martedì 30 agosto 2011

"Da Giovane Europa ai Campi Hobbit" (l'introduzione di Giovanni Tarantino)

Da Giovane Europa ai campi Hobbit 
(pp. 205, € 10,00, edizioni Controcorrente di Napoli)
Introduzione dell'autore, Giovanni Tarantino
Personalmente non ho mai militato “a destra” e non provengo da una famiglia di destra. Da ragazzino ero forse in qualche modo spontaneamente affascinato da «vaghe idee di socialismo», come cantava Francesco Guccini nella sua Amerigo dedicata a un suo zio con generiche idee di sinistra. E non a caso anche io avevo ereditato quel disco da due miei zii che, a loro volta, negli anni Settanta erano stati militanti di Lotta Continua. Fu comunque nell’estate del ’99, quando ero solo uno studente liceale decisamente contrario all’intervento americano in Kossovo, che appresi, dal periodico Liberal diretto da Ferdinando Adornato, dell’esistenza di un intellettuale francese come Alain de Benoist, principale animatore del Grece, nonché pensatore di spicco di quella che veniva chiamata Nouvelle Droite. Nuova destra: la sigla stessa mi incuriosì. Mi suonava un po’ come quella Nuova sinistra, sia americana che italiana, che negli anni Sessanta-Settanta aveva avviato percorsi alternativi rispetto alla vecchia matrice marxista-leninista. Ricordo ancora perfettamente che de Benoist in quella intervista parlava di superamento dell’asse destra-sinistra e si dichiarava al contempo contrario a qualsiasi forma di estremismo. Per la prima volta le mie poche certezze politiche, che si costituivano su conoscenze davvero assai limitate, subivano una scossa dalle fondamenta. Com’era possibile, mi chiedevo, che ci fosse chi da “destra” si opponeva a quella guerra schierandosi allo stesso modo di Rifondazione comunista e dei Verdi, che pure erano forze politiche di sinistra? In un crescendo di curiosità cominciai a studiare, leggere, cercare materiali, e le sorprese aumentavano progressivamente. Arrivai allora a scrivere a Marco Tarchi, uno dei maggiori referenti italiani di de Benoist, nonché tra i maggiori animatori della cosiddetta Nuova destra nel nostro paese. Mi abbonai dopo poco tempo a Diorama letterario, la rivista che Tarchi ancora oggi dirige, e presi a seguire con interesse il dibattito di idee che gravitava intorno a quella pubblicazione e al numero di collaboratori che animano le sue pagine e i suoi dibattiti. Passa ancora qualche tempo e, nel 2002, per puro caso, mi ritrovo casualmente ascoltatore alla radio, su Rtl 102.5, di un’intervista che Pierluigi Diaco faceva a Umberto Croppi, un altro dei reduci dell’esperienza della Nuova destra, nel 2008 assessore alla Cultura del Comune di Roma nella giunta Alemanno. Se la scoperta e la lettura, formativa e culturale, che feci con Diorama mi aveva detto molto sul piano delle idee, quell’intervista fu illuminante per comprendere quella realtà sul piano del costume, degli atteggiamenti e dell’antropologia che in un preciso periodo aveva animato gli ambienti della destra giovanile. Croppi parlava della passione dei giovani missini per Tolkien e Il Signore degli Anelli, dei Campi Hobbit e del ’77 vissuto “a destra”, fenomeni ai quali su queste pagine sarà dato adeguatamente spazio. La cosa che mi meravigliava di più era però scoprire che Croppi nel suo percorso politico, abbandonando nel ’91 il Msi, di cui era stato dirigente, avrebbe iniziato non una fase di disimpegno ma un percorso politico-culturale in campo aperto, restando comunque coerente con le intuizioni e le idee avviate attraverso la Nuova destra: da un’esperienza in prima persona tra i Verdi, partito per il quale avrebbe ricoperto anche una carica elettiva, sino alla fondazione di “Nessuno tocchi Caino”, l’associazione internazionale che ha l’obiettivo di abrogare la pena di morte nel mondo. Quando qualche tempo dopo ascoltai nuovamente Croppi, stavolta intervistato per una puntata de La storia siamo noi, su Rai Tre, andata in onda nel gennaio 2004 e dedicata alla storia del passaggio del Msi in An (e intitolata appositamente “Dalle catacombe al governo”), decisi che era arrivato il momento di conoscerlo personalmente e gli scrissi. Abbiamo da allora cominciato una interlocuzione (e una collaborazione) via e-mail, che tuttora perdura e grazie alla quale sono riuscito ad avviare e scrivere la mia tesi di laurea, origine e primo nucleo anche di questo libro. Da allora, attraverso un viaggio a ritroso sono approdato al pre-Sessantotto, e così ho avuto l’opportunità di studiare principalmente due movimenti, la Giovane Europa e la Nuova destra, apparentemente diversi tra loro per contesto storico, ambizioni, mezzi e metodi, ma che si sono intrecciati e hanno avuto senz’altro più di qualcosa in comune. Il tentativo di sviluppare nuove sintesi e percorsi possibili oltre i vecchi steccati destra-sinistra, l’abbandono graduale di prospettive considerate anacronistiche come il nazionalismo e lo statalismo, la fuoriuscita dal tunnel del fascismo, l’attenzione a nuovi soggetti geopolitici e un sentire comune “europeo” e di conseguenza un distacco sempre maggiore tra queste componenti e la destra ufficiale, sia quella politico-parlamentare che quella culturale di stampo conservatore, segnano inevitabilmente un filo rosso che congiunge queste due tra le più atipiche realtà del dopoguerra inizialmente originatesi nell’ambito del postfascismo giovanile. E non di meno segnavano l’emergere sul piano dell’immaginario e della società italiana nel suo complesso di una importante “mutazione antropologica”. Inoltre, proprio facendo riferimento al mondo giovanile dal quale queste realtà nascevano, emergeva un dato fondamentale: le pulsioni di chi le animava erano assolutamente contestualizzate nell’ambito dei grandi fenomeni generazionali di due determinati periodi, il ’68 e il ’77, di cui hanno rappresentato espressioni compiute e legittime. Guardare a Giovane Europa e alla Nuova destra ci consente infatti di potere osservare da un’altra prospettiva quali eredità il Sessantotto e il Settantasette hanno lasciato: il lettore si renderà conto che queste realtà si sentivano a pieno titolo parte integrante del proprio tempo. Non è affatto un caso quindi che La Voce della Fogna, primo foglio underground di una Nuova destra ancora in fase embrionale, ospitava a fine anni Settanta interventi di ex esponenti della Giovane Europa, a loro volta provenienti dal Msi, in cui questi raccontavano il “loro” Sessantotto tramandando anche la memoria della militanza in Giovane Europa. È il caso di Luigi de Anna o di Franco Cardini veri e propri “fratelli maggiori” degli animatori della Nuova destra, ma anche del vignettista Alfio Krancic, ex Giovane Europa di Firenze che mosse i suoi primi passi proprio alla Voce della Fogna. Questi rappresentano degli autentici esempi, dei ponti tra due generazioni relativamente al filo rosso cui si faceva riferimento. Giovane Europa e la generazione dei Campi Hobbit hanno quindi rappresentato due fenomeni in cui “da destra” si è stati a pieno titolo espressione del proprio più ampio contesto generazionale. Le vie di fuga furono più d’una: dall’iniziale scoperta dell’europeismo come superamento del nazionalismo patriottardo (tematica partorita intorno alle tesi di Jean Thiriart, il fondatore di Jeune Europe, e poi ripresa con toni e modalità diverse dalla Nouvelle droite di Alain de Benoist e dalla “gemella” Nuova destra italiana), alla scoperta dell’ecologismo e del regionalismo, alle iniziative di aggregazione giovanile come i Campi Hobbit, all’interesse per i diritti civili come la lotta controla pena di morte, all’espressione di un certo antimilitarismo da destra come quello manifestatosi in occasione di alcune guerre “americane” sino alla volontà e alla strategia politico-culturale di “sfondare a sinistra”. Ma c’è anche una continuità estetica: non è un caso se alla ricerca di idee nuove sia seguita una ricerca di simboli e grafiche nuove. Proprio da Giovane Europa proviene, ad esempio, l’utilizzo – in chiave innovativa e in rottura col vecchio armamentario della destra – del simbolo della croce celtica, la cui storia si perpetua anche lungo gli anni dei Campi Hobbit e della Nuova Destra. Oltretutto specialmente negli anni dell’esplosione (anche mediatica) della Nuova destra si delineò in pieno la logica della trasversalità. Lo spiegava così Marco Tarchi, uno dei