martedì 10 maggio 2011

Il calcio visto dalla Spagna: in "Fuori campo" González analizza gli italiani attraverso le lenti... di un derby (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia del 10 maggio 2011
In copertina un paio di occhiali scuri, simili a quelli che indossava Pier Paolo Pasolini. Negli specchi, al posto delle classiche lenti, due palloni da calcio, di quelli antichi, con i rombi bianchi e neri. Immagine indovinata: è la storia recente del nostro calcio vista con gli occhi di un giornalista spagnolo. Fuori campo, un libro di Enric González, traduzione di Luigi Cojazzi, pubblicato dalla casa editrice Aisara di Cagliari (pp. 270, euro 17). Il sottotitolo è Cronaca tragicomica dell'Italia attraverso il calcio, ma non si tratta di semplice cronaca.  


C'è un approccio antropologico, che tiene conto delle strutture sociali del nostro Paese, che indaga e non si ferma alle apparenze, che va a fondo nelle storie, sviscerandole fino a trovare le radici della contrapposizione meneghina tra bauscia e casciavit, giusto per fare un esempio, oppure per provare a raccontare la romanità attraverso le facce di Francesco Totti e Paolo Di Canio. Sviscerandolo anche solo per ricordare cosa era e cosa faceva Luciano Moggi già prima del biennio 2005/2006, periodo altrimenti noto come quello di Calciopoli.
Enric González è nato a Barcellona nel 1959. È una prestigiosa firma del quotidiano El País e ha lavorato come corrispondente a Londra, Parigi, New York, Washington e Roma. Da queste esperienze sono nati i suoi libri Historias de Londres, Historias de Nueva York e Historias de Roma. Nel 2009 è stato insignito del premio giornalistico Francisco Cerecedo con la motivazione che «González realizza nei suoi articoli una diagnosi critica e fedele alla realtà del giornalismo, e lo fa con una proposta personale, indipendente e appassionata». Cosa vede attraverso i suoi occhiali? Quello che vediamo pure noi, che pure in certi errori continuiamo a ricadere. C'è un calcio fatto di passione e violenza, «denaro e follia che è anche un complesso meccanismo di simboli, un codice sociale e, alla fin fine, un linguaggio con cui un Paese antico e scettico esprime la sua vecchia saggezza … la cronaca disordinata e tragicomica di una società capace di sopportare tutto, tranne una sconfitta al derby».
C'è però anche una confessione, da parte di González, che rivela il suo metodo di lavoro e non solo: «A volte uso le pagine di sport per raccontare cose sull'Italia che non trovano spazio in altre sezioni. È strano, però con il tempo, e senza sapere perché, si finisce per consegnare il proprio cuore al calcio italiano».
Quasi un'ammissione di colpa, quella dell'autore, se si considera il fatto che gli anni di calcio nostrano da lui osservati sono quelli che vanno dal 2003/2004 fino al 2006/2007, con altre due rapide incursioni, in sequenza, nel 2009. Che anni sono quelli che racconta il giornalista spagnolo? Forse alcuni tra i peggiori. Sono gli anni che precedono di poco il già menzionato scandalo della primavera-estate 2006 che, come logica conseguenza, secondo González, porterà alla vittoria dei Mondiali di Germania. Ha i suoi eroi positivi, le sue preferenze che manifesta senza troppi giri di parole: il corrispondente di El País parla di Cassano come di un poeta, «bisogna goderselo finché si è in tempo», indica Totti come il «miglior calciatore al mondo», parla di Del Piero come di un giocatore «che ha qualcosa in più», critica aspramente Materazzi, elogia la grinta di Gattuso. Affronta le questioni relative agli ultras, e attraversa il periodo del fango, deride le tesi di complotto ordite da una parte della tifoseria juventina dopo le penalizzazioni che hanno portato i bianconeri in serie B, con la revoca dei due scudetti. Non risparmia l'Inter e i tanti investimenti sbagliati di Massimo Moratti, parla con una certa enfasi del bel gioco del Milan che, proprio nel suo primo anno di corrispondenza dall'Italia, vinceva il suo diciassettesimo scudetto, l'ultimo prima di quello conquistato aritmeticamente lo scorso sabato. Sa che il Milan di Sacchi è stata una squadra di portata rivoluzionaria. Non disconosce la poesia del calcio italiano - cita "ad hoc" Roberto Baggio e Gigi Riva - né la storia fatta anche di sventure granata che vanno dal Grande Torino a Gigi Meroni. Tecnicamente González ci racconta una storia che sappiamo già. Sarebbe sbagliato, tuttavia, porgersi con ostilità dinnanzi a questo lavoro, con la pretesa, tipica di un certo tipo di italiano, di non avere bisogno di avere spiegato il proprio calcio da un osservatore spagnolo. Anche perché Fuori campo offre uno spunto di riflessione inedito. L'autore si è impadronito di certe storie meglio di molti italiani, le racconta e le rende sue. Affonda le sue conoscenze nell'antropologia del calcio italiano, uno sport che non è e non potrà mai essere soltanto tale, tante sono le contaminazioni che lo hanno reso altro. Che lo hanno reso linguaggio, come sosteneva Pasolini, che lo hanno mutato quasi totalmente in fattore di business, scatenando una guerra per i diritti televisivi. Che sicuramente, guardando in retrospettiva, lo hanno fatto storia. Che lo hanno reso, in definitiva, un fatto sociale.
Giovanni Tarantino

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