mercoledì 9 novembre 2011

I segreti del Barcellona e del suo calcio-champagne in un libro di Modeo (di Michele De Feudis)

Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di martedì 8 novembre 2011
Tutto ha inizio con la notte di Wembley del 28 maggio 2011. Nel tempio del calcio inglese il Barcellona superò il Mc United e si aggiudicò la Coppa Campioni. Finì 3 a 1 per i catalani guidati da Pep Guardiola. La finalissima certificò lo strapotere planetario del modello praticato dai blaugrana, una filosofia in grado di esaltare il talento dei singoli in una organizzazione di gioco estrema, ultima reincarnazione del "calcio totale", un credo che affonda le radici nelle intuizioni di Rinus Michels e Johan Cruijff. Quella partita rappresentò un segno perenne, come se qualcosa si fosse "spostato nel cuore delle cose" (la citazione è di William Gibson in Neuromante).


Il Barça (pp. 195, euro 13,90, edito da Isbn) di Sandro Modeo - scrittore già autore de L'alieno Mourinho, a suo agio sulle pagine del Corriere della Sera sia alle prese con temi scientifici che culturali o sportivi - è un libro che cambierà per sempre il giudizio nei confronti della saggistica legata al calcio. L'opera in questione, una brillante sintesi di letteratura e saggezza pallonara, non consentirà più a nessun Solone schizzinoso sulla domenica sportiva italiana di minimizzare la portata di un fenomeno che unisce insieme liturgia, identità territoriali, strategia bellica (gli allenatori non sono altro che generali alle prese con la disposizione delle proprie armate vestite con pantaloncini e magliette) e romanticismo legato ai campioni, eroi pop del nostro tempo. Non a caso anche l'inserto domenicale del Sole 24 Ore ne ha tessuto le lodi con una recensione di Pino Donghi, evidenziando come «se vuoi disseminare cultura alta non è necessario usare un linguaggio per iniziati e scegliere un tema marginale e inattingibile ai più».
Il Barça è rivolto non solo agli innamorati del "tiki-taka" elaborato da Guardiola ma anche ai dirigenti dei club della serie A italiana che, oltre a pronunciare sterilmente elogi della "cantera" catalana, non si sono mai soffermati sulla profondità del rinnovamento culturale che sostanzia gli ultimi stratosferici successi di Messi e compagni. Come ricorda nell'introduzione Paolo Condò, inviato de La Gazzetta dello Sport stabilmente al Camp Nou, non è possibile comprendere la portata innovativa dell'undici di Guardiola se non lo si studia da vicino, fino a rimanerne contagiati dall'euforia tutta mediterranea: «Nelle lunghe attese delle conferenze stampa di Guardiola l'allegria del clima ricorda una scena culto del cinema moderno, la cantina di Guerre Stellari nella quale un crogiuolo di razze si beve assieme una birra, o quello che è. Poi entra Pep, cala il silenzio, e una quantità di cronisti felici si mette ordinatamente in coda per porre una domanda. Felici, certo: il calcio buono - e questo è buonissimo - rende migliore la vita».
Il pensiero universale che sottende il gioco del Barcellona è analizzato da Modeo come il risultato dell'innesto di disciplina olandese in un humus che sembra realizzato appositamente per esaltare genialità individuale: «L'avanguardia culturale e calcistica del Barça - scrive l'autore - in questa prospettiva è un'applicazione particolare di quella catalana, orgogliosa della propria officina autoctona (la cantera) e consapevole di dover tutto alla propria apertura selettiva, cioè al trapianto di calcio olandese avvenuto all'inizio degli anni '70 col Generale Michels e con Cruijff come giocatore totale».
Ormai siamo alle prese con una corrente di pensiero calcistico che ha contagiato il mondo. «Un dato su tutti impressiona: la presenza, a ogni match casalingo del Barça, di 9000 "turisti", tedeschi, russi, giapponesi, provenienti da ogni dove, che incentrano i loro "weekend lunghi" in Catalogna sulla visita al Camp Nou, non meno importante - commenta Modeo - di quella alla Sagrada Familia o al Museo Picasso».
Fondendo neuroscienze con storiografia regionale iberica, schemi tattici e "team building" con analisi antropologiche, Il Barça radiografa uno stile, simbolo di una scelta controcorrente in anni di nichilismo (anche calcistico) imperante: «Continuare a credere all'utopia, tenere aperto lo sguardo su un'altra dimensione senza pretendere che si sostituisca alla nostra». Nella trattazione, impreziosita da una prosa raffinata che rende sempre piacevole la lettura, non mancano aneddoti e ritratti dei protagonisti: da Cruijff ai vari allenatori fino alla "Pulce", Leo Messi, in grado di sconfiggere nell'adolescenza un grave deficit ormonale legato alla crescita: «Vedere giocare Messi emoziona e commuove, da un lato, proprio perché si vedono condensati in lui - al massimo grado - tutti gli esemplari della specie: tutte le farfalle che hanno rischiato di restate congelate in crisalidi».
Scrive Irvine Welsh, scrittore scozzese autore di romanzi di successo come Trainspotting e Una testa mozzata, nella postfazione: «Ogni appassionato di calcio, non importa per quale squadra faccia il tifo, deve ritenere una fortuna e un privilegio poter osservare la magnifica squadra di Guardiola, con il genio di Messi e i suoi degni compari. Il Barcellona ci divide automaticamente in puristi contro pragmatici. Facendo parte della prima categoria, mi auguro che se una squadra riuscirà a superarli, lo farà giocando un calcio migliore - impresa epica - piuttosto che cercando un modo per soffocare il loro gioco maestoso».
Michele De Feudis

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