giovedì 5 maggio 2011

Carriera criminale di Clelia C., se leggere Gomorra non basta...

Dal Secolo d'Italia del 5 maggio 2011
Diciamolo chiaramente: se la trentenne Nunzia Stolder, figlia di boss e in quanto tale prontamente ribattezzata Lady Camorra, piuttosto che candidarsi alla municipalità di San Lorenzo Vicaria (Na) con il Pdl, si fosse proposta nelle liste del Pd o, meglio, di Sel, nessuno avrebbe posto alcuna questione di “opportunità”.

Al contrario: l’avrebbero promossa all’istante icona dell’affrancamento delle giovani leve progressiste dalla criminalità organizzata, testimonial ideale per una storia di riscatto. Così, del resto, è stato presentato Ferdinando Giordano, il concorrente dell’ultima edizione del Grande Fratello anch’egli figlio di un camorrista, che non a caso si è classificato secondo, sfiorando per una manciata di televoti la vittoria finale.
Entrambi sostengono di non avere alcun rapporto con la Camorra, con la differenza neanche tanto trascurabile che schierarsi politicamente contro la criminalità organizzata richiede un tantino di coraggio in più rispetto alla pur legittima ambizione di entrare nel mondo dello spettacolo. «Mi candido perché vorrei che i giovani capissero che esiste un’alternativa alla camorra – ha dichiarato la Stolder – e che debba essere intrapresa per combatterla». Non è facile, certo, ma «creando opportunità per i giovani – spiega – può realizzarsi il necessario cambiamento di mentalità».
Concetti espressi con altrettanta chiarezza nella prefazione e nella postfazione di una graphic novel appena arrivata nelle librerie italiane – Carriera criminale di Clelia C. (Black Velvet editrice, pp. 170, € 16) – rispettivamente firmate da Raffaele Marino, procuratore aggiunto al tribunale di Torre Annunziata, e Luigi Bernardi, in passato editore di storiche riviste a fumetti, scrittore e ora autore di questa avvincente storia di camorra al femminile.
«Il sistema camorra – scrive Marino – può contare su un’omogeneità culturale che detta, in particolare tra i giovani, stili di vita e modelli sociali che trovano consenso nella fascia grigia, in quella società che camorristica non è, ma che convive con la camorra e la accetta, che non si ribella perché aspira ad avere lo stesso vestito griffato e lo stesso motorino truccato dei camorristi».
Una realtà che viene rappresentata fedelmente in questo romanzo a fumetti “preparato” da Luigi Bernardi con anni e anni di approfondito “studio” del fenomeno. Ne è venuta fuori una docufiction degli ultimi tre decenni di storia della malavita napoletana, tutta un’altra musica rispetto all’Italia criminale raccontata dai giallisti che, malgrado rivendichino la connotazione realistica dei loro romanzi, «non ha nessuna attinenza con le notizie della cronaca e il come e soprattutto il perché si uccide nella vita di tutti i giorni». Questo, almeno, è il parere di Bernardi, che spiega: «Nei gialli l’omicidio ha un movente, le indagini procedono, più o meno speditamente, e il colpevole paga, il tutto secondo i canoni di una realtà ideale, coincidente con una sorta di idealità narrativa consolatoria. Una finzione così convincente, nelle intenzioni, da proporsi come modello di indagine sociale». In Carriera criminale di Clelia C., invece, l’autore si concentra sugli «aspetti che raramente ottengono i titoli dei giornali, ovvero sul come la criminalità faccia presto a ripulire il denaro, investendolo in lucrosi affari immobiliari e nell’altrettanto remunerativo impiego borsistico».
Nel quadro desolante tratteggiato da Bernardi sconfiggere la criminalità organizzata diventa ogni giorno più difficile, proprio perché si muove disinvoltamente nell’economia “pulita”, quella in cui investe i sempre più imponenti profitti raccolti nei settori più diversi, ben più in fretta di qualsiasi accertamento investigativo possa essere disposto. «Al di là dei successi episodici, importanti ma troppo spesso sopravvalutati dagli inquirenti e dalla stampa – avverte l’autore reggiano – per sconfiggere definitivamente le organizzazioni criminali bisognerebbe ricorrere a una drastica mutazione genetica: cambiare l’uomo e le sue attitudini».
