giovedì 2 giugno 2011

Liberismo vs/ liberalismo, quell'eterno derby in nome della libertà (di Pier Paolo Segneri)

Articolo di Pier Paolo Segneri
Dal Secolo d'Italia del 2 giugno 2011
Il dibattito tra liberismo e liberalismo torna a essere argomento per le prospettive politiche future. È un dibattito che ha una sua ciclica attualità. Ma da dove nasce questa diatriba apparentemente insanabile? Risale addirittura al dibattito avvenuto, agli inizi del Novecento, tra Benedetto Croce e Vilfredo Pareto.  
Come sappiamo, la teoria liberale si fonda, essenzialmente, sulla garanzia delle libertà fondamentali dell'essere umano, sul legame indissolubile tra libertà e responsabilità individuale, sulla dignità della persona, sullo Stato di diritto, sulla legge uguale per tutti, sulle limitazioni del potere, sulla separazione dei poteri, sulla libera concorrenza, sulla laicità dello Stato, sulla lotta ai monopoli, sull'equità fiscale e sociale, sull'uguaglianza delle opportunità, sulla difesa delle minoranze, sull'interdipendenza, sulla società aperta, sui meriti e sulla circolazione delle idee.
A proposito della definizione che si può dare del liberalismo, acquista una rilevanza politica assai interessante il dibattito sorto sui concetti di liberalismo e liberismo, con i conseguenti risvolti pratici. Si trattò di una controversia intavolata, nel 1928, da Benedetto Croce e Luigi Einaudi. In quell'anno, infatti, intorno al tema della libertà politica, si aprì una discussione molto appassionante tra i nostri due maggiori studiosi del pensiero liberale.
Mentre Croce ritiene che il liberismo sia una mera massima empirica, Einaudi tenta di indagare anche la "religiosità" del liberismo e del liberalismo economico. Sul numero di marzo-aprile 1931 della rivista La Riforma Sociale, infatti, il futuro presidente della Repubblica scrive: «La libertà di pensare è dunque connessa necessariamente con una certa dose di liberismo economico. La concezione storica del liberismo economico dice che la libertà non è capace di vivere in una società economica nella quale non esista una varia e ricca fioritura di vite umane vive per virtù propria, indipendenti le une dalle altre, non serve di un'unica volontà. In altri termini, e per non lasciare aperta alcuna via al rimprovero di far dipendere la vita dello spirito dall'economia, lo spirito libero crea un'economia a se medesimo consona e non può creare perciò un'economia asservita a un'idea, qualunque essa sia, imposta da una volontà per definizione e per ragion di vita, intollerante di qualsiasi volontà diversa. Lo spirito, se è libero, crea un'economia varia, in cui coesistono proprietà privata e proprietà di gruppi, di corpi, di amministrazioni statali, coesistono classi di industriali, di commercianti, di agricoltori, di professionisti, di artisti, le une dalle altre diverse, tutte traenti da sorgenti proprie i mezzi materiali di vita, capaci di vivere, se occorre, in povertà, ma senza dover chiedere l'elemosina del vivere ad un'unica forza, si chiami questo stato, tiranno, classe dominante, sacerdozio intollerante delle fedi diverse da quella ortodossa».
Secondo Croce, invece, gli economisti sarebbero mossi (o accecati) dal «principio del liberismo», finendo con l'oscurare le loro stesse teorie. Einaudi ritiene che, credendo questo, Croce prenda un colossale abbaglio. E così è come se i due contendenti cercassero di avere ciascuno ragione dell'altro senza rendersi conto di trovarsi su due piani differenti: il filosofo tutto intento ad indagare la «religione della libertà», minimizzando il piano empirico e storico del liberalismo, e l'economista, invece, giustamente concentrato ad evidenziare l'importanza rappresentata dal buon funzionamento delle istituzioni liberali, che sono il presupposto per l'effettiva libertà delle persone, degli individui, della gente comune.
Secondo Einaudi, di conseguenza, sono le istituzioni liberali a dover creare i presupposti per permettere una solida libertà economica per i cittadini. Senza questa libertà, insiste Einaudi, non si può parlare nemmeno di una piena libertà politica. È difficile non essere d'accordo con lui. Del resto, il pensiero liberale è una filosofia, è un "metodo", non una ideologia. Anzi, il pensiero liberale è anti-ideologico. In questo senso, il filosofo di Pescasseroli dovrebbe averci insegnato qualcosa quando spiegava che le soluzioni individuate dal "metodo liberale" non sono statiche, immobili fisse, ma mutano perché hanno un carattere "storico" e, quindi, possono essere corrette col passare tempo o con il cambiamento delle condizioni sociali e culturali della realtà umana. Insomma, sulla diatriba tra liberismo e liberalismo, siamo in molti ad essere d'accordo con Einaudi, ma aveva ragione Croce.
Pier Paolo Segneri

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