maggiori animatori della Nuova destra italiana, se non addirittura il principale, oggi affermato politologo: «Dal Movimento studentesco e dai gruppi del dopo-Sessantotto a Comunione e Liberazione e sino alla Nuova Destra, il filo rosso che corre lineare è quello di una connotazione meta politica incarnata da un microcosmo dalle ambizioni comunitarie, o comunque all’interno del quale i rapporti interpersonali appaiono di stile comunitario. Di fronte alla sempre minor presa dei canali istituzionali, sono ormai queste entità (aggregazioni metapolitiche, movimenti generazionali, comunità confessionali, etniche e linguistiche, gruppi di difesa dell’ambiente, associazioni professionali e del tempo libero) a fungere da agenti di partecipazione nella vita associata». Movimentismo e attenzione alla società civile più che ai tradizionaliluoghi della politica come tentativi di via d’uscita, quindi, e probabilmente come modalità nuove e diverse di concepire l’impegno. Ma anche come via d’uscita dal “tunnel” del neofascismo e dalla stessa, pesante, categoria della destra intesa in senso identitario, assoluto e ontologico. Ecco perché ritengo che sia Giovane Europa che la Nuova destra vanno raccontate e spiegate oltre la convenzionale collocazione storiografica all’interno della sola galassia neofascista o postfascista. E semmai, invece, come due espressioni specifiche e particolari – data la matrice di provenienza dei soggetti che le animarono – di due stagioni generazionali della società italiana che possiamo sintetizzare nei due snodi epocali del ’68 e del ’77. Lo spiega bene nel suo saggio Boom il sociologo Fausto Colombo, unificando le varie esperienze del movimentismo giovanile del secondo Novecento all’interno della comune percezione di una unità generazionale di fondo. E utilizzando come esempio paradigmatico l’adozione trasversale del Signore degli Anelli come testo unificante, il sociologo cita espressamente una frase di Gianni Alemanno sui Campi Hobbit: «Era la rottura con la vecchia cultura simbolica del partito (il Msi) e l’affermarsi di un gramscismo di destra che prevedeva l’uso della meta politica per conquistarsi la società civile». Commenta quindi Colombo:
«Si intuiscono la frattura con i politici della destra tradizionale, la voglia di stare insieme, il riconoscersi in una nuova cultura comune. E il riferimento a Gramsci fa capire che fra le due anime che spaccavano i giovani italiani c’erano correnti comuni…». Tanti quindi gli interrogativi a cui, a questo punto, tenta di fornire risposte il lavoro che segue. Quale poteva essere allora la reale dimensione politica di queste realtà che hanno comunque contribuito al rinnovamento dell’area politico-culturale di loro provenienza nel corso degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta? Perché a un certo punto nel bel mezzo degli anni di piombo c’è chi a destra ha cominciato a occuparsi di ecologia, ambientalismo, qualità della vita, diritti civili? E perché giovani che provenivano da destra si ritrovavano sul piano antropologico e sociale nei film di Nanni Moretti che di certo di destra non è mai stato? Oppure: perché e come è nato spontaneamente il fenomeno della musica alternativa? E ancora, perché alcuni di quei ragazzi hanno sentito la necessità di comunicare attraverso le radio libere, dimostrando a tutti gli effetti di sentirsi a pieno titolo parte della propria generazione e di volere uscire dal “ghetto”? Il libro che segue vorrebbe dare risposta a tutte queste domande. Che, nella maggior parte dei casi, convergono su un punto fondamentale e cioè che quelle esperienze giovanili si mossero soprattutto nella consapevolezza di rompere i vecchi perimetri ideologici e categoriali della vecchia politica. E quindi provarono a “sfondare” verso altre mete. Forse pure, magari inconsapevolmente, anticipando il futuro.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo nel 1983. Laureato in Scienze storiche, giornalista professionista, è stato redattore del quotidiano E Polis. Collabora con giornali e riviste nazionali. Attento indagatore dei movimenti e delle dinamiche giovanili, studia l'intreccio tra calcio e cultura popolare.

