martedì 13 settembre 2011

In "Pablito mon amour" la storia di Paolo Rossi, icona generazionale dagli anni di piombo al mundial '82 (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia del 13 settembre 2011
Paolo Rossi, il Vicenza, la provincia, gli anni’80, le mode giovanili, il mangiadischi l’Italia: noi. E molto di più. Sono gli ingredienti di un capolavoro che sta facendo parlare di sé: Pablito mon amour, romanzo di Davide Golin (No Reply, pp. 304, euro 12). Tutto ruota attorno alla figura di Paolo Rossi, icona di una generazione che gioiva al Mundial di Spagna’82, ma il cui percorso giungeva dalla «notte» degli anni di piombo, dai quali gradatamente si provava a uscire.
Le parole di Davide Golin sono oro colato: «Nel bacchettone calcio italiano che non fece in tempo a digerire Gigi Meroni, con Paolorossi prende forma la categoria del “giovane” dieci anni dopo il’68, nuovo target per l’industria dei consumi del periodo (…) Rossi, se c’è da ballare Amanda Lear in discoteca la balla, anche se sarà negato. Rossi ascolta i dischi pop. I cantautori Dalla e De Gregori, Venditti e Battisti, Cat Stevens e Simon e Garfunkel. Tra i film sceglie Taxi Driver, adora Bob De Niro. Paolo Rossi coglie lo Zeitgeist. Come i Beatles della Swinging London. Come Bartali nel dopoguerra. Come Maradona a Napoli». Paolo Rossi, del resto, come cantava Venditti «era un ragazzo come noi».
Mentre l’autore del libro, Davide Golin, traduttore freelance che collabora con il Gazzettino, scrive canzoni e canta nei Diva, da ragazzino stava «nell’ACR. Ovvero Azione Cattolica Ragazzi. Al plotoncino dei più giovani dell’ACR era dato il nome di Fiamme Verdi. A comandarlo, Gianmaria … Anche noi Fiamme Verdi con Gianmaria si viveva questa fase post’68 e postconciliare, libertaria e idealista. Anni Settanta, in due parole. Fino a che Gianmaria non fece davvero i bagagli per il seminario a Padova. Al suo posto sarebbe arrivato Ettore, il pupillo dell’arciprete del paese Don terenzio. La leadership di Ettore già faceva presagire gli anni del riflusso: con lui si ristabilì un Ordine Nuovo a base di disciplina, letture di vite dei santi e giochi vagamente paramilitari». Curiosamente la sigla di Ordine Nuovo rispunta nella quarta di copertina, in un elenco di dicotomie eterne e sfide immaginifiche che segnano i tempi: «E a sera, dopo Novantesimo minuto, scendere dal mio amichetto Giangi. Io e lui a giocare con il niente. A polentoni contro terroni, a Gringo della carne Montana contro l’uomo in ammollo, all’omino Bialetti contro Miguel e Carmencita, a Zagor contro gli X-Men, a Brigate Rosse contro Ordine Nuovo e alla fine tutti quanti contro la Juve».
In mezzo, tanto calcio. Il protagonista del libro, il cui io narrante coincide verosimilmente con le esperienze di vita vissuta dell’autore, è un calciofilo assoluto, uno di quelli che negli anni’80 vedeva le partite su Tv Koper Capodistria. Un tifoso del glorioso Lanerossi Vicenza, maglie a strisce verticali biancorosse e una R blu sul petto. Calciofilo al punto tale da affezionarsi anche a colori altrui, con invidiabile spirito fanciullesco: «La Ternana è la mia seconda squadra preferita perché hanno la maglia anche loro bellissima e originale con le righe rosso e verdi e pantaloncini neri, sono gli unici ad averla così, nella Ternana gioca Passalacqua col sette».
L’essenza del calcio andato narrato da Golin segue la citazione di una storica finale di Coppa Italia tra Palermo e Juventus del’79, «vinta ai supplementari indovinate da chi». A quel punto arriva l’elogio degli sconfitti: «Chi sta in piedi a osservare i festeggiamenti degli avversari con lo sguardo stravolto e indosso la maglia dell’avversario appena scambiata, una nuova inedita divisa da disegnare sui quaderni. Chi stremato si siede sul prato a rimuginare su quel passaggio sbagliato, su quel tocco troppo lungo (…) Le bandiere della squadra, i vecchi, vanno comunque sotto dai loro tifosi, ad applaudire e ringraziare. Questa grandezza della sconfitta a un soffio dalla meta e non avere mai vinto niente l’hanno mai veramente provata, fino a che punto la possono capire i tifosi delle squadre metropolitane, le Juventus, i Milan, le Inter eccetera? Neanche la gran parte delle altre provinciali che così in alto da sfiorare la vittoria non è mai arrivata. Sì, il Livorno o il Padova di Rocco, nella notte dei tempi. Neanche il Verona di Bagnoli, che uno scudetto è pure riuscito a vincerlo anche grazie al sorteggio integrale degli arbitri – prassi mai più ripetuta. Mi spiace per voi cuginastri. Mi spiace per voi tutti. Noi arriveremo secondi in campionato, giocando il miglior calcio del campionato. Non abbiamo bisogno di vincere, noi. Perdere vincenti, vincere perdendo. Noi siamo l’Olanda». Letteratura calcistica frammista a un immaginario che risulterà caro a tanti lettori: Morrisey e gli Smiths, i Genesis, gli Yes, Rino Gaetano, Vasco Rossi, il punk, Kraftwerk e Joy Division, La banda del trucido con Tomas Milian, Napoli violenta con Maurizio Merli, Emanuelle in America, Re Cecconi, Aldo Moro e Vermicino, Alan Ford, Intrepido e il Guerin Sportivo. Un libro da godere e basta. Un Pablito così non l’avevamo mai letto.
Giovanni Tarantino

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