sabato 5 novembre 2011

Shanghai Devil, la rivolta dei boxer raccontata in un fumetto (intervista a Gianfranco Manfredi)

Dal Secolo d'Italia del 5 novembre 2011
«Bonellanza». Così Oreste del Buono, l’intellettuale cui si deve, più che a ogni altro, lo “sdoganamento” dei fumetti e della cultura popolare, definiva l’inconfondibile stile della Sergio Bonelli editore: l’attenzione quasi maniacale alla qualità dei contenuti e il confronto continuo con i lettori. L’onere di leggere le tante leggere che da sempre arrivano in redazione e, all’occorrenza, di rispondere dalle seconde pagine degli albi, era appannaggio esclusivo del grande capo. Ora che Sergio se n’è andato e che il timone è passato nelle mani del figlio Davide, a presentare le nuove pubblicazioni saranno i suoi collaboratori.

Poche parole, quelle scritte sul sito ufficiale della casa editrice milanese, ma significative: «abbiamo imparato da Sergio che i fumetti non sono e non devono essere degli esigui “sogni di carta”, letteratura di scarso valore destinata a un pubblico disattento e superficiale». Ancora più delle parole, poi, dicono i fatti e a confermarne spirito e vitalità è arrivata in edicola Shanghai Devil, la nuova serie in diciotto “uscite” mensili ideata e scritta da Gianfranco Manfredi e fortemente voluta da Sergio Bonelli in persona.
L’argomento, spinoso e purtroppo sin troppo attuale, è quello delle guerre coloniali, inaugurato dall’autore in Volto nascosto, di cui la nuova collana è l’atteso sequel, anche se l’ambientazione è stata trasferita dal tardo Ottocento romano (e nordafricano) alla fine dello stesso secolo in Cina. Qui, nel primo numero, Il trafficante d’oppio (disegni di Massimo Rotundo), ritroviamo il protagonista, il giovane romano Ugo Pastore, appena sbarcato nel continente asiatico per aiutare il padre Enea, rappresentante della compagnia commerciale Caput Mundi impegnato in complesse trattative commerciali. Al di là degli estemporanei Speciali, è la prima volta che una miniserie Bonelli vive una specie di “seconda stagione”, anche se la serie è indipendente rispetto alla precedente. Ora siamo nella Cina del 1897 a Shanghai, uno dei porti più importanti della regione, un luogo in cui si incontrano/scontrano la cultura occidentale e quella orientale. Non si tratta solo di usi e costumi diversi, in palio ci sono interessi economici e per aggiudicarsi una posizione di dominio nel commercio di spezie, stoffe e materiali, le compagnie non si fanno scrupolo a giocare sporco. Non solo: nei territori a loro assegnati, le potenze occidentali si macchiano di comportamenti apertamente vessatori nei confronti della popolazione locale e Ugo si ritroverà, suo malgrado, coinvolto nella famosa Rivolta dei Boxer del 1900.
Mai evocata sinora in un fumetto, quella che di fatto possiamo definire come la prima Guerra Mondiale – perché ha visto coinvolte tutte le principali potenze dell’epoca, da quelle europee agli USA, dai britannici al Giappone – ha registrato poca fortuna anche al cinema (se si esclude 55 giorni a Pechino di Nicholas Ray). I boxer, come suggerisce il nome, sono i ribelli indipendentisti che, fedeli agli insegnamenti delle antiche scuole di arti marziali, combattevano a mani nude e talvolta con le armi sottratte agli invasori occidentali. Stufi di subirne la fagocitante presenza, i boxer inizialmente presero di mira le missioni cristiane per poi scuotere le fondamenta stesse dell’Impero, già destabilizzato dalla crisi economica e da aspri conflitti dinastici. Storia e finzione, ovviamente, s’intrecciano e i personaggi creati dalla fantasia di Manfredi interagiscono con quelli realmente esistiti, come Chuang Lai, il capo dei ribelli boxer. Rigoroso monaco shaolin e guerriero valoroso, non è stato affatto un sanguinario come spesso è stato dipinto «e proprio per rimarcare la sua distanza dal modello del “supercattivo” Fu Manchu – spiega Manfredi – ci siamo liberamente ispirati al popolare attore cinese Jet Li, interprete di Once Upon a Time in China». “Reale” è il giovanissimo imperatore Kuang Su (1871-1908), la cui passione per la Storia dell’Impero Romano offrirà a Ugo nel secondo numero – La città proibita, in edicola dal 10 novembre – la possibilità di introdursi a corte ed entrare nelle