1 commento:

Dal caos la stella danzante ha detto...

Illuminante presentazione di un 'fenomeno' i cui 'feromoni' avevano, già nel '69 (il '68 italiano), trans-formato l'idea che allora, giovane 'beat', avevo della Destra e che ho 'seminato' nel mio recente "Gocce di pioggia a Jericoacora".
Ecco solo alcuni tralci, con Lorenzo - uno dei due protagonisti principali (l'altra è, invece, di MetaSinistra) - prototipo di quella MetaDestra che, dalla Giovane Europa ai Campi Hobbit, non voleva ridursi a mera riciclatrice di luoghi comuni triti e ritriti (magari all'inizio erano Idee).
"In lui, eclettico puro, assolutamente (e ossimoricamente) relativista (ma in linea con quel buon diavolo di Drieu La Rochelle), convivevano – pacificamente belligeranti nell’estetica dell’azione – l’epopea fiumana e la tradizione romana, Cristo e Buddha, Odino e Thor, il Signore degli Anelli e il Dio degli Eserciti. Dal Sabaoth al riposo sabbatico (mai Black Sabbath, però – black block quel che basta). Elettrico. Elastico. Eletto (prescelto dagli dèi). Prolettico. Profetico. E soprattutto, giovane.
Lorenzo, forever young. Questa la sua profilassi. Giorno dopo giorno, anno dopo anno. E con l’’erba’ che cominciava a crescere (evolianamente, la sua ulteriorità in divenire). Ma Lorenzo non faceva di tutta l’erba un fascio. ‘Fascista’, se si vuole, ma oltre. Più di fantasia che di realtà. Ma non ultrà (su questo lui insisteva, ma si considerava comunque un extra). Oltre la Destra, oltre la Sinistra. Non in mezzo. Su di un altro piano (e un altro pianeta…).
Così in alto, così in basso. In terza posizione. Antesignano del movimentismo giovanile di destra anni ’70 – e post –, di quel gran coagulo di stelle filanti, ferventi e frementi, anelanti (e adelanti) il comunitarismo libertario e l’individualismo anarchico. Galassia antropologicamente colorata, (dis)articolata e (dis)ordinata: tante destre quanti erano i giovani di destra.
Il ‘68 …non solo comunista. Anche fascista. Il diavolo e l'acqua santa, il rosso e il nero. Rozzo ma sincero. Vero. Paradossale, stendhaliano, ma solo fino a un certo punto. Back in Black. Lorenzo aveva scoperto un ‘fascismo’ nuovo. Diverso dalla destra con la forfora (fosse solo questo: “le loro giacche dai colori ridicoli, le cravatte, Dio, che cravatte… le scarpe con la para, la forfora…”), quella ben spazzolata (più di cento colpi…) da Stenio Solinas (“Mai un briciolo di grandezza, mai una scintilla di follia, mai il piacere per le cose belle, sempre per le cose ‘comode’, lo svaccamento in casa nei giorni festivi, il lavaggio della macchina, lui in tuta, lei anche, con in più le pantofole… il mediocre limbo dei borghesi che pensano che questo sia il paradiso.”). Detto poi dal ‘destro’ Stenio, quello per cui: “La cultura del piagnisteo è sempre stata di sinistra”…
Una destra di lotta e di idee, contrapposta alla destra d'ordine e di governo. D’élite ma anche sociale, conservatrice ma pure anarchica, reazionaria ma pronta alla rivoluzione. Anche qui figli contro i padri, fiori (di zucca) contro i cannoni… Una meta-destra metà a sinistra (diciamo pure, trans…). E poi, al calor bianco, nel suo tour ‘iniziatico’ alla Thor Lorenzo aveva scoperto anche un nero (di pelle) tra i fascisti (un eritreo)…"
Nicola Perchiazzi