L’uomo e, ovviamente, le donne, che non sono solo quelle che piangono i loro morti o cercano di intralciare le forze dell’ordine durante arresti e requisizioni. Che le donne rivestano un ruolo importante nella camorra, del resto, non è una novità e lo dimostrano le tante mogli, sorelle, vedove che si sono fatte capoclan: da Rosetta Cutolo, sorella di Don Raffaele, a un’altra Rosetta, Rosa Petrosino, da Carmela Marzano, moglie dell’ex boss di Forcella Luigi Giuliano, a Maria Licciardi, da Anna Mosti, vedova di camorra, a Ermelina Pagano, moglie di Raffaele Amato, arrestata lo scorso 16 aprile.
E agguerrita quanto priva di scrupoli è Clelia C., la protagonista della grapich novel disegnata da Grazia Lobaccaro con le fattezze di «una brutta che piace, interessante, intelligente, sexy femminile ma dura». Figlia adolescente di un avvocato al servizio della camorra, dopo l’assassinio del padre da parte di una banda avversaria, intraprende una vera e propria carriera all’interno dell’organizzazione criminale: sei tappe che scandiscono i tempi dell’epopea delittuosa di questa “camorrista controvoglia”, sei omicidi perpetrati in anni diversi attorno ai quali ruotano soldi, sesso, ricatti, guerre di bande, avvenimenti storici e quotidiani. La prima volta che Clelia uccide, per un “gioco” finito male, siamo all’alba degli anni Ottanta e lei è ancora una ragazzina. «Era il 29 aprile 1981, il giorno che non avrei mai potuto dimenticare. Il giorno in cui ero diventata donna e assassina». Quando lo fa per l’ultima volta – nel 2020, in un’Italia futuribile ma verosimile – la scalata può dirsi completata ed è stabilmente a capo di quel sistema che ha disprezzato da giovanissima (la stessa Clelia ha letto Gomorra e si è fatta autografare il libro dall’autore) e di cui ha imparato a servirsi per placare il desiderio di vendetta prima e la sete di potere dopo. Usando ogni mezzo: il corpo e il sesso, un sofisticato e tecnologico esercito personale, abilissimi quanto spregiudicati consulenti finanziari e connivenze d’ogni genere. «Un viaggio in quella parte di società – scrive Bernardi – che ha preferito fondersi con il potere criminale non per resa o paura, quanto per puro guadagno e interesse personale».
Il personaggio è di fantasia, ma la storia è basata su fatti reali: i legami tra la camorra e le brigate rosse, le continue faide di camorra in cui la vendetta è il sentimento dominante che si autoalimenta di esecuzione in esecuzione, il business della ricostruzione del dopo terremoto, le estorsioni, l’usura, la droga, gli affari immobiliari, le transazioni internazionali. La camorra viene fotografata per quella che è: una rete capillarmente radicata sul territorio, in grado di infiltrasi ovunque e condizionare le scelte e soprattutto capace di adattare le proprie strategie criminali ed economiche in base alle convenienze del mercato, di investire e reinvestire all’estero i guadagni illeciti, di creare e servirsi di società che li assistano nelle più complesse attività economiche e finanziarie, di usare internet per non farsi intercettare.
Un libro che aiuta ad aprire gli occhi e a non cullarsi sui facili trionfalismi dopo le episodiche battaglie vinte, perché la guerra è ancora tutt’altro che finita. «Bisogna riflettere sull’inquietante ammonimento che deriva da queste pagine – scrive il procuratore Marino – perché stiamo davvero danzando sull’orlo di un vulcano e c’è il serio e concreto rischio che un’onda nera, un magma infernale fatto di monnezza e malapolitica, di camorra e malasanità, ci travolga tutti, senza distinzioni: una grande livella di de curtisiana memoria che resetta tutto». Altrimenti il finale scritto da Bernardi, quello di un’Italia in cui il predominio mafioso diventi irreversibile, rischia davvero di essere l’unico possibile.
Roberto Alfatti Appetiti

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