Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 7 febbraio 2012
«Il giocatore che ho amato di più? Paolo Montero». Chissà come avrebbe risposto il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, alla domanda del giornalista di Studio Sport XXL se avesse immaginato lo scherzo del destino che lo attendeva. Dopo una domenica dedicata dalle maggiori trasmissioni televisive al "rallenty" del ceffone rifilato dal milanista Ibrahimovic al napoletano Aronica, la sfida tra regine che deciderà le sorti della corsa scudetto potrebbe essere influenzata da una decisione del giudice sportivo: se il campione svedese, infatti, fosse squalificato per tre giornate causa "condotta violenta", salterebbe lo scontro al vertice previsto dal calendario sabato 25 febbraio a San Siro.
Agnelli, nel percorso di recupero di una vulgata "identitaria" della Vecchia Signora, ha rispolverato l'icona di Montero, rude difensore centrale bianconero, amatissimo dalla tifoseria. L'uruguaiano, panacea per i moviolisti, il 3 dicembre del 2000, in un accesso Inter-Juve finito 2-2, rifilò un pugno al mediano avversario Luigi Di Biagio ma l'arbitro Braschi non vide nulla. Il giudice sportivo, ricorrendo alla prova tv, gli comminò ben tre giornate di squalifica.
Ai moralisti in servizio permanente effettivo Montero - soprannominato "Pigna" per la familiarità con le maniere forti - ha replicato in più interviste con grande sincerità.Commentando il caso di Steven Gerrard, capitano del Liverpool coinvolto in una rissa in discoteca, il sudamericano andò dritto controcorrente: «Penso che voi giornalisti pretendete la santità, l'eroismo. E invece siamo uomini anche noi». Per Montero bisogna evitare condanne precostituite: «Piano con le lezioni di morale. Se Gerrard ha sbagliato, pagherà. Solo che dopo la partita vai in un locale per rilassarti e magari qualcuno ti provoca. In quel preciso istante della notte, non ti senti più il numero uno al mondo, sei, semplicemente e banalmente, un uomo che non vuole essere seccato». E i modi bruschi con cui trattava in campo gli avversari? «Avevo un mio codice d'onore, chiamiamolo così. Per la mia squadra, tutto. Stava agli arbitri fissare il confine di quel "tutto". Ne ho sempre rispettato le decisioni, così come gli avversari che menavo rispettavano la mia violenza per il semplice fatto che era grossolana ma, a suo modo, leale. Quante volte sentivo e sento allenatori ed esperti ripetere che nel calcio ci vogliono anche i Montero...». Per chi ama il calcio senza concessioni al politicamente corretto, le performance pugilistiche di Montero o di Ibra, al di là delle sanzioni, sono eccessi d'amore per la propria maglia o una irruenta difesa del compagno di squadra aggredito. Il calcio è "polemos", mica una recita per anime candide…
Michele De Feudis
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