lunedì 25 luglio 2011

Spartacus, l'eroe che piace agli schiavi della modernità

Dal Secolo d'Italia del 24 luglio 2011
«Non serve tremare quando si può far tremare la terra». Parola di Spartaco, lo schiavo che - cento anni prima della crocifissione di Cristo - spezzò le sue catene e, alla guida di un pugno di uomini, dichiarò guerra a Roma, «quando nessun dio e nessun uomo sembravano in grado di minacciare i destini della Città Eterna». Una lezione di coraggio preziosa, la sua, tanto più in un'epoca come la nostra in cui pochissimi hanno il coraggio di cantare fuori dal coro, meno che mai di prendere posizione contro il "potere" e, soprattutto, trarne le conseguenze senza limitarsi all'invettiva.  
Lo fece, al prezzo della propria vita, «il gladiatore che sfidò l'Impero», come recita il sottotitolo di Spartacus, il celebre romanzo storico appena pubblicato, per la prima volta in italiano nella traduzione di Federica Alessandri, da Castelvecchi (pp. 312, € 16). L'autore è lo scozzese Lewis Grassic Gibbon, pseudonimo di James Leslie Mitchell, scrittore assai prolifico malgrado la prematura scomparsa, a causa di un attacco di peritonite, nel 1935 a soli 34 anni. Considerato uno degli scrittori britannici più importanti del Novecento, gran parte della sua "fortuna" è legata proprio all'avventurosa vita di Spartaco e all'epopea di libertà, resa con intensa forza narrativa, che lo vide protagonista, leader amato quanto temuto, nella "traversata" della penisola italica in cui riuscì a sconfiggere a più riprese le apparentemente invincibili legioni romane.
Attorno alla leggendaria figura dello schiavo che divenne prima gladiatore - acquistato da Lentulo Batiato, il ricco proprietario di gladiatori della rinomata scuola di Capua - e poi condottiero, si sono susseguite nel tempo varie produzioni, non solo letterarie. Dal prossimo 25 agosto tornerà sul piccolo schermo - in esclusiva assoluta su Sky Uno - la nuova serie statunitense Spartacus: Gli Dei dell'arena, presentata in anteprima lo scorso 15 luglio all'Ischia Global Film & Music Fest. Si tratta del prequel di Spartacus: sangue e rabbia, la prima stagione (13 episodi) che ha riscosso grande successo in ogni angolo del pianeta e ottimi ascolti anche da noi. Prodotto da Sam Raimi, mette in scena l'antefatto dello schiavo-gladiatore più famoso dell'antica Roma. Un escamotage resosi necessario per coprire il buco provocato dai ritardi nelle riprese della seconda stagione della serie, Spartacus: la vendetta, posticipata per consentire all'attore inglese, Andy Whitfield, di affrontare un serio problema di salute.
Una battaglia, quest'ultima, con un avversario ben più temibile di quelli che spazza via con estrema disinvoltura a colpi di gladio, con effetti talmente splatter da cadere spesso sotto il maglio della censura, e che potrebbero costringere la produzione, incalzata dalle esigenze della serialità, a sostituirlo con il semisconosciuto Liam McIntryre.
Quello del neozelandese, pertanto, potrebbe essere l'ultimo volto di Spartaco, anche se difficilmente riuscirà a cancellare nell'immaginario collettivo la magistrale interpretazione di Kirk Douglas nel film diretto da Stanley Kubrick nel 1960, tratto stavolta dall'omonimo romanzo di Howard Fast (1952) e sceneggiato da Dalton Trumbo, sospettato di filocomunismo e, come tale, finito nel mirino della commissione del senatore Mc Carthy, tanto da doverne eliminare il nome dai sottotitoli di coda. Non mancarono polemiche di segno opposto: il produttore venne criticato per aver finanziato una fondazione riconducibile alla moglie di Francisco Franco, ottenendo così - si disse - la possibilità di noleggiare come comparse per la battaglia finale, a un prezzo irrisorio, truppe dell'esercito regolare (rendendo perfettamente, tra l'altro, le manovre tattiche dell'esercito romano). L'intero film, del resto, venne liquidato come socialmente pericoloso e fatto oggetto di una vera e propria campagna di boicottaggio, almeno fino a quando il presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, lo sdoganò, sostenendo di averlo molto apprezzato.
Sorte per certi versi analoga, quella del presidente e di Spartaco: entrambi animarono grandi speranze dando voce e rappresentanza agli ultimi della terra e tutti e due finirono schiacciati da un destino ingeneroso. Questo, tuttavia, non toglie nulla alla valenza esemplare della ribellione dello schiavo trace. «Nel flusso cieco e dimentico dei giorni e dei percorsi - recitano le parole di James Leslie Mitchell nell'epigrafe al testo - il tuo nome e il tuo scopo non sono svaniti! Nei cieli oscurati dalle nebbie del tempo chiara splende la tua voce come quando guidasti risoluto le orde di schiavi fino alla morte».
Certo, paragonare la precarietà lavorativa ed economica che affligge i nostri tempi alla schiavitù e agli abusi dei soldati romani può apparire azzardato, così come accostare un operatore di call center allo schiavo costretto prima in miniera e poi a battersi in sanguinosi combattimenti qual era Spartaco. Tuttavia ci sono nella sua rivolta, nella sua forza di carattere e nel suo coraggio, gli ingredienti necessari per chiunque non voglia condannarsi alla rassegnazione, al cinismo o all'opportunismo.
«Io so che, finché vivremo, saremo sempre fedeli a noi stessi», dice Spartaco. Alla fine è questo l'insegnamento più prezioso: non arrendersi alle ingiustizie e impegnarsi per cambiare, se non il mondo, almeno il nostro quartiere.
Roberto Alfatti Appetiti

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ed allora anche Spartacus "Uno DI Noi!"