grazie dello stesso. Quando apprende dai servizi segreti britannici che è in preparazione un attentato alla vita di Kuang Su, Ugo decide di battersi senza esitazione per sventarlo. L’impresa si rivelerà molto più difficile del previsto e il nostro indosserà la maschera d’argento di Volto Nascosto diventando il “diavolo di Shanghai”. Altrettanta determinazione ha mostrato Manfredi nel non arrendersi agli stereotipi – i cinesi, che vivano ai confini del Tibet o della Mongolia, sono tutti uguali! – e nel non voler cedere quote eccessive di fiction in favore di ricostruzioni didascaliche e, in quanto tali, noiose. Consapevole della scarsa conoscenza che gli occidentali hanno di una cultura che conoscono poco, ma anche della facilità con cui i lettori possono documentarsi su internet e smascherare in un click trucchi letterari troppo evidenti.
«Ho evitato la scorciatoia di rappresentare i cinesi come cospiratori per indole e nemici dell’umanità a prescindere, come il richiamato Fu Manchu o lo spietato Ming, nemico giurato di Flash Gordon. Si tratta di semplificazioni ormai inaccettabili, ereditate da una vecchia visione colonialista. Ho cercato – ci spiega Manfredi – di restituire una varietà di ambienti e realtà molto diverse tra loro, personaggi verosimili e coerenti con la storia, ma senza trascurare il potenziale avventuroso e senza squarciare del tutto il lato misterioso che è componente essenziale della fascinazione cinese. A ben guardare anche il cinema cinese – spiega – incede nell’avventura epica e persino nella favola folklorica piuttosto che in una ricostruzione storica puntuale e dettagliata».
La Cina, del resto, offre location suggestive e sapori salgariani – architetture spettacolari, deserti, fiumi, montagne, città moderne a poca distanza da villaggi desolati – ideali per il grande schermo e un po’ meno per il fumetto, se non altro per l’assenza dei cosiddetti effetti speciali.
«Purtroppo il cinema epico in occidente non esiste più da parecchi anni – ci dice Manfredi – ma i fumetti presentano un invidiabile vantaggio: costi di produzione decisamente più bassi. Perché ripiegare nell’intimismo delle piccole storie individuali quando si hanno a disposizione scenari ben più suggestivi, peraltro radicati da decenni nel nostro stesso immaginario di ragazzi cresciuti a pane e Bruce Lee?».
Lo stesso Sergio Bonelli, presentando il primo albo di Shanghai Devil, scrive nella seconda di copertina: «Dal Milione di Marco Polo in poi, l’esotismo delle leggende e dei costumi cinesi ha sempre affascinato l’immaginario popolare di noi occidentali, dando origine a personaggi positivi come il detective Charlie Chan e più frequentemente a geni del male». Influenzando anche diversi autori bonelliani che, a loro volta, hanno seminato sul cammino di Tex, Zagor, Mister No e Martin Mystère, ostinati quanto crudeli nemici gialli. «Oggi però i tempi sono cambiati – sottolinea ancora Bonelli – e anche il fumetto può concedersi di gettare su quelle terre lontane uno sguardo meno ingenuo, più rigorosamente e storicamente documentato, ma non per questo meno avventuroso e appassionante».
Luoghi, personaggi, culture, costumi, oggetti, indumenti e condizioni di vita rese perfettamente dal lavoro di Manfredi e degli illustratori che si sono alternati alle tavole – con Corrado Mastantuono alle copertine – ma realizzato anche grazie a una vera e propria mobilitazione dei lettori, chiamati a raccolta dallo stesso Manfredi dopo le difficoltà incontrate, nella preparazione di Volto Nascosto, per il reperimento della necessaria documentazione visiva e fotografica dell’Africa Italiana. Un lavoro di squadra che per i prossimi diciotto mesi ci accompagnerà nell’esplorazione di una Cina inedita.
Roberto Alfatti Appetiti

1 commento:

luca tesi ha detto...

Gent.mi Sig. ri Ho fatto una tesi sulla rivolta dei Boxer ed ho anche scritto un paio di libri su tale episodio. Leggo il fumetto l'unica cosa che oso dire: a quei tempi le donne cinesi avevano ancora i loti d'oro ovvero i "piccoli piedi" e non quelli naturali riservati solo alle donne della etnia Hacca, alle manciù e alle mongole della corte imperiale. I costumi sono un pò imprecisi e sembra di essere nella Cina post rivoluzione del doppio dieci. Cordialmente