martedì 3 gennaio 2012

Dürrenmatt, quel crudele "gioco" filosofico (di Mario Bernardi Guardi)

Articolo di Mario Bernardi Guardi
Dal Secolo d'Italia del 3 gennaio 2012
Il giovane avvocato Spät sta per compiere un omicidio. Un assassinio "giusto". Il resoconto che sta scrivendo non solo lo giustifica, ma lo prepara. Soltanto con un delitto, afferma Spät, e con una puntuale, rigorosa, dettagliata ricognizione circa le sue ragioni, si può ristabilire ciò che è giusto. Dopodiché, Spät si suiciderà. È inevitabile che lo faccia. Perché? Questa la spiegazione: «Non intendo sottrarmi alle mie responsabilità, al contrario, solo in tal modo la mia condotta si può giustificare, se non sotto il profilo giuridico, senz'altro sotto il profilo umano. In possesso della verità, non posso dimostrarla». Ora, però, dobbiamo sapere che cosa è successo. Perché alla base di decisioni così gravi devono esserci eventi (non solo prodotti dalla realtà dei "fatti", ma anche dall'incessante moto della "coscienza") di straordinaria gravità. 
Vizi e vezzi, tic e tabù
Ma, dicendo questo, non diciamo nulla. Perché la storia di cui stiamo parlando è firmata dallo scrittore svizzero di lingua tedesca Friedrich Dürrenmatt (Giustizia, traduzione di Giovanna Agabio, Adelphi, pp.211, euro 18) e questo già ci mette sull'avviso: insieme a una rappresentazione spietata dell'individuo e della società, di vizi e vezzi, tic e tabù, costumi e malcostumi, dovremo aspettarci deformazioni caricaturali, graffi di ironia e di sarcasmo, scenari tra l'allucinato e l'assurdo. Su tutto la cappa plumbea di interrogativi destinati a restare senza soluzione: che cos'è la verità? Ne esiste una ed una sola, o possono essercene tante, l'una contro l'altra armata? Esiste la possibilità che un "fatto", accuratamente e abilmente dissezionato, possa essere parzialmente o totalmente "rivoltato", in modo tale da mettere in discussione ciò che sembrava riscontro obiettivo? La "giustizia giusta" è quella che ha a che fare con i codici, gli avvocati, i magistrati, i tribunali, le sentenze ecc. o è un'altra cosa? Già, ma che cosa? E, comunque, chi può arrogarsi il diritto di emettere un verdetto e come e in nome di che cosa può farlo?
La produzione letteraria
Queste domande che più volte si ripropongono nella produzione letteraria e teatrale di Dürrenmatt (1921-1990), e che tanto più turbano quanto più l'autore non rinuncia alla sua ghignante cifra comico-satirica, hanno come radice ancor più vertiginose questioni che toccano l'essenza dell'uomo, il bene e il male, la presenza (o assenza) di Dio nel mondo, il senso (o non-senso) della vita, la sterminata serie di eventi in cui caso, causa e caos sembrano mescolarsi in una chiassosa mascherata. Nella quale si finisce con l'essere travolti sia come vittime che come carnefici, ed anche esercitando, alternativamente, i due ruoli, o magari interpretandoli insieme. Visto che, poi, i confini tra verità e finzione sono molto sottili nell'insondabile enigma che è - e resta - la nostra esistenza. Opere come La visita della vecchia signora, Il giudice e il suo boia, Il sospetto, La promessa danno testimonianza dell'inquietudine come di un incancellabile tratto identitario. Oppure è il male del peccato originale a pesarci addosso?

