente la si affronta controvoglia.
Nelle pagine di Alfatti Appetiti sfila la dunque la piccola controstoria di un mondo che ci è stato raccontato in modo univoco dagli anni ’60 ai giorni nostri. E la cronaca di un pianeta, fatto di nuvolette parlanti finché si vuole, che racconta però di uomini con i piedi per terra. Che ad ogni passo sollevano la polvere di sogni residuali e battaglie perdute, di viaggi da fermo e tenaci resistenze ai circuiti spediti dell’embedded.
È il caso di Andy Capp, «figliolo di china» del mai troppo compianto (e misconosciuto) Reginald Smythe. «Ha rappresentato l’altro 68 – chiosa Alfatti Appetiti a proposito dell’uomo più attaccato alla poltrona che l’antipolitica abbia mai conosciuto – quello anglosassone: nessuna velleità ideologica di stampo marxista, neanche una briciola di luoghi comuni. Bandita ogni retorica. Non c’è in lui rabbia né frustrazione. La lotta di classe non lo sfiora, non è affar suo. Della società se ne frega e ne è ricambiato con reciproca soddisfazione. In confronto a lui Paperino è un arrivista». Ma di questa prattiana figliolanza «desiderosa di sentirsi inutile», il critico non trascura neppure l’eroe più avventuroso e disperatamente romantico cresciuto nel clima postbellico. Inquieto marinaio, un po’per piacere e un po’per bisogno, Corto Maltese emerge negli scritti di Alfatti Appetiti come simbolico deracinè salpato verso un porto del tutto invisibile. Superstite in un mondo nelquale non può e non vuole fare scalo, Maltese è un proscritto. E qui, come in molti altri casi, Alfatti Appetiti sfodera l’arma più seducente di questo All’armi. Alzato il sipario, dissipata la nuvoletta, l’eroe di carta svela le sembianze dell’uomo che ne fa le veci. Ed ecco Pratt spiegare che «con la fine delle ostilità, arrivò l’obbligatorio impegno per l’impegno. La parola avventura fu messa al bando. Non è mai stata ben vista, né dalla cultura cattolica, né da quella socialista. È un elemento perturbatore della famiglia e del lavoro, porta scompiglio e disordine. L’uomo di avventure, come Corto, è apolide e individualista, non ha il senso del collettivo». Dalle nuvole alle zolle accidentate della storia. Alfatti ci mena per l’aria fresca del fantasy, per farci cascare ogni volta nella cronaca fantasy, per farci cascare ogni volta nella cronaca rimossa del secolo scorso. Accade così per i tanti personaggi che dagli anni Sessanta ai giorni nostri, si accompagnano sempre in questo saggio in un’originale intrico di valor artistici e snodi storici. Da Nathan Never, per l’autore novello paradigma del modello sicurezza di Bossi e soci, a Dylan Dog, indagatore di incubi ben più concreti degli zombie come l’eutanasia e l’annoso dibattito che la sviscera.
Inevitabile non lasciare queste pagine, con la sensazione di aver assistito a uno spettacolare detournement: tutti gli eroi a fumetti in campo a seminare scompiglio nell’ordine dei segni, negli altari della cultura officiata, a impadronirsi degli spazi vuoti per esprimere il non detto nella straniante fissità della singola tavola.
Ecco perché ridurre il lavoro di Alfatti Appetiti a un’arguta contro storia ideologica sarebbe uno sgarbo imperdonabile. Ci perderemmo infatti ciò che forse più di ogni altro preme negli intenti del nostro. Gli eroi dei fumetti non sono null’altro che l’accettabile sineddoche dell’aspirazione umana. Una parte di uomini, che vivono ribelli, solitari, giusti, ad esprimere tutti gli altri. Conviviali per necessità, conformisti per spavento, prudenti per principio. Ma non ancora disposti ad abbandonare del tutto i propri sogni. Di gloria o di ozio che siano. Sono gli uomini che vorrebbero camminare da soli. Che poi rinunciano perché si chiedono: «Chi mai vorrebbe camminare con me?».
Francesco Lo Dico

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