sabato 26 marzo 2011

Antifa' a Palermo: "Nessun dolore", nessuna libertà (di Giovanni Tarantino)

Se Vecchioni non è di casa a Palermo
Dal Secolo d'Italia del 26 marzo 2011
«Con le minacce e con la violenza gli "antifa" - come riferisce il sito www.noreporter.org - speravano di far saltare la presentazione palermitana del romanzo Nessun dolore. Sulle minacce avevano fatto male i calcoli, perché se è facile intimidire un qualsiasi privato, più difficile è far fare retromarcia a una libreria Mondadori...». 
La notizia è ormai nota: gli scontri a Palermo per la presentazione già più volte rinviata del libro di Domenico Di Tullio, primo romanzo su CasaPound. Scene anacronistiche da anni Settanta, tra pseudo black block e studenti universitari pronti a lanciare pietre contro le vetrate della libreria in nome dei sani principi dell'«antifascismo militante». Ancora una volta? Ebbene sì. E questa volta per un libro, incredibilmente avverso ai militanti dei cosiddetti collettivi e contestato. Così, per un pomeriggio, Palermo è tornata a essere teatro di scontri, di violenza, di bande giovanili, di "fasci" contro "compagni", o meglio, se vogliamo dirla tutta di "compagni" contro "fasci", poiché i secondi volevano semplicemente partecipare alla presentazione di un libro, di un romanzo non si capisce fino a che punto scandaloso, mentre i primi volevano impedirglielo con tanto di azione intimidatoria preventiva. Già, perché evidentemente adesso anche l'eresia deve essere certificata. E quindi Di Tullio non va letto, almeno secondo chi detiene verità assolute. Eppure Nessun dolore avrebbe le caratteristiche per essere considerato un esperimento letterario curioso, quanto meno da leggere prima di essere giudicato. In nome, magari, di un immaginario giovanile che certamente è trasversale rispetto alle appartenenze di bandiera. Come fa, per esempio, un quasi trentenne dell'anno 2011 a non volere capire che nesso c'è tra CasaPound e Capitan Harlock? Tra CasaPound e il futurismo? Tra CasaPound e Che Guevara? Perché i ribelli degli anni Duemila non vanno oltre alle apparenze, interrogandosi, per proseguire negli esempi, su quei manifesti di CasaPound che ritraggono Che Guevara o Rino Gaetano? E andando oltre le immagini, al colore: è mai possibile che chi si professa no global non faccia per una volta i conti col pensiero di Ezra Pound solo perché fascista? Un vero peccato se pensiamo che diversi tra i censori dello scrittore caro a CasaPound fanno parte di quel popolo che lo scorso inverno aveva contestato la riforma Gelmini. In molti ricorderanno le sagome di cartone che rappresentavano copertine di libri, con tanto di nomi di autori "politicamente scorretti". È forse questa l'immagine che ha suggerito, successivamente, a Roberto Vecchioni un verso della sua canzone Chiamami ancora amore: «Per tutti quei ragazzi che difendono un libro, un libro vero/ così belli a urlare nelle piazze perché stanno uccidendoci il pensiero». Quei libri difesi nelle piazze, utilizzati come scudi in difesa dalle cariche, erano libri di Pier Paolo Pasolini, di Hakim Bay, il teorico delle T.A.Z. (non è una sorta di permanente "Temporary autonomous zone" forse anche CasaPound?), Nanni Balestrini, Platone, Petronio, Elsa Morante, Albert Camus e altri. Tutti nomi che indicano una vocazione alla cultura, quindi al dialogo. Se una parte di questa generazione predica bene, citando gli autori sopra elencati, va da sé che non può agire all'inverso, inneggiando a una sorta di repressione poliziesca contro un romanzo ritenuto "non allineato".
Ad ogni modo, al di là della questione delle responsabilità, tutto sommato non secondaria, ci si chiede a chi giovi questo clima di tensione, così stereotipato e fuori tempo. La facciano finita i paladini dell'antifascismo militante, col dirsi eredi dei partigiani, perché questa non è una guerra civile. È una situazione che semplicemente non coinvolge, non appassiona l'opinione pubblica: è decontestualizzata, per utilizzare un termine in voga nel '68. Non ha nessun nesso con i nostri tempi, non intercetta la o le questioni giovanili "vere". Non si rivolge ai tanti giovani precari in cerca di un lavoro stabile, per menzionare un problema serio. Non presta attenzione ai bisogni, né ai gusti, né alle tendenze, né alle culture giovanili. È un deja vù privo di contenuti, e anche di bellezza. Che tristezza facevano quei quasi trentenni, ammantati di kefiah e sciarpe di lana, con giacche verdi militare che sanno di vecchio, di antico, come certi slogan. Tutto molto anti moderno, non contemporaneo, inguardabile, anti estetico, come quei bastoni in orizzontale in prima linea e i caschi indossati in attesa dello scontro.
Tutti così pronti a farsi ingabbiare all'interno di categorie superate. Forse si tratta di una sorta di gioco propedeutico a certi registi cinematografici degli anni Novanta e Duemila, per cui o si è "compagni" o "fasci", "fighetti" o "sfigati", "truzzi" o "metallari". Semplice no? Grosso modo, anche secondo alcuni sociologi, o si apparteneva a una tipologia di giovane o a un'altra. I giovani di questi tempi hanno le loro categorie, oppure questo è il segno tangibile del bipolarismo - berlusconismo? - imperante, che annichilisce i non allineati?
Senza tenere conto di un altro punto di vista, squisitamente politico: l'usuramento di certe categorie. Ogni epoca e ogni cultura si sono rappresentate mediante una specifica costruzione del tempo. Entrando nello specifico: l'epoca del trionfalismo progressista, per esempio, ha riproposto all'infinito un tempo astratto, linearizzato ma privato di origine.
Una postura malinconica verso i "bei tempi andati", che ha oggi per protagonisti questi giovani "fasci" e "compagni" degli anni Duemila, in cerca dello scontro con trent'anni di ritardo. Una specie di utopia regressiva che giunge fino alla negazione radicale e reazionaria della modernità. In questo scacco di immaginario può essere rintracciato il principale segnale di egemonia del pensiero progressista, che ha contaminato finanche la nostalgia neofascista, dopo un periodo di forti oscillazioni (sul quale non a caso è caduto l'oblio), schieratasi alla fine a destra e non a sinistra. Ciò è accaduto non certo perché il fascismo a cui i neofascisti si ispirarono - il fascismo ultimo della Rsi - fosse più di destra che di sinistra. Tutt'altro. Ma oggi si registra più che altro una crisi generale di certi modi di intendere la politica, e non solo ovviamente, in senso dicotomico: un dato che riguarda non solo l'asse destra-sinistra, comprese anche certe declinazioni radicali, ma anche l'ecologismo moderno, oppure in pensiero federalista incarnato dalla Lega Nord e dal Movimento per le autonomie. Le ideologie sono crollate, in un quadro politico non solo italiano, in cui è sempre più difficile avvertire la differenza sostanziale fra i poli in gioco, fra le "destre" e le "sinistre": la distanza minima, ad esempio, che separa repubblicani e democratici negli Stati Uniti o il laburismo liberista dal liberismo tout court in Europa. Quali sono i loro valori? Ma perché: esistono ancora i valori? Una domanda che, probabilmente, i giovani protagonisti degli scontri palermitani di qualche giorno fa non si sono posti.
Giovanni Tarantino
Articolo di Giovanni Tarantino

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