Una trama che spiazza
Figlio di un pastore protestante di una cittadina vicino a Berna, Dürrenmatt si porta dentro una certa cupezza luterana, alla quale reagisce con «un gusto della corposità massiccia e sanguigna dei fatti e delle parole» (Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca. Dalla fine secolo alla sperimentazione, Tomo terzo, Einaudi, 1978, p.1657). Senza darsi e darci tregua. Ma torniamo a Giustizia e al suo intreccio spiazzante. Dunque: il dottor honoris causa Isaak Kohler, consigliere cantonale, grande appassionato di matematica e bravissimo giocatore di biliardo, sta accompagnando in visita alla città, sulla sua Rolls-Royce, il ministro inglese P., prima di accompagnarlo all'aeroporto. «Just a moment», fa a un certo punto Kohler al suo illustre ospite, chiedendo all'autista di fermare la macchina di fronte al Du théâtre, un illustre edificio storico che accoglie anche un ristorante. Kohler scende, entra dalla porta girevole nella grande sala da pranzo, viene salutato con deferenza dallo "chef de service", si guarda intorno, si dirige verso il tavolo dove siede, alle prese con un tournedos Rossini e una bottiglia di chambertin, l'illustre germanista Winter, suo caro amico, estrae una rivoltella e lo colpisce a morte, non senza prima aver salutato cordialmente tutti i presenti, passa accanto alle cameriere spaventate, esce, risale sulla Rolls-Royce, siede accanto al ministro che non si è accorto di nulla perché sonnecchiava, e via all'aeroporto.
Domande senza risposta
La prima domanda è: perché Kohler ha ammazzato Winter? Non c'è alcun motivo. Indubbiamente, ha compiuto un omicidio - i testimoni ci sono - ma che cosa ha fatto scattare la molla? Lui, arrestato e condannato, non lo spiega. Non solo: in galera, sembra essere l'uomo più felice del mondo, l'ambiente gli piace, trova giusta la pena, ha un ottimo rapporto con i carcerieri, che giudica meravigliosi, si diverte a intrecciare ceste di vimini e le offre ai visitatori. Però, ha anche chiesto un colloquio con l'avvocato Spät, che, come legale, non è che abbia un gran nome, visto che è noto come difensore di prostitute e di "protettori". Eppure, è proprio da lui che vuole il patrocinio. Ed è disposto a pagare bene. Ma che cos'è che gli chiede? Di riesaminare il suo caso, partendo dall'ipotesi che l'omicida non sia stato lui.
La realtà (o quasi)
Deve montare una "finzione". Ma la finzione non ha senso - si ribella Spät - visto che l'identità dell'assassino è acclarata senza dubbi di sorta. Ebbene, a questo punto, diamo la parola a Kohler: «Lei non deve indagare la realtà, bensì una delle possibilità che si nascondono dietro la realtà. Vede, caro Spät, certo che ora conosciamo la realtà, per questo sono qui e intreccio cesti, ma ciò che è possibile lo conosciamo appena. È comprensibile. L'ambito del possibile è quasi infinito, quello del reale è molto limitato, perché di tutte le possibilità è sempre una soltanto quella che si può trasformare in realtà. Il reale è solo un caso particolare del possibile, e per questo è anche pensabile in altro modo. Ne consegue che, per poterci addentrare nel possibile, dobbiamo ripensare il reale».

Un gioco "filosofico"
Vertigine intellettuale? Follia? Un malvagio, disumano gioco filosofico messo su da un esperto del biliardo, attirato dal calcolo, dall'esecuzione, dalle tante possibilità della partita? Una perversa volontà di potenza che prevede uno scenario criminale perché le palle che finiscono in buca sono degli esseri umani? Spät sospetta tutto questo e odia tutto questo. Perché, nella deriva della sua pur giovane vita, non lo hanno mai abbandonato l'amore per la giustizia, l'odio per il male, l'avversione per tutte le ipocrisie e i crimini che si nascondono dietro l'ostentato perbenismo. Però, per necessità di sopravvivenza, accetta. Riuscirà il nostro eroe ecc.? Insomma, inferi non praevalebunt? La trama è una sorta di sarabanda. Ci si trova di tutto: un playboy in disarmo, una prostituta d'alto bordo, torvi protettori, brutali guardie del corpo, ambigui uomini di legge che la legge e la coscienza se le accomodano come gli pare. Il nostro Spät, che non è innocente nemmeno lui, ce la farà a non farsi sommergere da questa marea maleodorante? Vi ricordate l'nizio? C'è un giovane avvocato che sta per compiere un omicidio. Un assassinio giusto…
Mario Bernardi Guardi

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